DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Ai primi di agosto, sul sito di Battaglia comunista è uscito un intervento intitolato Fra un caposaldo teorico e un’invarianza di comodo”, di commento – poco lusinghiero – a un nostro articolo apparso sul n. di settembre-ottobre 2022 di questo giornale (“Chi aggredisce l’Europa?”). Riappare così una vecchia polemica che fu alla base della scissione del 1952 nel Partito comunista internazionalista e che riguardava la differente valutazione degli imperialismi americano e russo. Rispondiamo nel metodo e nel merito.

***

Non vogliamo alimentare polemiche con cugini e parenti che del tutto legittimamente dicono la loro su questioni cruciali che attraversano la nostra epoca. Chiamati in causa, dobbiamo però rispondere, e lo facciamo, in tutta sincerità, con l’atteggiamento di chi vuole prima di agire intendere. Non sono questi tempi in cui perdersi dietro polemiche di parrocchia e fare a gara su chi “aveva ragione”. Non ci piace nemmeno aggrapparci a formulazioni che potremmo scandagliare per scorgervi qualche svarione teorico. Andiamo al sodo, rispondendo a quelli di Battaglia con lo spirito che loro stessi talvolta evocano e che oggi più che mai si impone a quanti cercano di intendere oggi per poter agire domani.

Bene, nel loro intervento in sostanza ci accusano... di essere quello che siamo. Ebbene sì, siamo invarianti, o almeno cerchiamo di esserlo con le poche forze di cui disponiamo. Per noi gli articoli della serie Sul filo del tempo sono fondativi, perché ribadiscono e attualizzano l’invarianza del nostro lavoro in difesa del comunismo rivoluzionario internazionalista.

Tra quegli articoli, “Aggressione all’Europa” (Prometeo, n.7, 1949) getta un fascio di luce sulla guerra in corso in Ucraina, sull’attualità del bestiale modo di produzione capitalistico e sulle sue dinamiche storiche. Non lo potrebbe fare se non fosse radicato nel passato e nel futuro del movimento proletario, se non fosse proiettato verso la rivoluzione, se non ne indicasse la via. E la via passa, lo ribadiamo, per il crollo del bestione atlantista, quanto meno per un suo brutale ridimensionamento.  E i nostri critici potrebbero ribattere: Perché mai? Non sono forse Cina Russia Iran Brasile e, peggio, i sauditi, tutti attori dello “schieramento mondiale del capitale”, altrettanto inclini allo “sfruttamento della classe operaia, approfondendo al tempo stesso (e proprio con gli espedienti della sfera finanziaria) la crisi strutturale che rode il cuore del capitale” (citazione dal loro articolo)? Con questa affermazione così limpidamente inattaccabile, forse intendono che noi “programmisti” non la si pensi così? Suvvia, non siamo mica così fessi...

Questo non capiscono, quelli di Battaglia: dove sta, se c’è, la differenza? Comprendiamo da dove sorge la perplessità, che in certo modo è frutto del timore di sbandare, di considerare alcuni nemici meno nemici di altri e prestare così il fianco ad accuse di opportunismo: ma a volte l’atteggiamento tetragono può nascondere insicurezze. Bene, guardiamo allora ai padri fondatori: forse che Marx ed Engels non guardavano con estrema attenzione allo svolgersi delle guerre del loro tempo, auspicando alcuni esiti piuttosto di altri? Lo facevano per una particolare simpatia o riguardo per la Prussia, mentre la Francia di Napoleone III ai Nostri stava un po’ sulle palle? Forse non vedevano nella Russia zarista il baluardo della reazione, auspicando (anche loro auspicavano!) la sua dissoluzione? Forse si erano un po’ fissati con le questioni di geopolitica (per quanto ancora non esistesse come “scienza”) (1) e si divertivano “a giocare in privato su una immaginaria scacchiera mondiale” (idem come sopra), tanto per passare il tempo, come faremmo oggi noi di Programma? Immaginiamo i polemici cugini ribattere: ma quelle erano guerre progressive, niente a che vedere con le guerre imperialiste che sarebbero seguite nel Novecento, di fronte alle quali anche Marx ed Engels avrebbero senza dubbio assunto un atteggiamento disfattista!

