DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

 

Per Marx, una delle caratteristiche della forma borghese di produzione è l’abbondanza dei prodotti manufatti e la scarsezza di quelli alimentari: in altri termini, il rapido aumento della quantità assoluta dei primi e lo stentato crescere dei secondi. L’industria borghese, a cui tanto inneggia un’umanità sempre più dissennata, pensa più alle bocche dei forni, delle caldaie e dei motori che a quelle delle creature umane. L’impossibilità di tener testa al quadro immenso della popolazione vivente e della sua alimentazione è intrinsecamente connessa alla “forma merce” della produzione capitalistica: essa richiede l’accumulazione del capitale, il cui limite è la sua stessa capacità di accumulazione e che, fin dalla nascita, non ha mai avuto come fine la soddisfazione di bisogni umani. 

Sfugge alle zucche vuote e interessate degli “esperti” che il sistema capitalistico (e non i suoi eufemismi: globalizzazione, mondializzazione, mercato mondiale, ecc.), per sua natura casuale, anarchico, instabile, produce sovrapproduzione di qualunque specie di “merci”, sia di manufatti che di derrate alimentari, da cui debbono derivare rendite, profitti e sovraprofitti. Ma “produce” anche popolazione umana – incatenata alla terra, alla fabbrica, all’azienda, ai servizi – , e contemporaneamente sovrappopolazione di riserva, utilizzabile a condizione che sia valorizzato il capitale. E infine produce anche sovrappopolazione di scarto allo stato concorrenziale – ma solo potenziale, perché non entrerà mai più in produzione (la miseria è non solo crescente, ma assoluta). 

A questo punto del ciclo capitalistico, la condizione dei senza riserve, dei proletari internazionali, è quella del sottoconsumo e della fame. Questo e non altro è l’avvenire prossimo dei senza riserva dei paesi imperialisti, allevati nell’illusione di un futuro comunque “passabile”, se non roseo. Che può farci la borghesia se la concorrenza capitalistica implica una riduzione dei salari (quindi una riduzione dei suoi mezzi di sussistenza) e un’esaltazione della produttività (quindi intensità dello sforzo fisico fino alla morte)? Che possono farci la borghesia e le sue mezze classi parassitarie se i senza riserva, i proletari, l’immensa maggioranza della popolazione del pianeta, non hanno riserve e tuttavia debbono mangiare? Che possono farci se i senza riserva hanno solo bisogno di mezzi di sussistenza e non di prodotti tecnologici e informatici, la cui alta domanda fa, a differenza dei prodotti agricoli, abbassare i prezzi? Se non hanno pane, mangino telefonini o... biocarburanti! Insomma, non si vive di solo pane! 

Ora, se non possiamo calcolare il tempo entro il quale si morirà tutti di fame, possiamo però conoscere il cammino che ci separa dalla catastrofe con cui l’anarchia produttiva farà saltare in aria, in attesa di un nuovo bagno di giovinezza grazie a una prossima guerra, lo stato attuale dell’economia capitalista. Testimoni, purtroppo, di questa progressiva autodistruzione, contro cui non possiamo lanciare ancora le armate proletarie della rivoluzione comunista, registriamo (e in un prossimo articolo potremo meglio documentare gli avvenimenti) i più recenti sismi che si sono manifestati contro gli Stati borghesi e le loro leggi in diverse parti del mondo, con rivolte per il pane, assalti ai forni, lotte nelle strade e nelle fabbriche. Non c’è continente che sia stato risparmiato. La crisi per i rincari del pane e l'inflazione si è manifestata in tantissimi paesi. Scioperi generali hanno interessato il Burkina Faso; in febbraio, 40 persone sono morte nelle rivolte scoppiate in Camerun; sanguinose proteste sono scoppiate anche in Costa d’Avorio e in Mauritania; manifestazioni seguite da repressioni cruente anche in Senegal, Egitto, Tunisia, Pakistan, Bangladesh, Afganistan, Filippine. Le “rivolte per il pane” hanno sconvolto anche Haiti, dove ci sono stati cinque morti e una quarantina di feriti. L’ampiezza delle rivolte segna un momento importante della crisi mondiale – che, per i proletari africani e asiatici, non è... “crisi dei mutui” (!) e, se ancora procura solo dei mal di pancia alle nazioni imperialiste, si abbatte sui paesi più poveri come un vero tsunami che alla lunga spingerà il mondo verso il baratro: le stesse istituzioni mondiali paventano un “effetto domino”, capace di innescare rivolte a catena in un mondo in cui non ci sono lotte più di liberazione nazionale e tanto meno ci sono borghesie rivoluzionarie (che un tempo potevano additare un “riformismo possibile”, sparito ormai dall’orizzonte sociale). Noi ci auguriamo che si affretti questo tempo di transizione, in modo da giungere alle soglie della zona delle tempeste con il partito rivoluzionario già pronto a guidare le masse proletarie nella rivoluzione proletaria verso la società senza classi. E per questo lavoriamo. 

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°03 - 2008) 

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