DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Nella prima parte di quest’articolo, pubblicata nel numero scorso (“Guerra e lotta di classe. Miserie dell’odierno ‘marxismo occidentale’”), abbiamo preso in esame alcune interpretazioni attuali della guerra in corso in Ucraina, riconducibili a posizioni di tipo “marxismo occidentale”. Se quell'economicismo conduce fuori strada, altrettanto se non peggio produce un altro genere di “marxisti”: quelli inclini ad affidarsi ànema e core alle sorti di chi affronta il Nemico principale. Ieri, a Saddam, a Gheddafi e perfino, perché no?, all'islamismo radicale; oggi, a Putin e a Santa Madre Russia; domani, alla Cina...

A questo proposito, dobbiamo nostro malgrado dedicare qualche riga a un articolo di Aginform (1) rappresentativo di questo filone, anche perché in qualche modo ci chiama in causa. L'articolo prende di mira trotzkisti e “bordighisti” – quindi anche la nostra corrente, per quanto la denominazione sia impropria – accusandoli di esprimere sulla questione della guerra un estremismo sterile, di mettere sullo stesso piano i contendenti senza tener conto delle soverchianti responsabilità della NATO nell'attuale conflitto in Ucraina, di considerare tutti gli Stati imperialisti senza distinzioni, e via dicendo. Questa “tendenza estremista”, che starebbe prevalendo in un fantomatico “movimento comunista internazionale” (vi avrebbe un ruolo guida il KKE greco), starebbe dando una gran mano all'imperialismo atlantico. E tutto ciò a causa dell'influenza controrivoluzionaria di trotzkismo e bordighismo!

Non ci dilunghiamo e passiamo direttamente alla formidabile conclusione dell'articolo:

“Durante il periodo della Resistenza posizioni di questo stampo circolavano ad opera di gruppi trotskisti e bordighisti e Pietro Secchia, sul periodico clandestino La nostra lotta le aveva definite senza mezzi termini ‘sinistrismo maschera della Gestapo’. Come definire oggi le posizioni del KKE e del gruppo di organizzazioni che lo segue ?”

Dobbiamo dedurne che noi oggi saremmo rappresentativi di un “sinistrismo maschera dell'atlantismo”, servi degli americani, spie della NATO. Nella migliore delle ipotesi, questa roba, ridicola quanto intollerabile, è frutto di ignoranza. Dovremmo avere tanta pazienza e spiegare a costoro che noi eravamo anti-atlantisti quando ancora i loro ispiratori stalinisti, del genere Secchia, si riempivano la bocca di antifascismo e contemporaneamente si accordavano con i nuovi padroni contro il proletariato in nome di quella stessa democrazia che oggi viene agitata come modello politico ideale, di contro ai dittatori o autocrati di turno. Dovremmo pazientemente ricordare loro che, prima di convertirsi alla democrazia, quegli stessi stalinisti avevano, dopo il patto russo-tedesco, apertamente fiancheggiato, loro sì, i regimi fascisti. Dovremmo pazientemente spiegar loro che la lotta contro il fascismo non è separabile dalla lotta rivoluzionaria proletaria, altrimenti l'antifascismo è puro opportunismo democratico mascherato da radicalismo, poco importa se pacifista o armato (2). Dovremmo invitarli – con scarse speranze di successo – a leggere qualche nostro testo, principalmente per farsi un'idea del ruolo controrivoluzionario dello stalinismo, e magari per verificare quanto poco siamo indifferenti alla questione degli schieramenti di guerra. Segna la distanza che ci separa dai denigratori di oggi e di ieri il fatto che, mantenendo sempre la barra orientata alla Rivoluzione e avendo a cuore la piena indipendenza del Partito di classe da qualsivoglia alleanza o fronte, ci guardiamo bene dal cadere nel partigianesimo a vantaggio di questo schieramento borghese o quell'altro. Ma per certe capocce è senz'altro troppo.

Il punto cruciale è questo: ciò che vale per i proletari d'Occidente vale per i proletari di tutto il mondo. Ovunque va respinta la chiamata all'Unione sacra contro il nemico esterno, ovunque va respinto ilcrociatismo” in nome della solidarietà di classe internazionale. I “comunisti” del tipo Aginform chiamano invece ancora una volta i proletari a subordinarsi a un fronte borghese: oggi a quello della crociata antiamericana come ieri al fronte della crociata antifascista. Messa in questi termini la loro accusa nei nostri confronti è fondata: non siamo partigiani di nessuna causa borghese, sia pure condotta in nome della “libertà dei popoli e delle Nazioni” dallo strapotere atlantico. Il nostro auspicio è la disfatta del centro vitale dell'imperialismo mondiale: non la vittoria dei concentramenti di potenza suoi nemici, cui ugualmente auguriamo il crollo. Alle sorti della guerra non chiediamo un nuovo ordine capitalistico mondiale, presunto migliore perché più democratico e rispettoso dei “popoli” del precedente, che perpetui l'inganno per il quale i proletari vengono all'occorrenza chiamati al sacrificio per una causa non propria.

