DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

 

Tabelle:


 

Tab. 11 - Indice delle esportazioni mondiali, dei 6 grandi, Urss/Russia e Cina 1948-2005

Tab. 12 – Decrescenza dei ritmi di incremento del commercio mondiale 

Tab. 13 – Quote di ripartizione del commercio mondiale (export) 

Tab. 14 – Contributo all’espansione del commercio mondiale (export) 

 

Note:


1. Cfr, “Introduzione – L’espansione storica del volume della produzione mondiale - Ia parte”, in “Il programma comunista”, n.1/2005.

2 Lenin, “A proposito della cosiddetta questione dei mercati”, in Opere complete, vol. I°, Editori Riuniti, pagg. 69 e seguenti.

3 K. Marx, Il Capitale, Libro III, Utet, pag.304.

4 «Come tutto è diventato monopolio, vi sono ai nostri giorni [1848!!! - testa di legno d’un fariseo dell’economia borghese! NdR] anche alcuni rami industriali che dominano tutti gli altri e che assicurano ai popoli che li sfruttano di più l’impero del mercato mondiale» K. Marx, “Discorso sulla questione del libero scambio”,  Opere complete, Vol. VI, Editori Riuniti, pag. 482

5 K. Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, La Nuova Italia, Vol. II, pagg. 332-334.

6 Lenin, L’imperialismo, Opere in sei volumi, vol II, pag. 467. Ancora Lenin: «Ricordiamo su che cosa è basata la sostituzione della moderna epoca imperialista alla precedente epoca "pacifica" del capitalismo: sul fatto che la libera concorrenza ha ceduto il posto alle unioni monopolistiche dei capitalisti e che tutto il globo è stato ripartito. E' chiaro che questi due fatti (e fattori) hanno effettivamente un significato mondiale:  il libero commercio e la concorrenza pacifica erano possibili e necessari finché il capitale poteva ampliare senza ostacoli le sue colonie e conquistare in Africa e altrove delle terre non ancora occupate, fino a quando la concentrazione del capitale era ancora debole e inoltre non esistevano imprese monopolistiche, imprese così grandi da dominare completamente un dato ramo dell'industria. Il sorgere e lo svilupparsi di tali imprese monopolistiche rendono impossibile la passata libera concorrenza, poiché le minano il terreno sotto i piedi, mentre la spartizione del globo costringe a passare dall'espansione pacifica alla lotta armata per una nuova divisione delle colonie e delle sfere di influenza» (Lenin, “Il fallimento della II Internazionale”, Opere in sei volumi, vol. II, pag. 348).

7 Da “Proprietà e capitale”, uscito a puntate su quella che allora era la nostra rivista Prometeo, tra il 1948 e il 1950.

8 K. Marx, Il capitale, Libro III, cit., pag. 304. Esso rappresenta una delle cause antagoniste alla caduta tendenziale del saggio generale del profitto indicate nel Cap. XIV del Libro III del Capitale.

9 Idem, pag. 304-305.

10 Ciò inoltre permette con più facilità la cosiddetta pratica del “dumping” utilizzata per entrare nel mercato interno di un paese estero a danno sia dei concorrenti esteri sia in particolare per estromettere e distruggere i produttori locali.

11 «Ramsay ed altri economisti pongono giustamente una differenza tra l’aumento della produttività che si verifica nelle branche industriali che sviluppano il capitale fisso, e naturalmente i salari, e quello che si verifica in altre industrie, per esempio nelle industrie che producono articoli di lusso. Queste ultime non possono ridurre il tempo di lavoro necessario [in quanto tali articoli non entrano nel consumo immediato dell’operaio ossia nel costo di produzione della merce forza lavoro - NdR]. Ma possono farlo mediante lo scambio con i prodotti agricoli di paesi esteri, e allora è come se la produttività fosse aumentata nell’ambito dell’agricoltura. Dunque l’importanza del libero commercio del grano per i capitalisti industriali» ( K. Marx, Lineamenti fondamentali dell’economia politica, cit, Vol.II, pagg. 465-6).

12 K. Marx, Il Capitale,  Libro I, cit., pag. 899.

13 Idem,  pag. 919.

14 Idem, pag. 923.

15  Lenin, “A proposito della cosiddetta questione dei mercati”, cit., pagg. 69 e seguenti.

16 K. Marx, Il capitale, Libro I, cit., pag. 267.

17 Al crescere della potenza produttiva del mostro meccanico, decresce la qualità e il tenore nutritivo dell’alimento, ne decresce la quantità pro capite e ne aumenta il prezzo. E il capitale sa bene come agire affinché questa quantità pro capite non sia mai in eccesso.

18 Vadano come esempi tutta la “gloriosa “ storia della Banca Mondiale e del FMI e le cosiddette “ristrutturazioni” del debito dei Paesi del Terzo Mondo.

