DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

È spiacevole dover ricorrere, con implicazioni negative, a immagini del mondo animale. Ma che cos’altro se non avvoltoi erano quei politici che, per puro calcolo elettorale, l’8 agosto si sono precipitati a Marcinelle, in Belgio, per avvolgere di rivoltante retorica il ricordo di un ennesimo massacro proletario verificatosi 66 anni fa; o quegli altri che, per il medesimo calcolo elettorale, hanno creduto di dover reagire all’immonda sceneggiata con una retorica altrettanto rivoltante e altrettanto interessata? Avvoltoi gli uni e gli altri.

L’8 agosto 1956, a Marcinelle, nel Belgio delle miniere di carbone dove marcivano minatori locali e minatori immigrati, fra cui il grosso contingente di proletari italiani “acquistati” da quel Paese in cambio di carbone per l’Italietta del boom economico e dell’emigrazione forzata, ci fu una delle innumerevoli (fino a quel giorno: da allora in poi...) “tragedie del lavoro” [1]. Dei 275 proletari chiusi nelle gallerie in quel mattino dannato, in 262 morirono per il fuoco e il fumo: 95 erano proletari belgi, 136 italiani, 8 polacchi, 6 greci, 5 tedeschi, 3 ungheresi, 3 algerini, 2 francesi, 2 russi, 1 inglese, 1 olandese. Dopo il “disastro” di Monongah (1907, West Virginia, USA: più di 362 morti “ufficiali”, di cui almeno 170 italiani) e quello di Dawson (1913, New Mexico, USA: 263 morti, di cui 146 italiani), quello di Marcinelle è il terzo per numero di vittime italiane.

Dagli Stati Uniti alla Cina, dal Sud Africa all’Europa e all’America Latina, il lavoro nelle miniere del Capitale non ha mai smesso di mietere vittime: per crolli, per incendi, per asfissia, oppure, più sottilmente ma non meno orribilmente, per lenta malattia mortale. Il 6 agosto scorso, il quotidiano La Stampa riportava l’ennesima notizia di minatori-bambini che, nelle cave di carbone in Afghanistan, scavano a mani nude per 15 ore e l’equivalente di 6-7 dollari al giorno... Il “migliore dei mondi possibili”!

L’unica differenza fra gli avvoltoi-animali e gli avvoltoi-politici sta nel fatto che i primi obbediscono a ciò che detta la Natura, i secondi a ciò che detta il Capitale.

Di seguito, ripubblichiamo un capitoletto del nostro lungo articolo “Drammi gialli e sinistri della moderna decadenza sociale”, scritto a caldo e dedicato, fra l’altro, a Marcinelle.

 

Marcinelle

Allorché su queste colonne pubblicammo la serie sulla Questione agraria e la Teoria della rendita fondiaria secondo Marx, avvenne in Italia la sciagura di Ribolla, che fece 42 vittime contro le ormai sicure 250 e più di Charleroi. La stessa dottrina economica della rendita assoluta e della rendita differenziale si applica, come al terreno agrario, alle estrazioni di materie utili dal sottosuolo, alle forze idrauliche, e simili. Non a caso si dice «coltivare» una miniera. Intitolammo un paragrafo dell'esposto: Ribolla, o la morte differenziale.

Nell'economia del mondo capitalista tutti i consumatori di beni che sono offerti dalla natura, li pagano a condizioni più severe di quelli che sono tratti da umano lavoro. Per questi pagano il lavoro, ed un margine di sopravalore che la concorrenza, fin che vige, tende a ridurre. E la società borghese li offre ai suoi membri più a buon mercato delle precedenti società, poco manifatturiere.

I prodotti della terra in senso lato sono pagati dal consumatore secondo il lavoro e il sopralavoro, adeguati al caso del «terreno peggiore». Anche in questo caso tuttavia si aggiunge un terzo termine: la rendita, ossia il premio al monopolista della terra, al proprietario fondiario, terza forza della società borghese «modello». Il terreno più sterile detta per tutti i consumatori di cibi il prezzo di mercato. Ne segue che i proprietari monopolisti dei terreni più ricchi aggiungono alla rendita assoluta, o minima, la rendita differenziale dovuta al minor costo delle loro derrate, che il mercato paga allo stesso prezzo.

Crescendo i popoli e il consumo, la società deve dissodare le terre vergini e utilizzare tutte le superfici libere, fertili o sterili. Il limite alla fisica estensione determina il monopolio, e le due forme della rendita.

Per ardua che a molti la teoria appaia, essa è cardine del marxismo, e solo chi non l'ha mai digerita crede che la dottrina dell'imperialismo sia sorta come un'aggiunta al marxismo, studio preteso del solo capitalismo concorrentista. La teoria della rendita contiene tutta quella del moderno imperialismo, del capitalismo monopolista, creatore di «rendite» in campi anche prevalentemente manifatturieri, e che quindi si può chiamare col termine di capitalismo a profitto più rendita, e con Lenin: parassitario.

Bene intesa la dottrina, viene chiaro che nulla cambia se questa rendita con radici in cespiti tradizionali e nuovissimi, passa allo Stato, ossia alla società medesima capitalista organizzata in macchina di potere: ciò avviene al fine di tenere in piedi il suo fondamento mercantile monetario ed aziendale. Prima di Marx, Ricardo lo aveva proposto e Marx ne svolge la critica, fin dalla sua formazione, completa ed integrale.

