DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

 

La dichiarazione d’intenti

Chiunque abbia sufficiente stomaco di ferro per esaminare sul serio la cosiddetta “Riforma della Contrattazione” si trova di fronte a un documento “storico”, come affermano in coro le tre Confederazioni Sindacali. Per i comunisti rivoluzionari, tuttavia, il riferimento “storico” delle attuali organizzazioni sindacali non può essere altro che la “Corporazione fascista del lavoro”, da cui esse discendono in via diretta.

I sindacati corporativi d’epoca fascista erano per vocazione nazionali: si proponevano, non potendo impedire la lotta di classe, la conciliazione tra capitale e lavoro, e sposavano interamente gli obiettivi dello sviluppo dell’economia nazionale (imperialista), soggiogando il proletariato. Essi non facevano riferimento alla lotta di una classe contro un’altra (borghesia e proletariato), ma a un sottoinsieme di individui (lavoratori dipendenti, professionisti, consumatori, pensionati, disoccupati,ecc), affasciati insieme categoria per categoria e richiedenti reddito e sicurezza.

L’odierna denominazione delle tre Confederazioni come “sindacati di servizio” dimostra quanto abbia fatto scuola il corporativismo fascista e quanto sia intrinseco della realtà sociale borghese. Tra Stato e individui, sempre più incapaci di reggere l’urto delle contraddizioni economiche, si situano per determinismo sociale le “corporazioni”, che fanno capo allo Stato (alle sue leggi, ai suoi doveri e alla sua legalità), e da cui ottengono in cambio diritti, regalie, garanzie. Chi ha pagato (e paga duramente) è la classe operaia, nella sua prospettiva storica e nelle sue quotidiane lotte: il sindacato borghese, ordine e corpo dello Stato, si è così andato trasformando dall’interno, pur nell’invarianza dei suoi obiettivi. Al contrario, la vita di un “sindacato di classe”, mezzo di organizzazione delle lotte proletarie e di rottura dell’ordine presente e della forma sindacale corporativa, non può essere che effimera e necessariamente legata a un periodo prerivoluzionario o rivoluzionario.

Ora, l’inizio del documento relativo alla “Riforma della Contrattazione” afferma i concetti di sempre, i sacri principi della classe dominante: in una frase, lo sviluppo dell’economia nazionale (stato sociale, qualità, competitività e produttività delle imprese) permetterebbe il miglioramento delle condizioni di reddito e qualità del lavoro dei lavoratori. Tutta l’esperienza di lotta del proletariato e il fallimento del riformismo negano invece questa possibilità, e confermano, al contrario, che in regime capitalistico la miseria delle masse salariate, ovvero della classe dei senza riserve, è crescente e assoluta. La nuova piattaforma sindacale 2008 è il rilavaggio, quindi, di vecchi panni sporchi; ma, di tanto in tanto, quando in lontananza si sente aria di tempesta, le organizzazioni sindacali si sentono spinte più fortemente verso un bisogno di legittimazione statale, più ampia, più solida, di quella goduta in precedenza.

La retorica progressista (operaista, laburista, socialdemocratica), che senza cambiar nulla osava affermare che, se stanno bene gli operai, anche la nazione e l’economia nazionale stanno bene, qui viene rovesciata. L’accordo non può essere che unico, e unico il modello contrattuale sia dei settori pubblici e privati: Governo, Datori di lavoro e Sindacati siedono allo stesso tavolo di rappresentanza e la strategia dell’accordo del luglio ’93 (quella che ha permesso la crescita della flessibilità e precarietà, l’aumento dei ritmi di lavoro, gli straordinari, la nascita delle agenzie del lavoro e delle cooperative di lavoro) è la stessa. Il terreno di confronto (il discorso “generale”) è l’antipasto e il pranzo (il discorso “contrattuale”) è diviso in due portate (primo e secondo livello). Nel primo, si dovrebbe garantire il sistema dei prezzi e delle tariffe, oltre a un sistema fiscale, ovviamente equo, sulle retribuzioni dei lavoratori e sulle pensioni; il secondo è il vero sistema contrattuale, che dovrebbe tutelare sia il potere d’acquisto di salari e stipendi sia la “redistribuzione della produttività”. Il dessert è infine la “democrazia rappresentativa”.