Di un altro crimine questa specie di “comunisti” potrebbe accusarci legittimamente: di essere antidemocratici. Ciò che per loro è senz'altro motivo di condanna, per noi è garanzia di fedeltà alla consegna classe contro classe, dittatura proletaria contro dittatura borghese, quale ne sia la forma. Leggiamo da un nostro testo, datato 1953:

“I metodi di repressione, di stritolamento, che lo stalinismo applica a chi da ogni parte gli resiste, trovando ampia spiegazione in tutta la critica ora ricordata del suo sviluppo, non devono dare appiglio alcuno ad ogni tipo di condanna che menomamente arieggi pentimento rispetto alle nostre classiche tesi sulla violenza, la dittatura e il terrore, come armi storiche di proclamato impiego; che lontanamente sia il primo passo verso l'ipocrita propaganda delle correnti del ‘modo libero’ e la loro mentita rivendicazione di tolleranza e di sacro rispetto della persona umana. I marxisti, non potendo oggi essere i protagonisti della storia, nulla di meglio possono augurare che la catastrofe, sociale, politica e bellica, della signoria americana sul mondo capitalistico” (3).

Laddove si comprende bene che la catastrofe della signoria americana porterà alla tomba la forma più ipocrita della dittatura di una classe nella storia: quella che innalzando le bandiere dei “diritti della persona” persegue con la corruzione, il ricatto e la violenza, la sottomissione della specie umana al dominio del mercato. Che nessun nuovo ordine mondiale possa sostituirsi a quello infame che vacilla, se non il comunismo!

Ma procediamo, attraverso questa palude di neo-resistenziali.

Una recente pubblicazione edita da “Operai contro”, vecchia sigla operaista, si schiera senza riserve a fianco dell'Ucraina nella “guerra di resistenza” contro la Russia, in nome del diritto della nazione all'autodeterminazione (4). L’autore lo fa a nome di un non meglio identificato “Partito operaio” e, ritenendosi evidentemente espressione genuina degli interessi della classe operaia, assegna agli operai il compito di “difendere una nazione libera aggredita da una potenza imperialista”, e in questa battaglia nazionale conquistare le condizioni per fondare una “politica operaia”. Che cosa s’intenda per “politica operaia” lo ricaviamo dalla seguente citazione:

“In ogni caso, la presenza degli operai e dei lavoratori poveri nella resistenza apre la possibilità di fondare un proprio movimento, che, mentre combatte contro l'imperialismo russo, può puntare a porre il problema di quale classe dirigerà la gestione della ricostruzione una volta sconfitto l'invasore”.

 

Quindi, l'obiettivo sarebbe, dopo la vittoria contro l'aggressore russo, la direzione operaia della ricostruzione nazionale. I nostri non hanno la pretesa di dare l'avvio a un movimento rivoluzionario che riproponga una prospettiva socialista internazionale, ma più modestamente si accontentano di... una gestione operaia della ricostruzione nazionale ucraina alternativa a quella affaristica del Capitale.

 

Gli “operai” del “Partito Operaio” affermano che tale prospettiva ha il suo fondamento nel movimento di “resistenza” contro l'occupante russo che essi hanno individuato negli operai “che si sono offerti come volontari a combattere contro gli oppressori. E abbiamo capito che operai e lavoratori che imparavano a usare il fucile e confezionare molotov rappresentavano la prova concreta che stava prendendo corpo una lotta di liberazione nazionale, contro l'imperialismo, nel cuore dell'Europa”.

Gli “operai” del “Partito operaio” (forse perché più “operai” degli altri!) hanno “visto” e hanno “capito” ciò che è sfuggito ai più: che gli operai ucraini senza eccezione hanno imbracciato le armi distribuite generosamente dalle autorità di governo per alimentare la guerra di popolo contro l'invasore. Milizie operaie, alle armi! Saremmo cioè in presenza di una sorta di sollevazione nazionale contro l'invasione russa, in cui la componente operaia avrebbe una parte autonoma e determinante. Manca poco che si inneggi alla Comune di Kiev...

Non sappiamo dove gli “operai” del “Partito Operaio” abbiano visto tutto questo, ma non possiamo non registrare la totale sintonia di questa “narrazione” con l'imbonimento mediatico volto a celebrare, esaltandolo, “l'eroismo del popolo ucraino”, “vittima della brutale e ingiustificata” aggressione russa. Per quanto ci riguarda, abbiamo notizie documentate che raccontano un'altra storia, fatta di reclutamenti forzati, di blocco dei confini per i cittadini maschi adulti, di aperta repressione di ogni forma di dissenso e di informazione non allineata, di sparizioni in stile cileno di dissidenti, di liste di proscrizione, di pulizia etnica contro tutto ciò che sa di russo, preti compresi. Cose del genere accadono in ogni guerra e non ci scandalizzano in modo particolare: ma non ci pare proprio che a tenere in piedi lo sforzo bellico dell'Ucraina sia la mobilitazione “operaia”, quanto piuttosto i cospicui finanziamenti dell'Occidente e il supporto a tutto campo della Nato a un regime di guerra che sta mandando al massacro intere generazioni di ucraini, giovani e meno giovani. Senza il supporto Nato, la “resistenza ucraina” non durerebbe un giorno, ma per quelli del “Partito operaio” questo aspetto è secondario. Evidentemente, per loro, convinti come sono che tutto ciò riguardi la “libertà dell’Ucraina”, questo elemento decisivo è del tutto irrilevante, gli interessi dell’imperialismo atlantico coincidono occasionalmente con quelli degli operai ucraini che al momento giusto, forti del sacrificio compiuto, porranno le loro condizioni nella “gestione della ricostruzione”! Temiamo che gli operai ucraini, o ciò che ne resterà, dovranno accontentarsi del percolato degli immensi profitti che il Capitale occidentale si attende dalla “pace”. Si recluti intanto carne da cannone per la guerra, in attesa che chi sarà sopravvissuto possa sperare in una futura pagnotta!