Abbiamo ben chiaro che col 1870-71 – guerra franco-prussiana e Comune di Parigi – si chiudeva in Europa il ciclo delle guerre di affermazione dei capitalismi nazionali, si decretava il trionfo della borghesia ma nello stesso tempo la nascita e lo sviluppo del suo becchino proletario. Non per questo gli esiti delle guerre che seguirono, a carattere imperialista, sarebbero stati privi di effetti sulla situazione del proletariato mondiale e sulle sue prospettive. La prima guerra aprì addirittura il varco rivoluzionario, e poco mancò che l’armata bolscevica dilagasse in Europa. La vittoria non giunse (girò storto a Varsavia!), ma la guerra aprì la strada nientemeno che al sorgere del primo stato proletario dopo l’eroica Comune. Fatto di rilevanza storica inaudita, a prescindere dal processo involutivo (dovuto alla sconfitta e al rinculo internazionale del proletariato rivoluzionario) che pose le premesse della sua dissoluzione. Fermiamoci qui. Non è questo il luogo per dibattere la questione della valutazione della Russia non più “sovietica”, tendente al capitalismo o compiutamente capitalista di Stato. La diversità di vedute è nota: ma altrettanto inequivocabile, per quanto non così categorico, è il nostro giudizio sul cammino intrapreso dalla Russia non più “sovietica” con Stalin. Altro fatto di rilevanza storica prodotto della Grande guerra: la crisi dell’impero britannico, o meglio, del sistema mondiale a dominanza britannica. La Seconda guerra ne avrebbe decretato la definitiva scomparsa e l’affermarsi potente del nuovo sistema mondiale della signoria americana. Ancor più fetente del precedente, a nostro avviso, e ancor oggi, a oltre settant’anni di distanza, lì a dettar legge – anche se con sempre più arroganza e sempre meno soft power, sempre meno capacità egemonica e sempre più esibizione di potenza, vera o supposta. Si può essere in disaccordo sulla teoria, ma poi i fatti, in questo caso storici, danno i loro responsi. Non vogliamo infierire, ma avranno pur visto anche loro – quelli di Battaglia - che fine ha fatto l’imperialismo russo. È svanito senza combattere, ha calato le brache di fronte alla burbanza del ben più capitalisticamente attrezzato avversario “bipolare”. Un imperialismo all’altezza di tal nome avrebbe fatto la stessa fine? E ciò senza nulla togliere alla funzione storica rivoluzionaria, in senso eminentemente borghese “progressivo”, dell’URSS in uno spazio geografico di enorme ampiezza. La sfida dell’“emulazione” nella “convivenza pacifica” dichiarava la sostanziale uniformità e confrontabilità di due “modelli” pretesi alternativi.

Dal disfacimento dell’impero eurasiatico russo in poi, si aprirono praterie sconfinate per l’avanzata del “mondo libero”, si affermava con pienezza un sistema mondiale imperniato sul capitalismo americano infine in grado di spadroneggiare e abbattere un ostacolo dopo l’altro nella sua avanzata. Trattasi di un unico sistema imperialista (attenzione! un unico sistema! Non certo un “super-imperialismo” alla Kautsky, o un “imperio” alla Negri, o un “imperialismo unitario” alla Cervetto & Parodi SpA!) garante della circolazione dei capitali e del funzionamento del meccanismo di accumulazione a livello mondiale, in cui i ruoli dei diversi concentramenti di potenza si subordinano alla posizione dominante del capobastone. Finchè funziona…

Ora, il fatto che il sistema cominci a mostrare la corda, avrà un qualche senso per i rivoluzionari, oppure si tratta di un affare che riguarda solo i concentramenti di potenza avversi, pronti a scagliarsi sul corpaccione del capobranco in difficoltà per spodestarlo? Quando un sistema mondiale vacilla, nelle fasi di passaggio tra un sistema e l’altro, si aprono varchi in cui la rivoluzione può far breccia: come accadde nel primo dopoguerra, nel passaggio cruciale tra la crisi dell’egemonia britannica e la non ancora definitiva affermazione del nuovo sistema mondiale stars & stripes.