I giacimenti di lignite di Ribolla sono tra i meno fertili, come lo sono in massima quelli belgi di antracite, e mai converrà al capitalismo, dove non vi è premio di rendita differenziale, come nelle migliori miniere di francesi, olandesi, inglesi, tedeschi, americani, spendervi per installazioni più costose atte ad aumentare la resa e garantire la vita del minatore.

All'economia presente non è d'altra parte consentito di chiudere quelle miniere; e resteranno allo stato di quelle descritte da Zola nel Germinal, col cavallo bianco che non vedrà mai la luce del sole, e che comunica con uno strano linguaggio della tenebra con due minatori condannati con lui dalla «società civile». Può il Progresso fermarsi, per scarsità di carbone?!

Ora che esiste una Comunità superstatale del Carbone, come del Ferro, tra Stati che hanno nazionalizzato le ricchezze sotterranee al pari dell'Italia, e su scuola fascista, si hanno gli estremi di ultramonopolio, per saldare sulla scala delle rendite differenziali, basse a Ribolla o a Marcinelle, una rendita base assoluta. Ma questa non basterà certo a pagare nuovi impianti, forse appena alla macchinosa impalcatura affaristico-burocratica che lavora, lei sì! «alla luce del sole».

Quando le logore condutture elettriche dei pozzi fanno divampare l'incendio, non bruciano solo le attrezzature e le carcasse degli uomini, ma brucia il carbone del prezioso, se pur poco fertile, giacimento geologico. Brucia perché le gallerie scavate dall'uomo gli conducono l'ossigeno dell'aria atmosferica, ed ecco il perché dei muri di cemento che esistevano a tappare vecchie gallerie. Quindi l'alternativa tecnica: mandare giù ossigeno per i morenti e i temerari loro salvatori, o chiuderlo perché ogni tonnellata di ossigeno ne annienta circa mezza di carbone? I minatori hanno gridato, all'arrivo dei preparatissimi tecnici chiamati di Germania: li avete fatti venire per salvare non i nostri compagni, ma la vostra miniera! Il metodo, se le urla inferocite dei superstiti non si fossero levate troppo minacciose, sarebbe stato semplice: tappare tutti gli accessi!

Senza ossigeno tutto si calma, l'ossidazione del carbonio, e quella analoga che avviene dentro l'animale uomo, e chiamiamo vita.

Vi è dell'altro - e non sono periodici rivoluzionari che riferiscono queste cose! Per un'antichissima tradizione, che certamente è più vecchia del sistema sociale capitalistico, fino a che il minatore non è riuscito, vivo o morto che sia, dalla sinistra bocca della miniera, questa continua a pagare per lui l'intero salario, anzi il triplo di esso. Il minatore infatti ha solo otto ore da permanere là sotto, e se non esce si suppone che stia erogando altro turno. Quando il cadavere è estratto e riconosciuto, i turni sono chiusi, e la famiglia non avrà che una pensione, inferiore dunque all'importo di un turno solo. Interessa dunque la compagnia, privata o statale o comunitaria, che le salme escano comunque; sembra che per questo le donne urlavano che le bare chiuse, su cui posavano pochi oggetti riconoscibili per l'identificazione, non si sapeva se contenessero detriti degli uomini, o del giacimento.

Fate uscire tutti i vivi, e tappate per sempre queste discese! Non potrà mai dirlo la società mercantile, che si impantanerà in inchieste, messe funerarie, catene di fraternità, in quanto capisce solo la fraternità da catena, lacrime coccodrillesche, e promesse legislative ed amministrative tali da allettare altri «senza riserva» a chiedere di prendere posto ancora nelle lugubri gabbie degli ascensori: di cappello alla tecnica! Non è facile cambiare il sistema di coltivazione seguito per lunghissimi periodi. E la teoria della Rendita vieta che si lasci ferma l'ultima miniera, la più assassina: è dessa che detta ad una società negriera e strozzina il ritmo massimo della folle danza mondiale del business carbonifero; che appunto il limite geologico dei suoi orizzonti futuri, restringendosi, spinge sulla china dell'economia di monopolio, del massacro del produttore, del ladrocinio contro il consumatore.

Il racconto giallo di Marcinelle fa vibrare i nervi del mondo. Per quanti altri turni, di otto ore per otto, i «dispersi» del ventre della terra, come ieri quelli delle profondità dell'Adriatico, consumeranno ricchezza di questa civile economia borghese, che da tutte le cattedre vanta la sua spinta gloriosa verso un più alto benessere? Quando si potrà depennarli dai registri paga, e pregato Dio per loro l'ultima volta, passare a dimenticarsene?

                                                           Il programma comunista, n.17, 24 agosto-7settembre 1956

 

[1] Ricordiamo che nel 1946 era stato firmato il Protocollo italo-belga, che prevedeva l’invio in Belgio di 50mila lavoratori italiani in cambio di carbone: nel 1956, fra i 142mila minatori impiegati nelle miniere belghe, 63mila erano stranieri e fra questi 44mila erano italiani; ricordiamo anche che, nel 1951, era nata la Comunità Europea per il Carbone e l’Acciaio, primo passo verso la creazione della cosiddetta Europa unita; ricordiamo infine che l’Art. 1 della Costituzione Italiana nata dalla Resistenza recita: “L’Italia è una repubblica democratica, fondata sul lavoro...”. Chi ha orecchie per intendere, intenda...

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