Questa storia ricorda per certi versi le posizioni interventiste “da sinistra” degli anarcosindacalisti (a cui si avvicinarono settori socialisti: lo stesso Gramsci ebbe delle sbandate in tal senso, mentre siòr Benito ci si tuffò a pesce), che vedevano nella guerra la possibilità che un popolo in armi, forgiato nelle battaglie, si trasformasse in irresistibile forza rivoluzionaria. I nostri non hanno di queste pretese: si accontentano che gli “operai”, a vittoria ottenuta, gestiscano la ricostruzione; ma la matrice è quella, tant’è che tra i valorosi “volontari” si arruolano tanto anarchici desiderosi di menare le mani per una qualche causa di “libertà”, quanto fanatici nazistoidi che vanno a rinverdire i fasti del banderismo ucraino (5), intascando nel contempo la lauta paga del moderno mercenario. Il taglio retorico è avvalorato dalla eloquente foto di copertina della pubblicazione, che ritrae nerboruti popolani col pugno chiuso, avvolti nella bandiera ucraina. La ruvidezza dell'estetica dovrebbe testimoniare della volonterosa partecipazione operaia al conflitto, ma sembra piuttosto un tentativo di suggestionare i gonzi, così come il tentativo di presentare il conflitto in Ucraina come una guerra nazionale popolare cozza vistosamente con la realtà delle forze in campo.

L'altro riferimento storico implicitamente richiamato dalla narrazione del “Partito operaio” è, ovviamente, quello alla Resistenza italiana, la “guerra di liberazione nazionale” dall'occupante tedesco. Anche qui entra in campo il fattore suggestivo, con un cambio di divisa dell'invasore: il Russo prende il posto del Tedesco, mentre il “liberatore” (guarda un po'!), rimane lo stesso – la democratica America, ora spalleggiata dal codazzo atlantista. Il tutto conduce a un primo paradosso in virtù del quale alla Russia – cui la guerra contro il III Reich costò 20 milioni di morti – si affibbia il ruolo che ebbero i nazisti a casa sua, e ai “volontari” che combattono contro i russi esibendo insegne e simboli nazisti si assegna il ruolo eroico di “partigiani”. Ecco sdoganato il risorgente nazismo europeo, con i suoi scagnozzi nel ruolo di “combattenti per la libertà”! Alla discesa nell'abisso non c'è limite, ma forse tutto il raccontino delirante comincia ad avere un senso se si guarda dove va a parare.

Non intendiamo soffermarci oltre su questi traballanti paralleli storici, e ci limitiamo a riaffermare la nostra immutata valutazione sulle “resistenze” in tutte le loro varianti, “resistenza ucraina” compresa. Se anche fosse tale e non, com'è oltre ogni retorica, una guerra che coinvolge suo malgrado la popolazione civile (operai compresi), e anche se tale “resistenza” avesse connotati politici riconducibili a quelli della Resistenza storica, il giudizio per noi sarebbe lo stesso: si tratterebbe, allora come oggi, di un movimento interno allo scontro imperialistico. Così come non riconoscemmo a suo tempo un carattere rivoluzionario alla cosiddetta Resistenza antifascista, a maggior ragione non lo riconosciamo alla vera o presunta “resistenza operaia” ucraina, che la pubblicazione in questione ritiene meritoria di una solidarietà operaia internazionale, alla fine dei conti equivalente a uno schierarsi incondizionato sul fronte imperialista della guerra contro la Russia. Allora come oggi, decisivo è il peso finanziario, politico-militare e propagandistico che l'imperialismo mette nello scontro, di fronte al quale l'azione più o meno spontanea di formazioni di “volontari” riveste un ruolo del tutto subordinato. Negarlo equivarrebbe a dire che, grazie alla Resistenza antifascista, gli operai italiani – che certo vi diedero un contributo determinante – poterono incidere nelle scelte politiche che indirizzarono la ricostruzione post bellica, mentre della ricostruzione raccolsero solo le briciole, non senza dover lottare. Lo stesso raccoglierebbero gli operai ucraini, o ciò che resterà di loro, da una vittoria dei predatori d'Occidente.

Basterebbero queste veloci annotazioni per cedere all'impulso di cestinare la pubblicazione come ennesimo prodotto del delirio generale in cui siamo immersi. Ma siamo indotti a spendere ancora qualche parola per due ragioni. La prima riguarda l'indaffararsi dell'autore per dimostrare che la base teorica di una simile posizione si troverebbe immancabilmente nei testi di Marx, Engels e Lenin che affrontano temi riguardanti l’autodeterminazione delle nazioni (6); la seconda ragione è che, ancora una volta di questi tempi, la Sinistra Comunista “italiana”, alla cui tradizione ci onoriamo di appartenere, viene presa di mira, qui come matrice di posizioni indifferentiste o liquidatrici sulla “questione nazionale”, altrove addirittura come “sinistrismo maschera della Gestapo”. Ce n'è per tutti i gusti (7).