Le organizzazioni di base, figlie loro stesse di questo corporativismo, “vorrebbero” contrapporre al “modello concertativo” un “modello conflittuale”: nella più totale incoscienza, si lamentano che le “grandi corporazioni” non farebbero abbastanza per difendere i diritti e i redditi degli assistiti. “Agitarsi prima dell’uso” è il loro motto: non di metodi di lotta, non di strumenti di lotta, non di obiettivi di difesa e di lotta contro la classe nemica si parla; si parla invece di difesa “ conflittuale” delle garanzie corporative di redditi e salari, di diritti e doveri. Il “sindacato di classe”, nelle proclamazioni moralistiche delle organizzazioni di base, è una parola senza alcun significato storico. E che non si parli di socialismo: per la Triade, è una bestemmia; per i suoi figliocci scapestrati, meno se ne parla meglio è. Non resta dunque altro che... “fare ammuina”, come si dice a Napoli – muoversi, tanto per muoversi. Intanto, la Triade tira fuori questo documento che rappresenta una delle articolazioni programmatiche della finanziaria governativa. Vediamo alcuni dettagli di questo documento.

 

Il primo livello

“I suoi compiti fondamentali – in un’ottica di diritto universale – sono il sostegno e la valorizzazione del potere d’acquisto”, anche... nello spirito delle normative europee. Esso prevede che la contrattazione salariale del secondo livello si sviluppi a partire da una “quota già fissata” in questo primo livello. Come per dire: non solo non vogliamo recuperare affatto la quota d’inflazione, ma, nei contratti aziendali, non vi spaventeremo nemmeno con cifre “eccessive”. Ora, le piccole corporazioni di base che gridano “Difendiamo il Contratto nazionale!” non temano: nessuno ha intenzione di far sparire questo pezzo di carta moschicida; anzi, sarà esso a dare il là alla manovra concertativa. Non solo: esso si configura, è scritto, come il modello universale (!) per il settore pubblico e per quello privato. “La bilateralità [il doppio legame tra lavoro e capitale, il nodo scorsoio] deve essere rafforzata e qualificata sia a livello nazionale che territoriale qualificandolo anche sui temi del welfare contrattuale”. Con questo vocabolo di nuovo conio (“bilateralità”), lo “spirito concertativo” raggiunge la sua più alta vetta... democratica: altro che rude fascismo!

Non basta: lo spirito statalista del risparmio prevede l’accorpamento e la razionalizzazione per aree omogenee e per settori, unificando i contratti analoghi. Cosa si pretende di più da un sindacato, che si fa carico della semplificazione?! Immaginiamo quale sarà l’obiettivo dell’accorpamento: promuovere quei contratti di categoria in cui le condizioni di vita e di lavoro siano le peggiori e minime le possibilità di difesa e di lotta. Per farlo, “serve una sede congiunta [il “ministero della semplificazione” è stato creato apposta] per verificare le linee di indirizzo condivise per la semplificazione”.

Il punto centrale è quello di andare a individuare la natura dell’inflazione e “ancorare il sostegno del salario a criteri credibili definiti e condivisi in ambito di vera politica dei redditi”. Vi pare che il sindacato operaio lanci una parola d’ordine indipendente sull’inflazione (un recupero di salario), prima di aver portato il conto al principale? Non sia mai! Se non è quella programmata, troppo sputtanata, chiedono di mettersi ad un tavolo e stabilire insieme “l’inflazione realisticamente prevedibile”, “supportata dai parametri ufficiali di riferimento” (che dire di fronte a questo nulla farcito di niente? altro che ruspe ci vorrebbero per liberarsi di tanta spazzatura!). Se poi il principale, di cui sono servi, li manda a quel paese, come meravigliarsi? E se si creano “eventuali differenziali inflazionistici”? Niente da temere: in modo concorde, tirando da una parte e dall’altra la corda, si potrà stringere il cappio “con meccanismi di recupero”.