Nella visione proposta da Battaglia, sembrerebbe che la lotta di classe sia avulsa dalla lotta tra concentramenti di potenza, che le due guerre si svolgano parallelamente su terreni diversi. Non crediamo che siano così fessi: tuttavia, quando scrivono che di fronte al proletariato gli Stati “sono tutti uguali”, affermano una cosa ad un tempo vera e inesatta. Un capitalismo in relativa ascesa come quello cinese – con tutte le riserve derivanti dall’estrema maturità del suo sviluppo – ha forse ancora qualcosa da offrire al suo proletariato. Un capitalismo in piena curva discendente com’è quello americano cerca disperatamente di mantenere la propria posizione dominante per conservare il controllo, se non il sostegno, di un proletariato immiserito e senza prospettive. In realtà, i movimenti dei concentramenti di potenza sul terreno economico, bellico, strategico sono altrettanti tentativi di risposta alle spinte sociali che attraversano il fronte interno, prodotte a loro volta delle crescenti contraddizioni che segnano il movimento storico del capitale. Una sconfitta militare, o una resa senza conflitto aperto, può creare le condizioni per l’esplosione del concentramento di potenza soccombente, può liberare energie di classe, può aprire varchi rivoluzionari (2). All’uscita dalla Seconda guerra, questa condizione non si verificò perché erano già poste da tempo le premesse per il nuovo ordine mondiale che la stessa Russia si disponeva a puntellare, affiancando in funzione grintosamente subordinata l’ex alleato atlantico. Oggi nessun nuovo ordine mondiale stabile è alle porte, nessun concentramento di potenza emergente può né ambisce a proporsi come nuovo egemone, garante del meccanismo di accumulazione capitalistica mondiale.

Pertanto, non possiamo che rinnovare l’auspicio del crollo della signoria americana sul mondo, checché ne pensino i compagni di Battaglia, dai quali non ci saremmo aspettati una lettura così superficiale quando attribuiscono a noi, gli epigoni, le scarse probabilità che l’auspicato crollo si verifichi. No, la valutazione data 1949, è filotempista. Allora sì il crollo era disgraziatamente improbabile. Oggi è diventato una possibilità reale, e lo scriviamo noi, gli epigoni, riprendendo il filo del tempo. La svista è perdonabile, non ci offendiamo per una lettura non proprio attenta dei nostri articoli. Piuttosto fa specie che dei rivoluzionari, forse per assicurarsi l’esclusiva della nobile qualifica, ci attribuiscano sentimenti e atteggiamenti, bontà loro, da fessi (“leggera simpatia”,  “gioia che traspare tra le righe”, “piaggeria che trapela chiaramente”… ).

 

