DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

 

Si è tenuta sabato 29 marzo, a Milano, una conferenza pubblica sul tema “Il proletariato e l’internazionalismo”. L’incontro è stato l’occasione per illustrare uno dei concetti politici più significativi che caratterizzano il comunismo rivoluzionario fino dal suo comparire nel 1848, proprio con il  Manifesto del Partito Comunista, evidenziando i punti che meglio riassumono il carattere oggettivamente internazionale della nostra classe. La creazione dei proletari (massa di senza riserve costretta per vivere a vendere la propria forza-lavoro a tempo determinato) nell’ambito dello sviluppo sia storico (dagli albori europei alla compiutezza della rivoluzione francese) che geografico (non esiste più ormai un luogo sul pianeta nel quale possa prosperare un modo di produzione diverso) nel modo di produzione capitalistico ci ha oggettivamente privato di ogni caratteristica peculiarmente nazionale, benché la forma giuridica caratteristica dello stesso modo di produzione ci imprigioni in Stati borghesi che fanno della radice nazionale il principale strumento ideologico del dominio della borghesia. Dopo aver così inquadrato scientificamente le radici dell’internazionalismo proletario, si è illustrato come alla luce delle esperienze più avanzate della lotta proletaria (1848 europeo, la Comune di Parigi, il 1917 russo) l’internazionalismo si imponga prepotentemente come scopo del potere dittatoriale della classe proletaria vittoriosa, in primo luogo per difenderci dall’accerchiamento controrivoluzionario cui siamo sottoposti, per poi poter procedere nella socializzazione dei rapporti economici che necessitano della più rapida ed estesa diffusione geografica. Di contro, si sono ripercorsi gli episodi più cupi della controrivoluzione che si è sempre caratterizzata come uno strumento ideologico che cerca di attaccare l’internazionalismo e rinchiudere il proletariato (dopo averne disarticolato l’avanguardia rivoluzionaria) nelle angustie dei recinti nazionali, privandolo anche così di ogni soggettività politica e arrivando infine al capolavoro di repressione politica: l’inquadramento del proletariato nell’esercito “nazionale” e il suo sacrificio nella guerra imperialista. La terza e conclusiva parte della relazione (sulla scorta della sacrosanta verità rivoluzionaria che il proletariato spinge fino in fondo la lotta di classe solo se si organizza in classe dominante e quindi si esprime attraverso l’organo-partito) ha sottolineato come l’esperienza storica del Partito Comunista sia passata dall’iniziale enunciazione di principio di una organizzazione proletaria internazionale e centralizzata a una pratica politica internazionalista che nei fatti rende superflua (se non addirittura reazionaria) ogni forma di federalismo o di autonomia dell’organizzazione comunista.

“La dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario” cui si adopera ogni militante del nostro partito, attraverso la pratica del disfattismo rivoluzionario nei confronti di ogni borghesia nazionale, ha dunque per obbiettivo l’organizzazione del Partito Comunista Mondiale, che dà e darà a ogni proletario la possibilità di un’effettiva pratica politica internazionalista, anche da questo punto di vista “prefigurazione” della futura umanità senza patrie e senza galere.

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Il 5 aprile,a Roma,  si è tenuta una conferenza pubblica dal titolo “Ottobre 1917: il potere proletario alla prova della storia”. L’incontro (che è stato il “riassunto” di analoghi incontri tenuti a Cagliari e a Milano nell’autunno precedente e di uno dei temi svolti alla Riunione Generale di Partito, nello scorso dicembre) è stato tutto fuorché una commemorazione del “glorioso Oottobre”: le commemorazioni le lasciamo agli imbalsamatori, agli anatomopatologi e ai nostalgici della rivoluzione “che ha fatto il suo tempo”. Per noi, si è trattato di ripercorrere le tappe fondamentali del futuro percorso vittorioso della ripresa della lotta rivoluzionaria di classe che con tenacia e pazienza andiamo preparando “a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco”. L’esperienza russa, che abbiamo esaminato attraverso gli episodi fondamentali, dal “golpe”di febbraio all’insurrezione di ottobre, ha dimostrato come si sia trattato di un vero e proprio esperimento operativo, liberato dagli schematismi dei laboratori: preparare la classe alla rivoluzione accompagnandola con una politica chiara in ogni momento della sua vita sociale (i comunisti rappresentano al tempo stesso gli interessi immediati e quelli storici della propria classe), guidare la classe nella rivoluzione spingendola nel corso dell’insurrezione a sgretolare tutte le istituzioni in cui si articola lo Stato borghese (la conduzione della preparazione politica del proletariato nella fermezza delle parole d’ordine – pace, terra, pane – che nessuna istituzione borghese poteva soddisfare perché andavano a minare l’illusione ideologica della stessa unità nazionale borghese), dirigere la classe nell’esercizio del suo potere dittatoriale (il soviet diventa organismo di lavoro nell’esercizio della dittatura proletaria solo se retto dalla “maggioranza” dell’unico partito comunista). Una buona parte dell’incontro è stata dedicata –naturalmente – alla particolarità storica della rivoluzione russa, cioè alla sua caratteristica di “rivoluzione doppia”, sviluppatasi tra una rivoluzione antifeudale e una propriamente proletaria soffocata dalla successiva sconfitta della rivoluzione in Europa; e quindi anche al definitivo tramonto, con l’esaurimento nella metà degli anni ‘70 del ‘900 dei moti anti-coloniali, di ogni significativa possibilità per le “questioni nazionali” di fungere da innesco della rivoluzione proletaria. L’incontro si è concluso con l’illustrazione della pratica politica quotidiana di tutti i nostri compagni nel restauro dell’organo rivoluzionario di classe e in particolare del suo radicamento tra le file proletarie, contro ogni ambiguità e ogni lusinga del democratismo borghese.

 

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Prendendo a pretesto le grottesche vicende della politica borghese in Italia, i compagni hanno tenuto a Messina, a fine marzo, un incontro pubblico sul tema “Elezioni, ancora elezioni, ancora fregature per il proletariato (democrazia parlamentare o dittatura del proletariato)”; e, ancora a Milano il 19 aprile, una conferenza dal titolo “Democrazia e dominio del capitale”. In entrambi gli incontri si è illustrato il carattere particolare delle istituzioni borghesi, la loro trasformazione dagli iniziali furori liberali (in cui la democrazia elettorale incarnava l’ideale della partecipazione borghese alle sorti dello stato) alle odierne forme imperialistiche (in cui la democrazia elettorale è chiamata alla ciclica ratifica di decisioni già prese negli organi esecutivi dello stato). Dal liberalismo all’imperialismo, il “principio democratico” è la migliore costruzione ideologica con cui la borghesia mistifica la propria dittatura: prova ne sia che ogni riformismo (da quello classico ottocentesco, passando per quello novecentesco staliniano, per finire a quelli contemporanei, privi di ogni ideologia) lo rivendica a pieno titolo e lo utilizza per tenere legata la nostra classe al carro del modo di produzione capitalistico.

 

 

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°03 - 2008)

 

 

 

 

 

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