19 Lenin, L’imperialismo, cit., pag.499.

20 La lista sarebbe assai lunga e comunque incompleta perché in continuo aggiornamento. In essa, gli Usa hanno un posto in prima fila, a cominciare da ciò che hanno sempre considerato il loro giardino di casa: l’America centro-meridionale.  Detto di passaggio, trovano posto in questo sistema di “buone relazioni” e di concorrenza tra imperialisti i cosiddetti “aiuti umanitari”, che hanno tutt’altro fine che  il disinteressato aiuto.

21 K. Marx, Il capitale, Libro I, cit., nota d) alla 3° edizione, pag. 767-8.

22 Assai prima della fine del conflitto, la superpotenza emergente, gli Usa, e quella in declino, la Gran Bretagna, dietro i quali stava il debito corollario di Stati minori (o meglio satelliti) poco dopo aderenti agli accordi, si preoccuparono di disegnare i piani del  nuovo ordine mondiale. Al di là delle beffarde enunciazioni della Carta Atlantica (14/8/1941), poi Dichiarazione delle Nazioni Unite (1/1/1942), di liberare l’umanità per sempre dalla paura e dal bisogno mentre si continuava a massacrare e affamare milioni di proletari, al di là del cosiddetto diritto all’autodeterminazione dei popoli rispetto alla forma di governo sotto la quale vogliono vivere, della rinuncia all’impiego della forza, al di là di tutto ciò, una volta distrutta la tirannia nazista, un posto ben più concreto occupavano la ricostruzione economico-finanziaria, la libertà di commercio e di accesso alle materie prime del mondo. Libertà di commercio e dei capitali che per gli Usa, alla fine del conflitto, sarebbe divenuta imperiosa necessità, determinata dalla loro grande espansione produttiva causata dalla guerra e dalla riconversione di parte del mastodontico apparato industriale-militare in produzione civile: per evitare che la loro potenza economica subisse un tracollo, il resto del mondo e in particolare l’Europa e il Giappone dovevano aprire le loro frontiere alle merci e capitali americani. Ma soprattutto, nell’immediato, occorreva che tali dissanguate economie e con le bilance dei pagamenti in profondo rosso potessero assorbire a piene mani le merci americane: necessità che gli Accordi di Bretton Wood (1944), con cui gli Usa ottennero/imposero la loro moneta come valuta di riferimento per gli scambi internazionali soppiantando definitivamente la sterlina, e l’Accordo Generale sulle tariffe e il commercio (GATT), in cui i rapporti commerciali tra USA ed Europa rappresentavano la sostanza, non potevano risolvere. D’altro lato, le disastrate economie europee potevano offrire al capitale americano, pletoricamente gonfiatosi durante la guerra, occasione di investimento a un saggio di profitto assai più elevato di quello realizzabile in patria. Così, nel 1947, con il Piano Marshall, dietro l’ipocrisia degli aiuti e prestiti disinteressati, dopo aver tenuto le economie europee ed extraeuropee nell’incertezza distribuendo “gratuitamente” viveri, gli astuti finanzieri americani si apprestarono a comprare le industrie europee in fallimento, con i quattro soldi che stampavano a ripetizione, e ad assicurarsi così elevati tassi di profitto (che soltanto economie che partivano da zero potevano produrre) e il mercato di sbocco alle loro merci. Chiudendo questa breve parentesi, tutta la successiva evoluzione in estensione dei contenuti del Gatt (poi WTO), passando per l’Uruguay Round, e tutta la proliferazione sia delle cosiddette aree di libero scambio, dalla Ceca, CEE, e UE, fino al Nafta, all’Asean, al Mercosur, all’Apec, ecc., sia degli accordi bilaterali, mentre da un lato sono il prodotto della necessità di espansione del mercato, sempre più ristretto e saturo, e della lotta tra concorrenti  e gruppi di concorrenti, dall’altro non sono che la superficie sotto la quale stanno ben altre forme e strumenti di penetrazione e lotta senza quartiere tra i maggiori briganti imperialisti per mantenere ed estendere il proprio mercato, la propria fetta di plusvalore mondiale, da cui dipende la propria potenza economica e militare, il proprio peso specifico nella competizione globale. Vi sono le forme tipiche dell’imperialismo, che Lenin mette ben in evidenza nel suo “opuscolo popolare”, e a cui in parte abbiamo accennato in precedenza.