La pietra dello scandalo, dunque, va ricercata ancora una volta nella annosa questione dell’autodeterminazione o autodecisione delle nazioni. Gli “operai” del “partito operaio” sono in gran fregola per l'autodeterminazione, si affannano a “snocciolare” citazioni su citazioni per ricordare che Marx ed Engels furono favorevoli alle lotte di liberazione nazionale (ma va?); che Lenin combatté una decisa battaglia interna all'Internazionale per sostenere il “diritto all'autodecisione” delle nazioni oppresse dall’imperialismo (ma va?)... Insomma, gli “operai” del “Partito operaio” sono evidentemente convinti di essere marxisti scafati, mentre gli altri, forse perché non abbastanza “operai”, sono tutti ciuchi che è inutile istruire. E se la prendono in modo particolare con la vituperata Sinistra Comunista, dove distinguono i “principisti” alla Damen (sostenitori dell'astratto principio dell'internazionalismo a prescindere dalle condizioni storiche) dai “bordighisti” che invece storicizzano la “questione nazionale collocando il crinale storico al 1871 (guerra franco prussiana e Comune di Parigi)”, dopo il quale in Europa occidentale la questione nazionale perde ogni connotato “progressivo”. Per quelli del “Partito operaio”, storicizzare è operazione teorica losca, volta a liquidare surrettiziamente nella teoria marxista il valore intangibile dell'autodeterminazione. Dobbiamo concludere che per gli “operai” del “Partito operaio” esiste  un valore, anzi un “principio” intoccabile: l'autodecisione delle nazioni. Altro paradosso: gli “operai internazionalisti” del “Partito operaio” sono fondamentalmente nazionalisti. Questa passione sfrenata per la “libertà nazionale” trabocca da ogni pagina del libriccino.

Non è questo il luogo per affrontare in profondità l'ardua “questione nazionale” nei termini del marxismo rivoluzionario. Ci limitiamo a ricordare che negli anni cruciali del Primo dopoguerra, quando si poneva all’ordine del giorno lo scontro tra rivoluzione e controrivoluzione mondiale, sulla questione dell'autodecisione noi fummo con Lenin: ma, per lui come per noi, nella visione marxista non esistono “diritti” immutabili e superiori, e i rapporti di forza tra le classi e tra gli Stati, in perenne mutamento, trovano la loro ratifica formale in idee, valori, leggi e trattati che il movimento reale della Storia supera e abbandona. Per la Sinistra, la questione dell'autodecisione andava considerata un mezzo tattico utile alla disgregazione degli assetti delle grandi potenze e ad attirare alla causa proletaria le masse delle nazioni oppresse, altrimenti portate ad affiancare la propria borghesia nella battaglia nazionale (8). In ogni caso, un marxista non può prescindere dall'analisi concreta della situazione concreta: dal prendere in considerazione tutto ciò che fa di ogni guerra una questione a sé e che rimanda sempre a un complesso contesto internazionale e a un preciso quadro storico. Nella stessa pubblicazione, si riporta l'affermazione di Lenin che “per essere marxisti bisogna valutare ogni singola guerra in concreto” (p.146). Appunto. I marxisti non sono genericamente contro la guerra, ma prendono posizione nei confronti di ogni guerra determinata dopo averne valutato il quadro generale, il ruolo che può svolgervi il proletariato, gli esiti possibili in funzione delle prospettive del movimento proletario rivoluzionario internazionale. Questa prospettiva è il faro che illumina la valutazione del partito di classe e a essa va subordinata anche la questione dell'autodecisione. Così come non c'è una guerra uguale all'altra, non c'è nemmeno un Paese in un determinato periodo storico in cui la questione dell'autodecisione si ponga allo stesso modo.

E qui si viene al punto. Gli “operai” del “Partito operaio”, nel loro sfoggio di competenza marxista “non dottrinaria”, si dolgono del fatto che “c'è chi ancora una volta vuole sostituire l'analisi concreta del conflitto, unico strumento per declinare in esso gli interessi reali degli operai come classe internazionale, alla vuota e sterile pedanteria dei principi”. Benissimo, ma se si cercano nel pur prolisso libello riferimenti alle concrete condizioni in cui è venuto maturando il conflitto aperto, se ne trovano ben poche tracce. Poco o nulla sul colpo di Stato di Maidan del 2014, sulla strage di Odessa dello stesso anno (eppure le vittime erano operai, con la sola colpa di essere cittadini ucraini di etnia russa), sulla collocazione di questi eventi nei piani USA di coinvolgimento dell'Ucraina in una strategia generale di contenimento della Russia, sull'avanzamento proditorio della NATO ad Est, sulla sanguinosa guerra condotta per anni dalle truppe ucraine contro la popolazione russofona del Donbass, e molto altro ancora. È singolare che a tanta attenzione “marxista” da parte del “Partito operaio” alla questione storica delle nazionalità corrisponda la pressoché assoluta indifferenza alle condizioni in cui è venuta maturando l'operazione militare russa. Ed è quantomeno stridente, per tipi così sensibili all'autodecisione delle nazioni, il silenzio sulla sorte delle popolazioni russofone del Donbass, spinte a proclamare la separazione da Kiev per sfuggire a un regime pesantemente oppressivo nei confronti di tutto ciò che ha sentore di russo entro i confini dello Stato ucraino. Nella pubblicazione, sono riportate queste parole di Lenin: “noi, pur senza predicare immancabilmente la separazione di una data nazione, difendiamo però energicamente e incondizionatamente il diritto di ciascuna nazione all'autodecisione politica, cioè alla separazione”; eppure , per qualche oscura ragione, gli “operai” del “Partito operaio” ritengono che il sacro diritto all'autodecisione non si applichi alla gente del Donbass. La sollevazione in armi del Donbass russofono, in atto fin dal 2014 come reazione al colpo di Stato di Maidan, è sfuggita alla loro “vista” (e se proprio c'è stato qualcosa del genere, lo si declassi a strumento dell'imperialismo russo!), mentre hanno “visto” benissimo la fantomatica “resistenza operaia” ucraina all'invasione russa, e hanno “capito” di essere di fronte a una genuina e spontanea “lotta di liberazione nazionale, contro l'imperialismo, nel cuore d'Europa”. Ce n'è abbastanza per nutrire qualche dubbio sulle diottrie e sul comprendonio in dotazione ai nostri.