Altro colpo assestato in piena nuca: siccome gli operai avevano goduto di salari... di fame, a causa della precedente piattaforma, per riconfermare la miseria nei tempi avvenire si decide di superare “il biennio economico con la fissazione della triennalità contrattuale, unificando la parte economica e normativa”. Ci vuole poi, in aggiunta, una faccia di bronzo per affermare: “L’indennità di vacanza contrattuale si è dimostrata un deterrente troppo debole”. Ma se, da parte delle aziende, il gioco della vacanza contrattuale per mesi e per anni è servito proprio a far cassa con gli “una tantum” uniti alla perdita secca di salario per scioperi farsa! Deterrente? Un vero affare! Per evitare la vacanza contrattuale, allora, ci si accorda (così sembra di capire) fin dall’inizio su una percentuale di aumento medio, poi si estraggono i minimi salariali per i diversi livelli di categoria e si parte da quelli per il nuovo contratto. E finirà lì... se lo ricordino i proletari!

Per quanto riguarda la precarietà del lavoro, le tre Confederazioni, memori della creatività dimostrata a partire dal ’93 (con la selva di figure di “non lavoratori” via via introdotta: formazione, apprendistato, cooperative, contratti flessibili, leggi ad hoc, vendita a gogò di forza-lavoro, ecc.), richiedono... “una regolazione degli strumenti esistenti”. Grandioso!    

E per quanto riguarda la normativa per gli appalti, per le cessioni di rami dismessi? Lunga vita alle novità industriali! Per evitare “l’emarginazione dei lavoratori” (non si chiamino licenziamenti!), per evitare il “dumping contrattuale” (non si chiamino cottimi, sfruttamento, lavoro nero, salari di fame, orari bestiali e straordinari), creato apposta per spingere le aziende le une contro le altre in una sana e libera concorrenza, si prevede la “ clausola sociale”, la “ tutela sociale”. Come sono buoni!

Una nuova normativa per la parità uomo-donna non poteva poi mancare: nei momenti di crisi, spunta sempre fuori la necessità dello sfruttamento femminile; attenzione, però, non “in termini di dichiarazioni di principio o di intenti programmatici”, ma immediatamente attuabile. Vi risparmiamo le bestialità sulla dimensione europea e internazionale e sulla “contrattazione transazionale”: il canagliume sindacale a livello internazionale è più che pronto a collaborare, a mettere insieme strumenti idonei allo sfruttamento su scala più vasta.

 

Il secondo livello

Dopo la riconferma degli strumenti definiti dall’accordo del 23 luglio 2007, tra cui forme di detassazione (gli aumenti potrebbero venire automaticamente da una diminuzione percentuale della tassazione sul salario), la contrattazione nazionale di secondo livello potrà avvenire sia in ambito aziendale sia in ambito territoriale. Il testo del documento presenta un’apertura a 360° alla voracità del capitale sulle varietà contrattuali – un’apertura che dovuta alle “oggettive differenze tra i vari settori”, che “rendono necessarie le articolazioni del secondo livello”, non solo aziendali, ma anche in ambito territoriale. Si tratta dunque di una maxi offerta di merce forza-lavoro da parte degli “imprenditori sindacali”, variamente scontabile e dunque aperta a gabbie salariali d’ogni tipo, dal salario individuale a quello “regionale, provinciale, settoriale, di filiera, di distretto, di sito”, sia normale che flessibile.

I parametri che definiranno la crescita dei salari sono ben cinque: “produttività, qualità, redditività, efficienza, efficacia”. Alleluia! Una vera manna dal cielo per tutte le Confederazioni capitalistiche e per lo Stato, che non dovranno nemmeno affaticarsi a definire i caratteri dello sfruttamento, perché già belli e incartati dalla stessa organizzazione operaia. Quale meraviglia che orari giornalieri e settimanali, cottimi e straordinari, saranno spinti verso l’alto e che salari e livelli salariali subiranno crolli o saranno giocati sulla roulette russa dei parametri di produttività!? E infatti, in questo secondo livello, si dovranno definire le condizioni di lavoro, le prestazioni, la professionalità, gli orari, la flessibilità, la sicurezza. Per finire, poiché la libidine di servire non ha limiti, temendo di essere messi in anticamera, gli utili idioti chiedono insistentemente di partecipare ai sistemi decisionali: vorrebbero trasparenza sul quadro economico-finanziario e di bilancio delle aziende, una migliore qualità dell’informazione e consultazione, una “conoscenza in tempo reale degli aspetti finanziari per poter ‘leggere’ l’impresa”. Poveri mentecatti!  