Ci spiace, ma la loro impressione è sbagliata. A noi non ispirano simpatia i Putin, né particolare antipatia gli yankee. Ci stanno sulle palle tutti quanti. Si legga senza pregiudizi quello che scriviamo e se ne troverà conferma (3). Certo, proviamo un sentimento di gioiosa aspettativa quando vediamo traballare un ordine mondiale che ha posto le sue fondamenta ormai da un secolo; evidentemente quelli di Battaglia sono tutti d’un pezzo, non provano emozioni… borghesi. Pare poi che essi schifino le pubblicazioni di Sinistrainrete, e utilizzano i nostri riferimenti a quel sito per dipingerci più... fessi di quel che siamo. Andiamo bene! Con questo spirito si dovrebbe istituire una patente a punti e prevedere una penale per quei pretesi rivoluzionari che accedono a certi siti. Il politically correct in versione internazionalista! Anche questo è sintomo di un atteggiamento tendenzialmente autoreferenziale che non porta lontano. L’invito, lo diciamo senza alcun intento polemico, è a trovate argomenti che aiutino la comprensione di una fase così convulsa, evitando diagnosi psicologiche da portineria, del tutto gratuite, su chi dà risposte diverse dalle proprie ed evitando di scendere a livelli di bassa polemica. Per quanto ci riguarda, non abbiamo alcun interesse a dimostrare di “avere ragione”: continuiamo a lavorare per sviluppare una tradizione che riteniamo vitale per il futuro della causa rivoluzionaria, e dalla quale continuiamo a ricavare strumenti illuminanti per la lettura di questi brutti tempi. Per noi non è questione di parrocchie, e vogliamo credere non lo sia nemmeno per i nostri critici. Non intendiamo partecipare a una gara a chi è più fesso. Preferiamo piuttosto augurare buon lavoro a quanti si impegnano con generosità e onestà intellettuale alla causa.

  

NOTE 

(1)- Gli ironici “battaglieri” di oggi si leggano questo istruttivo passaggio uscito su Battaglia comunista di ieri, e “imparino dal marxismo”:

“È di moda una scienza che si dice recente, la Geopolitica. Essa vuole studiare la geografia del pianeta nei suoi incessanti mutamenti per effetto del soggiorno e dell'opera dell'uomo. È un ramo di scienza che ha capito che le leggi dei fatti storici non si scoprono nelle tracce che hanno lasciato nel cervello dell'individuo ma nella fisica reale degli oggetti ponderabili. Americani, russi, tedeschi, che se la cucinano secondo gli ordini dei superiori, fanno tuttavia capo ad un maestro che ha scritto intorno al 1919, il geografo inglese Mackinder. ‘Oggi, egli scrisse, la carta della terra è completamente disegnata, non vi sono più macchie bianche sul mappamondo. I fattori fisici, economici, politici e militari costituiscono ormai un sistema coordinato’. I borghesi imparano dal marxismo, i pretesi esponenti proletari lo gettano fuori!” (“Il pianeta è piccolo”, Battaglia comunista, n.23, 1950).

(2) Un primo effetto del fallimento dell’offensiva NATO in Ucraina – segnale inequivocabile dell’indebolimento del vecchio ordine – è stata, mesi fa, la fiammata anti-francese nel Sahel, che rischia di incendiare l’intera Africa.

(3) Riprendiamo gli stessi temi nell’articolo “USA: La Signora è da buttare”, il programma comunista, n.3/2023.