Dunque, grande reticenza in merito alla individuazione degli elementi reali che fanno di questa guerra, come di ogni guerra, un evento peculiare, e ciò in aperta contraddizione con le stesse citazioni ampiamente riportate. In compenso, ci viene fornita una chiave di lettura illuminante: “Il tavolo e il cavallo sono la stessa cosa come la guerra di aggressione e la guerra di resistenza”. Per gli “operai” del “Partito operaio”, ciò che può capire anche un bambino non è alla portata del “principista” o dello “storicizzatore” di scuola internazionalista. Lapalisse: una guerra di aggressione (russa) si contrappone a una guerra di resistenza (ucraina). Tutto qua. Alla faccia della analisi concreta della situazione concreta! Abbiamo dovuto sorbire la stessa sbobba vomitata fino all'ossessione da centinaia di pappagalli sui giornali e sui canali televisivi, a tutte le ore del giorno e della notte dall'inizio della Operazione Militare Speciale ad oggi. “La Russia è l'aggressore! Sei un amico di Putin!”. E così taccia ogni voce che osi sollevare qualche distinguo... Ora ci tocca ritrovarla in un opuscolo “operaio” che si dichiara dedito alla “difesa degli interessi reali degli operai come classe internazionale”. Sono proprio sicuri, i nostri “operai”, di essere essi stessi autodeterminati, visto che la loro tesi è perfettamente sovrapponibile a quella della più vergognosa propaganda guerrafondaia occidentale? (9)

Altrettanto stridente, in tipi così sensibili agli “interessi operai”, il silenzio completo sulla repressione esercitata dal regime di Kiev su tutto ciò che si richiami al comunismo e al passato sovietico, su ogni forma di dissenso e di attività sindacale, sulla stessa possibilità di un'informazione non completamente asservita. E sì che a ogni pagina i nostri “operai” ribadiscono la necessità della lotta per la democrazia come presupposto per la lotta per il socialismo! L'orizzonte in cui si colloca questa bizzarra specie di “operai internazionalisti” collima – se ne rendano conto o meno – con gli obiettivi e con i metodi ipocriti delle mefitiche e democraticissime “rivoluzioni colorate” che imperversano ovunque si estendano gli artigli dell'imperialismo USA, vere e proprie operazioni di guerra per consolidare e riaffermare una supremazia globale oltre e contro ogni ostacolo nazionale che vi si frapponga. La mistificazione tocca l'apice quando l'autore dell'opuscolo dichiara che “qualunque nazione minore, che per i suoi processi interni metta in discussione questa collocazione, rischia l'intervento militare, e quando questo si realizza apertamente, le viene negato in concreto il diritto all'autodeterminazione, è costretta a combattere per riconquistarlo” (p.51).  “Per i suoi processi interni”? Forse che il colpo di stato di Maidan fu semplicemente un “processo interno”, e non piuttosto un evento fatale per quel poco che rimaneva del “diritto all'autodecisione” dell'Ucraina? Chi decise la collocazione euro-atlantista dell'Ucraina, visto che gli ucraini avevano eletto un governo non russofobo? Una simile dichiarazione equivale a dire che l'Ucraina era libera di “autodeterminarsi” in membro UE/Nato, e la bieca Russia era decisa a impedirglielo. È esattamente la tesi formulata dai vertici Nato e UE in innumerevoli occasioni, ma è anche un’implicita smentita al carattere “nazionale” della guerra e il riconoscimento del suo svolgersi in un contesto di scontro tra imperialismi

Oggi, lo Stato ucraino è talmente capace di autodeterminarsi che ha alla guida un burattino nelle mani di forze esterne e gruppi di potere interni, è in preda a una dilagante corruzione, e nella condotta della guerra non durerebbe un giorno senza il supporto della Nato, nei cui comandi le sue forze armate sono pienamente integrate. Di suo mette la pelle dei proletari ucraini, e non dimostra alcuna remora nel mandarli al macello per poi esibire al mondo i suoi eroi e giustificare l'afflusso di aiuti militari pagati con ulteriori tagli al sempre più striminzito welfare dei proletari d'Occidente (che fine fanno gli “interessi internazionali degli operai” in questo quadro?). Là centinaia di migliaia di morti, mutilati, invalidi o segnati nella psiche, qui bollette stellari e salari da fame, ospedali e scuole allo sbando: ma gran sferragliare di treni carichi di armi diretti a Est. Tutto questo per che cosa? per il diritto all'autodecisione dell'Ucraina, o c'è ben altro in ballo?