23 Se da un lato, le tariffe doganali applicate dai paesi industrializzati, in base agli accordi susseguitesi in seno al Gatt, si sono ridotte mediamente al 4% nel 1990  rispetto al 40% del 1946, dall’altro di sono moltiplicati i cosiddetti diritti di “compensazione” nell’ambito delle procedure antidumping, mediante il proliferare di restrizioni non tariffarie e in particolare  del contingentamento delle importazioni con la pretesa di compensazioni imposte ai paesi fornitori. “Secondo un studio realizzato nel 1986 dalla Banca Mondiale, quasi l’80% del commercio internazionale sfuggirebbe alle disposizioni del GATT: un quarto degli scambi è sottoposto a quote o ad accordi di limitazione; un altro quarto corrisponde ai movimenti fra case madri e filiali delle multinazionali  e un altro quarto è oggetto di accordi di baratto”. La Banca dei Regolamenti Internazionali , nel suo 62° Rapporto Annuale (1992), annotava: “In questi ultimi anni la politica di molti paesi industrializzati  si è sempre più allontanata da quell’ideale di libero scambio che aveva motivato la liberalizzazione progressiva e multilaterale del commercio dopo la guerra e che era stata ricompensata da decenni di prosperità senza precedenti” (cit. in André Gauthier, L’economia mondiale dal 1945 al oggi, Il Mulino, pag.118-119). Senza accennare alle ripetute dispute, controversie, ritorsioni (ad esempio, tra i grandi Usa-Giappone-UE a cui poi si è aggiunta la Cina), il Doha Round, annunciato nel 2001 come il più grande negoziato commerciale a favore dello sviluppo, al di là del suo ripetuto fallimento, in particolare nel settore agricolo, mette in esemplare evidenza come libero mercato e  “sviluppo” siano soltanto forme di brigantaggio e di asservimento da parte dei più forti a discapito dei più deboli, e come liberoscambismo-protezionismo sia intercambiabili o perseguiti contemporaneamente, a seconda della bisogna.

24 Nota metodologica. La fonte dei dati su cui sono elaborate la Tabella 11 e le tabelle seguenti è il database dell'UNCTAD. La serie storica per il Mondo e i singoli paesi e aree è in dollari correnti e parte dal 1948, sebbene in tale anno e nel successivo vi siano alcune lacune. Abbiamo quindi trasformato tale sequenza in dollari costanti, utilizzando lo stesso metodo applicato nel 1957 per la composizione del “Prospetto VIIa”, pubblicato nel “Programma comunista”, n.22/1957, ossia rapportando i valori annui correnti all’indice generale dei prezzi alla produzione USA (Producer Price Index, da cui l’acronimo PPI), con base 1982=100, reperibili dal database del Bureau of Labor Statistics americano. In nulla influisce, ai fini della determinazione delle serie degli indici del commercio, il ridurre i valori correnti a prezzi costanti del 1934 piuttosto che del 2000. Tenuto conto che i due prospetti (VIIa e VIIb) del 1957 riguardano purtroppo solo il Mondo e non i singoli paesi, non abbiamo provveduto all’aggiornamento degli stessi, pur potendolo fare. Pertanto, a differenza della produzione industriale, abbiamo qui la sequenza storica a partire dal 1948-50: ma ciò basta e avanza.

25 Essendo proprio questo uno dei puntelli della sua preminenza, dietro tutte le panzane che sono state raccontate e ancora si racconteranno circa l’intervento americano in Iraq non c’è solo il controllo strategico delle zone di produzione e trasporto dell’oro nero, ma anche la strenua difesa del dollaro come unica moneta di transazione.

26 Lenin, L’imperialismo, Opere in sei volumi, vol II.  pag.524

27 E’ da sottolineare che il dato risulta sopravvalutato, in quanto i dati dell’Unctad, come è visibile dalla stesse tabelle, sulla cui base esse sono elaborate, sono mancanti per parecchi Stati, tra cui la Germania, l’Urss e la Cina, della stima delle loro esportazioni per gli anni 1948 e 1949. In ogni modo, la sovravalutazione non dovrebbe essere significativa, dato che è ipotizzabile uno  scarso volume delle parti mancanti.

28 Dagli anni della crisi del ’75, la classe operaia americana, fino ad allora la meglio pagata al mondo, diviene progressivamente quella peggio retribuita in rapporto alla classe operaia degli altri maggiori imperialismi, e ancora oggi il salario medio orario reale è inferiore al massimo registrato nel 1973.

29 Nel 1978, venne concluso il primo accordo commerciale di lungo periodo con il Giappone, principale mercato di sbocco fino al 1992: con esso, la Cina si impegnava a fornire petrolio e carbone in cambio di acciaio, fabbriche “chiavi in mano “ e tecnologie avanzate per la petrolchimica e la metallurgia. E’ invece del 1979 l’accordo con gli Usa, con cui questi ultimi attribuivano alla Cina la clausola di nazione più favorita, clausola mai messa in discussione nonostante le farse sul non rispetto “cinese” dei diritti umani ed altre idiozie del genere.

30 Unctad, Trade and Development Repo

 

 

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°01 - 2008)

 

 

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