INTERNATIONAL COMMUNIST PARTY PRESS
ARTICOLI GUERRA UCRAINA
RECENT PUBLICATIONS
  • Il proletariato nella seconda guerra mondiale e nella
    Il proletariato nella seconda guerra mondiale e nella "Resistenza" antifascista
      PDF   Quaderno n°4 (nuova edizione 2021)
  • Storia della Sinistra Comunista V
    Storia della Sinistra Comunista V
  • Perchè la Russia non era comunista
    Perchè la Russia non era comunista
      PDF   Quaderno n°10
  • 1917-2017 Ieri Oggi Domani
    1917-2017 Ieri Oggi Domani
      PDF   Quaderno n°9
  • Per la difesa intransigente ...
    Per la difesa intransigente
NOSTRI TESTI SULLA "QUESTIONE ISRAELE-PALESTINA"
  • Israele: In Palestina, il conflitto arabo-ebreo ( Prometeo, n°96,1933)
  • Israele: Note internazionali: Uno sciopero in Palestina, il problema "nazionale" ebreo ( Prometeo, n°105, 1934)
  • I conflitti in Palestina ( Prometeo, n°131,1935)
  • Gli avvenimenti in Palestina (Prometeo, n°132,1935)
  • Israele: Fraternità pelosa ( Il programma comunista, n°21, 1960)
  • Israele: Il conflitto nel Medioriente alla riunione emiliano-romagnola (Il programma comunista, n°17, 1967)
  • Israele: Nel baraccone nazional-comunista: vie nazionali, blocco con la borghesia ( Il programma comunista, n°20, 1967)
  • Israele: Detto in poche righe ( Il programma comunista, n°18, 1968)
  • Israele: Spigolature ( Il programma comunista, n°20, 1968)
  • Israele: Un grosso affare ( Il programma comunista, n°18, 1969)
  • Incrinature nel blocco delle classi in Israele(Il Programma comunista, n°17, 1971)
  • Curdi palestinesi(Il Programma comunista, n°7, 1975 )
  • Dove va la resistenza palestinese? (I)(Il Programma comunista, n°17, 1977)
  • Dove va la resistenza palestinese? (II)(Il Programma comunista, n°18, 1977)
  • Dove va la resistenza palestinese? (III)(Il Programma comunista, n°19, 1977)
  • Il lungo calvario della trasformazione dei contadini palestinesi in proletari(Il Programma comunista, n°20-21-22, 1979).
  • In rivolta le indomabili masse sfruttate palestinesi ( E' nuovamente l'ora di Gaza e della Cisgiordania)(Il Programma comunista, n°8, 1982)
  • Cannibalismo dello Stato colonialmercenario di Israele(Il Programma comunista, n°12, 1982)
  • Le masse oppresse palestinesi e libanesi sole di fronte ai cannibali dell'ordine borghese internazionale(Il Programma comunista, n°12, 1982)
  • La lotta delle masse oppresse palestinesi e libanesi è anche la nostra lotta- volantino(Il Programma comunista, n°13, 1982)
  • Per lo sbocco proletario e classista della lotta delle masse oppresse palestinesi e di tutto il Medioriente(Il Programma comunista, n°14, 1982)
  • La lotta nazionale dei proletari palestinesi(Il Programma comunista, n°12, 1982)
  • Sull'oppressione e la discriminazione dei proletari palestinesi(Il Programma comunista, n°19, 1982)
  • La lotta nazionale delle masse palerstinesi nel quadro del movimento sociale in Medioriente(Il Programma comunista, n°20, 1982)
  • Il ginepraio del Libano e la sorte delle masse palestinesi ( Il programma comunista, n°2, 1984)
  • La questione palestinese al bivio ( Il programma comunista, n°1, 1988)
  • Il nostro messaggio ai proletari palestinesi ( Il programma comunista, n°2, 1989)
  • Una diversa prospettiva per le masse proletarie (Il programma comunista, n°5, 1993)
  • La questione palestinese e il movimento operaio internazionale ( Il programma comunista, n°9, 2000)
  • Gaza, o delle patrie galere (Il programma comunista, n. 2, 2008)
  • Israele e Palestina: terrorismo di Stato e disfattismo proletario ( Il programma comunista, n°1, 2009)
  • A Gaza, macelleria imperialista contro il proletariato ( Il programma comunista, n°1, 2009)
  • Il nemico dei proletari palestinesi è a Gaza City ( Il programma comunista, n°1, 2013)
  • Per uscire dall’insanguinato vicolo cieco mediorientale (Il programma comunista, n° 5, 2014)
  • Guerre e trafficanti d’armi in Medioriente (Il programma comunista, n°5, 2014)
  • Gaza: un ennesimo macello insanguina il Medioriente-Volantino (Il programma comunista, n°5, 2014)
  • L’alleanza delle borghesie israeliana e palestinese contro il proletariato (Il programma comunista, n°6, 2014)
  • Israele e Palestina: terrorismo di Stato e disfattismo proletario  ( Il programma comunista, n°3, 2021)
  • A fianco dei proletari e delle proletarie palestinesi! ( Il programma comunista, n°5-6, 2023)
  • Il proletariato palestinese nella tagliola infame dei nazionalismi ( Il programma comunista, n°2, 2024)
We use cookies

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.