L’Ucraina non combatte una guerra di difesa del proprio diritto all'autodecisione semplicemente perché ha ben poco da difendere: anzi, più procede il disastroso conflitto più il Paese si allontana da ogni residua possibilità di decidere autonomamente il proprio futuro, e fors’anche si allontana la stessa possibilità di sopravvivere come nazione. Al livello attuale di sviluppo dell'imperialismo, questa sorte è condivisa dalla maggior parte delle nazioni, perfino da potenze un tempo in grado di tentare la scalata all’egemonia mondiale. Si guardi com’è ridotta la “grande Germania”, quella che in due guerre mondiali fece vacillare il dominio della sterlina e fu lì lì per invadere il cuore dell’impero britannico. Le hanno letteralmente tagliato il gas – i fraterni alleati – e beatamente il suo governo finge che nulla sia accaduto per non dover dichiarare al mondo che fine ha fatto il suo “diritto all’autodecisione”! Italia, Germania e Giappone pagano l’eterno prezzo degli sconfitti, la servitù politica e militare: altro che “diritto all’autodecisione”! Perfino per le ex potenze imperialiste dell’Asse la possibilità di sviluppare una propria politica indipendente è fortemente limitata da una subordinazione politica, militare ed economica al padrone atlantico che li relega al ruolo di vassalli; le rispettive borghesie, incapaci ormai di svolgere un ruolo “nazionale”, sono ben disposte al sacrificio del proprio proletariato pur di assecondare gli interessi dell'imperialismo egemone, del complesso militare-industriale e delle multinazionali su cui esso si incardina. Eppure, i nostri sedicenti marxisti del “Partito operaio”, mentre straparlano di autodecisione delle nazioni e di “lotta di liberazione nazionale contro l'imperialismo”, non provano alcun imbarazzo nel trovarsi fianco a fianco con le colombelle della famiglia Biden, con i candidi neocons che le stanno dietro, con i vertici Nato, con le multinazionali che intravedono la prossima predazione di pace e sognano di banchettare nelle sconfinate praterie siberiane... Anche al prezzo di portare il mondo sull'orlo del conflitto nucleare. Poco importa, se all'orizzonte si staglia il miraggio della ricostruzione… operaia!

Quelli del “Partito operaio” hanno però la faccia di bronzo di chiamare in causa la distinzione che Lenin fa tra le guerre in base al loro contenuto sociale, tra “guerre di liberazione nazionale” e guerre imperialiste. A loro avviso, quella in corso in Ucraina non sarebbe una guerra imperialista, ma una guerra di liberazione nazionale, dove “la rivalità imperialista si presenta come elemento secondario” (p.82-83), e ciò che conta è l'aggressione dell'imperialismo russo che mirerebbe all'annessione forzata del Paese (p.141). Quindi, per il “Partito operaio” il ruolo della Nato, tutta la complessa operazione messa in atto a livello politico e propagandistico, tutto l'impegno finanziario e militare profuso dall'imperialismo atlantista in questa vicenda, sarebbe un elemento secondario e tutto sommato irrilevante! Come se la forza dell'imperialismo moderno si riconoscesse nell'espansionismo territoriale e non nella capacità di esercitare una pressione economica, finanziaria, politica e militare in grado di forzare a proprio vantaggio le politiche dei singoli stati, fino a modificarne radicalmente gli assetti interni e la stessa collocazione internazionale. Esercizio che solo gli Usa sono in grado di praticare a livello planetario, e che hanno praticato con pieno successo in Ucraina. Riconosciamo una sorta di ammissione, assai reticente, dell'influenza dell'imperialismo atlantico sulle sorti della “libera” Ucraina laddove nell'opuscolo si legge che “se non si vuole giocare con le parole, con l''Ucraina ci troviamo di fronte ad una annessione manu militari di una nazione indipendente, non fuori dalle pressioni reciproche dei paesi imperialisti più forti, ma indipendente quanto lo può essere sulla base del capitalismo una nazione” (p.131). Sfidiamo chiunque a tradurre questo gioco di parole. Si vuol riconoscere che, tutto sommato, c'è un intervento di imperialismi altri, oltre quello russo? E se sì, di quale genere? Da parte di chi e come? Lo si deve dire, se non si vuole “giocare con le parole”! Oppure, ancor più ipocritamente, si vuol dare a intendere che sì, qualche pressione “reciproca” (in che senso “reciproca”?) da parte di imperialismi altri ci può esser stata, ma ciò in qualche misura è inevitabile e naturale “sulla base del capitalismo”. Che cosa si vuol dire? Che in epoca capitalista per la maggior parte delle nazioni non si dà possibilità di piena autodecisione per le pressioni degli imperialismi più forti? Se così fosse, gli operai ucraini dovrebbero prendersela in primo luogo con il proprio governo, completamente asservito agli interessi americani, che ha trascinato il Paese nella catastrofe.