 

Rappresentanza e democrazia sindacale

Veniamo al dessert, che non potrà soddisfare le voglie carrieristiche della sinistra sindacale, nelle sue varie articolazioni e con le confederazioni di base al seguito. Non si pensi a una rappresentanza che parta dal basso, perché si chiarisce fin dall’inizio che avverrà per “via pattizia attraverso un accordo generale quadro”. Tutto discenderà da “deleghe certificate [...] da alti profili di competenza e autonomia” e da precedenti accordi-quadro nei vari settori, pubblici e privati, oltre che dai consensi elettorali nelle Rsu; le varie certificazioni saranno poi centralizzate in un’unica “istituzione certificatrice di ultima istanza della rappresentanza e della rappresentatività delle organizzazioni”. La struttura formale di rappresentanza viene spostata fuori dalle organizzazioni, fuori dalle stesse aziende, ma delegata a enti istituzionali, di cui si chiede anche una riforma. La fascistizzazione anche formale delle organizzazioni sindacali muove dunque i suoi passi dalla rappresentanza: i lavoratori delegano gli enti (Inps, pensionati, Aran) e le aziende, e costoro fanno convergere i dati d’iscrizione verso l’ente supremo certificatore (Cnel), cui convergono anche i dati elettorali delle Rsu.

E i lavoratori dove sono? In qualche delega obbligatoria del percorso e nelle elezioni delle Rsu, in cui i “carrieristi” stanno cominciando o maturando la propria carriera grazie a una cospicua massa di mandati sindacali al coperto della protezione ufficiale. Le organizzazioni maggiormente rappresentative avranno poi il compito di promuovere la “concertazione contrattuale”. Chi prepara le piattaforme generali? Ovviamente, le segreterie; poi, i direttivi sindacali le approvano; finalmente, vengono proposte ai lavoratori e pensionati. Ma attenzione! “Saranno previsti momenti di verifica degli iscritti”, sarà firmato il contratto “previa  consultazione ‘certificata’ fra tutti i lavoratori, lavoratrici, pensionati, come già fatto nel 1993 e nel 2007”. Gli accordi di categoria con le loro particolari procedure dovranno essere impostati nel quadro del presente documento.

Amen.      

 

Che fare?

 Poiché non c'é nulla da salvare di questo documento, se non quello di spedirlo di filato nella pattumiera, che cosa dovranno fare i proletari, mentre a porte chiuse lo si discute e quando lo si vorrà far loro inghiottire? La sana tradizione di classe, l’antica memoria delle lotte economiche di difesa, non soffre di... ischemia opportunista: sa che il contratto, qualunque contratto è una relazione a senso unico che la controparte impone dittatorialmente ai lavoratori per assicurarsi l'uso della loro forza-lavoro (della loro vita), per un certo numero di anni e nelle condizioni di produttività imposte dalla realtà capitalistica. Pertanto, i lavoratori, se non possono mandare al diavolo il contratto che si stringe al loro collo a causa di rapporti di forza sfavorevoli, e gli Statuti che confermano la loro subordinazione di classe, devono mettere in conto la rottura dello stesso contratto in caso di mutamenti sopravvenuti nelle condizioni medesime, sia economiche che di forza. Quel contratto deve essere rescindibile in ogni momento da parte dei lavoratori. Per opporsi al regime di sfruttamento, di schiavitù salariata, la memoria storica riconosce nello sciopero  il  principale mezzo di lotta per qualunque rivendicazione – sciopero ad oltranza, senza limiti di  tempo e di spazio. In quanto vera e propria arma dei proletari, esso blocca  la produzione e la distribuzione delle merci e dei servizi, paralizza la vita economica borghese, colpisce direttamente l'unica cosa cara ai padroni, il profitto immediato. Lo sciopero deve porsi l’obiettivo di causare il più pesante danno economico alla controparte, coinvolgendo i più diversi settori dei lavoratori, superando tutte le artificiali divisioni create al loro interno. Non c'è altra via!        

 

 

 

 

  Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°05 - 2008)
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