DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Prometeo, giugno-luglio 1924, n.6-7

Il fascismo – malgrado le false o miserevoli definizioni dei suoi avversari borghesi – non è un organismo autonomo: esso è un espediente di reazione capitalistica, che fu prima brigantaggio statale, e divenne poi, con la complicità dei poteri pubblici, lo Stato brigante. Ma il fascismo come organismo dottrinario e politico non è mai esistito: esso è una pomposa violenza al servizio della classe padronale. La classe padronale mette il cuore e il cervello; il fascismo mette le mani. Il fascismo non crea le vittime: esso provvede soltanto i sicari.

Delitto padronale dunque, semplicemente. Attraverso le deplorazioni, le sconfessioni e le esecrazioni, attraverso le ipocrisie e le finzioni della opportunità politica, tutti abbiamo potuto notare e sentire le espressioni e le voci di una intima soddisfazione, né solo tra i fascisti, ma tra quanti, bravi patrioti e mercatanti e possidenti e ben pensanti, costituiscono la nobile e altiera falange dell’antibolscevismo nazionale.

Ce ne sono molti tra i deploratori che ne vorrebbero – senza rumore, però – mille al giorno di questi assassinii solo quando le convenienze impongono di chiamarli così – altrimenti sono ammonizioni e castighi esemplari e salutari.

Certi atti di vile atrocità, di gelida e spaventosa iniquità offendono anche l’animo più insano e indurito di criminale. Il delinquente ha anch’esso un suo senso di giustizia e una sua repugnanza a certo far male; ma nessuna pazza scellerataggine, nessuna viltà feroce repugna al ceto capitalistico, quando vuol custodire o difendere il suo privilegio minacciato. I responsabili dei delitti contro i lavoratori e i loro rappresentanti non sono soltanto i maneggiatori di mazza e di pugnale, i sicari e gli eccitati: sono soprattutto i dignitari, i signori, i magistrati, gli uomini di censo, di cultura e di toga, che da tali e tanti misfatti traggono motivi di aperta gioia o di soddisfazione serena.

L’altro giorno – quando più fremeva la curiosità e lo sdegno del mondo intorno agli uccisori di Giacomo Matteotti – dodici campioni del patriziato romano si iscrivevano al fascismo. Erano tra i più bei nomi dell’alto ceto patrizio, fiore di nobiltà e di mondanità, gentiluomini di corte e di sport, che sentivano il bisogno schietto ed aperto – e perciò nobile e generoso – di offrire un patronato, di assicurare una benigna approvazione a quei bravi giovani che per quatto anni avevano prestato l’opera loro alla purificazione della patria.

E del delitto molti altri si sarebbero a torto compiaciuti: perché misfatti, simili a questo, compiuti contro gli oppositori costituzionali e comunque legalitari della dittatura borghese servono solamente a spezzare i tendini di una futura resistenza contro il proletariato. Ma da un pezzo la borghesia italiana, folle di boria criminale, va colpendo furiosamente quelli che pure sarebbero i suoi ultimi ma non più deboli baluardi.

Gli operai e i contadini non accolgano come delitti fascisti i delitti eseguiti dal fascismo. Sono delitti padronali, che vanno messi tutti in conto della classe capitalistica e calcolati – quando sarà tempo – con gli interessi.

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