Siamo così al terzo paradosso. Quelli del Partito operaio si dichiarano antimperialisti senza distinzioni (non basta essere anti-americani per essere anti-imperialisti, ammoniscono). Ma, se vedono benissimo le sagome dei carri armati russi, sono poi sordi e ciechi di fronte all'attivismo guerrafondaio dell'imperialismo atlantico, e si nascondono dietro a “giochi di parole” per evitare di addentrarsi nella questione.

Fra le tante eloquenti omissioni, la questione che gli “operai” del “Partito operaio” trascurano completamente è la prospettiva generale, la sola da cui si possono ricavare elementi di comprensione di quanto sta accadendo. La guerra in Ucraina è un momento di uno scontro tra imperialismi, in cui il vecchio centro dominante atlantico tenta di riaffermare la propria supremazia mondiale di fronte all'inarrestabile ascesa del grande concorrente cinese e allo spostamento del baricentro dello sviluppo capitalistico in Asia. Se gli Usa riuscissero nell'intento di sconfiggere la Russia e smembrare la Federazione in un mosaico di staterelli impotenti, anche la Cina cadrebbe. Di qui, il naturale avvicinamento tra Cina e Russia, che rafforza la tendenza al declino dell'egemonia americana. Ora che si profila uno scontro epocale che deciderà le sorti dell'umanità, gli “operai” del “Partito operaio” auspicano la sconfitta della Russia, ciò che aprirebbe la strada al rafforzamento della presa dell'imperialismo americano sul mondo intero e all'affossamento di ogni velleità di autodeterminazione non della piccola Ucraina, già virtualmente svenduta, depredata e spiumata a dovere, ma di colossi come Russia, Cina e India, oggi ancora in grado di svolgere una propria politica. L’imposizione di una generale e duratura pax americana è la prospettiva più fetente, la più lontana dagli interessi del proletariato e della sua rivoluzione (10).

Dal secondo dopoguerra, noi continuiamo ad auspicare la catastrofe della signoria americana, non per anti-americanismo né tantomeno per adesione a un qualsivoglia “fronte”, ma come condizione necessaria per la liberazione di un enorme potenziale di energie di classe che oggi rimane schiacciato sotto la minaccia del gendarme mondiale, con le sue migliaia di basi dislocate ad ogni latitudine. Poiché nessun imperialismo emergente è in grado di succedergli nel ruolo di poliziotto del mondo, la caduta dell'imperialismo atlantista può preludere al crollo dell'assetto imperialista mondiale, già profondamente scosso, e all'aprirsi di prospettive oggi inimmaginabili alla lotta di classe internazionale.

Questi del “Partito operaio” sono ben strani: si dichiarano “internazionalisti”, ma si schierano col nazionalismo più spinto; sono fanatici del diritto delle nazioni all'autodeterminazione (ad esclusione, chissà perché, delle popolazioni russofone), ma appoggiano un governo quisling degli USA; sono fautori dell'analisi concreta della situazione concreta, ma la evitano come la peste; si dichiarano “anti-imperialisti”, ma considerano del tutto irrilevante che la loro “guerra di liberazione nazionale” si regga sulle armi e i finanziamenti dell'imperialismo dominante e ne condivida gli obiettivi strategici... Insomma, siamo davanti a un caso palese di schizofrenia (11)! Tutta la faticosa costruzione crolla dal momento in cui si riconosce il carattere imperialista della guerra in corso, e tutta la mole di citazioni di Marx, Engels e Lenin, riportate e commentate, si volge contro il sostegno alla presunta guerra di “resistenza nazionale” dell'Ucraina. Una guerra di “liberazione nazionale contro l'imperialismo” per l'autodeterminazione o per decretare la propria subordinazione a un imperialismo ben più oppressivo e vorace? Tutta la questione si può riassumere in queste parole di Lenin, che la stessa pubblicazione riporta (p.150):

“Negare la 'difesa della patria', cioè la partecipazione a una guerra democratica, è un'assurdità che non ha niente a che spartire con il marxismo. Abbellire la guerra imperialistica, applicandole la nozione di 'difesa della patria', spacciandola cioè per una guerra democratica, significa ingannare gli operai e passare dalla parte della borghesia reazionaria”.

Ci vuole una gran faccia di tolla a citare la condanna di Lenin rivolta a chi “abbellisce la guerra imperialistica” e presentare la guerra in corso con i tratti della “guerra democratica” di un paese oppresso contro un paese oppressore, quando lo stesso “paese oppresso” è a sua  volta oppressore di nazionalità, governato da corrotti al servizio dell'imperialismo egemone, indifferenti alle sofferenze della popolazione e dei soldati mandati a morire per gli interessi del capitale internazionale in nome della “difesa della patria”!

L'equivoco libello si lancia nella patetica impresa di contrabbandare la tesi di un marxismo allineato all'ultra-nazionalismo e alle “rivoluzioni colorate”. Riesce solo a far tristezza. Suggeriamo agli autori di basare la loro prossima fatica letteraria sulla bibliografia completa di Bruno Vespa. Vi ritroveranno le vere fonti del loro pensiero.

NOTE

1-  https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/24347-aginform-la-strategia-imperialista-e-il-ruolo-della-russia.html)

2- Su questo si rimanda al nostro articolo “Lebbra dell'illegalismo bastardo”, Battaglia Comunista, n.13/1952.

3- Premessa del 1953 al nostro Dialogato con Stalin, (https://www.quinterna.org/archivio/1952_1970/pre_dialostalin.htm).

4- Questo il titolo: L'internazionalismo operaio e il diritto dell'Ucraina all'autodeterminazione, Ed. Operai contro.

5- Dal nome del leader nazionalista ucraino, con aperte simpatie per (e ripetute collaborazioni con) il regime nazista, Stepan Bandera (1909-1959).

6- L'operazione è condotta con grande utilizzo di citazioni, tanto che per entrare nel merito dovremmo stilare un trattato sulla “questione nazionale nell'epoca dell'imperialismo”. Non è questo il luogo per sviluppare un argomento così complesso e proprio per questo facilmente orientabile in un senso o nell'altro da qualsiasi manipolatore. Qui ci limitiamo a una rapida risposta polemica, segnalando, nel corso dell'esposizione, che senza i presupposti della “resistenza operaia” e della “guerra nazionale” le stesse citazioni tratte da Marx, Engels e Lenin fanno crollare tutta la costruzione “teorica”. I “teorici marxisti” del “Partito operaio” non meritano più attenzione di così.

7- La pubblicazione prende di mira a ogni piè sospinto le posizioni della Sinistra comunista, ma si guarda bene dal chiamare in causa direttamente i nostri testi. Preferisce ricorrere all'espediente di attaccare le affermazioni di due personaggi, a quanto pare vagamente riconducibili alla nostra area, per prenderli in castagna e fare di tutta l'erba un fascio...

8- Su questo, rimandiamo alla lettura del nostro articolo “Patria economica?”, Battaglia comunista, n.12, 1951.

9- Due parole nel merito delle quattro gambe che confondono le idee. È davvero così facile distinguere un cavallo da un tavolo, nelle questioni che attengono ai rapporti tra imperialismi? È davvero così immediato distinguere l'aggredito dall'aggressore? Quando l'Iraq “aggredì” il Kuwait, dopo una lunghissima e sanguinosissima guerra combattuta per conto degli interessi occidentali contro l'Iran, improvvisamente Saddam divenne il “dittatore” che minacciava la stabilità e la pace mondiale e applicava il diritto di realizzare le ambizioni dell'Iraq ad assurgere a potenza regionale come premio per i meriti acquisiti sul campo. Si narra che, ricevuto segretamente il placet dei vecchi padroni, cadde nella trappola e mal gliene incolse. L'aggressore fu schiacciato da una aggressione ben più poderosa da parte di quell'Occidente di cui fino ad allora era stato fedele vassallo. È solo un esempio, ma in generale, per tutte le guerre, l’attribuzione del ruolo di “aggredito” e di “aggressore” non è affatto scontata. Non di rado è il più debole che si risolve ad aggredire per anticipare l'imminente attacco di un più potente nemico. La risoluzione dello “zar Putin” di lanciare la Operazione Militare Speciale (“zar”, “dittatore”, “autocrate”, “aggressore”, “pazzo” sono categorie morali prima che politiche, ad uso dell’algido giudizio dei democratici e degli “operai” maestri di etica) si determinò in un contesto di deliberato superamento delle linee rosse che mettevano in pericolo l'esistenza stessa dello Stato russo, o ne comportavano la completa resa alla pressione dell'imperialismo atlantista. Chi si affida a categorie morali o giuridiche (ciò che è “conforme al diritto”, ciò che è “legale” o “illegale”) per esprimere una valutazione delle forze in campo, delle loro azioni e delle prospettive che ne derivano, si pone completamente al di fuori del metodo materialistico marxista, fondato sui rapporti reali tra le classi internazionalmente, e non solo all'interno dei singoli Stati.

10- La prospettiva di una “pace borghese” mondiale sotto le bandiere della democrazia atlantista “la consideriamo un’eventualità peggiore di quella di un capitalismo generatore di guerre in serie fino al suo crollo finale; vediamo in essa l’espressione più controrivoluzionaria ed antiproletaria, quella, tutt’altro che sorprendente per la visione teoretica marxista, che maggiormente concentra al servizio della oppressione capitalistica, in una polizia mondiale di ferro a comando unico e col monopolio di tutti i mezzi di distruzione e di offesa, il mezzo di strozzare ogni ribellione degli sfruttati” (“Pacifismo e comunismo”, Battaglia comunista, n.13/1949). 

11- Annotiamo che la pratica di far convivere in un discorso elementi tra loro contraddittori e inconciliabili, così come quella di assumere a sostegno delle proprie tesi citazioni che apertamente le contraddicono, corrisponde a una precisa modalità di manipolazione mentale, tendente a far perdere punti di riferimento stabili al pensiero. La conseguenza è che il principio di realtà viene tendenzialmente cancellato e sostituito da una qualsiasi visione arbitraria, in ogni momento sostituibile da un'altra altrettanto fasulla e altrettanto funzionale a una rappresentazione del mondo utile agli interessi delle classi dominanti...

I Parte - Guerra e lotta di classe (I) Miserie dell’odierno “marxismo occidentale”

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