DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

 

Le vicende degli ultimi mesi – il susseguirsi d’incontri “ad alto livello” (?) conclusisi con un nulla di fatto, l’alternarsi di previsioni e valutazioni da parte degli “esperti” (?) per lo più in contrasto fra loro – dimostrano una volta di più che il modo di produzione capitalistico annaspa dentro una crisi profonda che è assolutamente incapace di comprendere, gestire e risolvere. Dagli Stati Uniti all’Europa, dalla Cina al Giappone e all’India, tutti i capitalismi nazionali boccheggiano: la crisi di sovrapproduzione di merci e capitali, apertasi a metà anni ’70 e via via approfonditasi nei decenni successivi nonostante tutti i tentativi di alleviarla (tentativi che, anzi, non hanno fatto che aggravarla, creando una sequenza impressionante di “bolle” con relativa, inevitabile esplosione), picchia duro ovunque, e a “rassicurare i mercati” non bastano certo le parole facilmente ottimistiche di quanti prevedono per il 2010 la fine del travaglio. Intanto, tutte le borghesie nazionali sono impegnate in un selvaggio programma di riorganizzazione e centralizzazione: le vicende FIAT-Chrysler-Opel, comunque si concludano (e, nelle pagine interne, vi dedichiamo un articolo specifico), non fanno che confermare la lettura marxista della fase imperialista e della (vana) risposta del capitale alle proprie crisi – concentrazione, eliminazione di rami secchi e concorrenti decotti, ristrutturazioni, più acuta competizione sui mercati, creazioni di ulteriori bolle ancor più gigantesche (la prossima sarà dunque quella delle carte di credito e poi quella del debito pubblico, gonfiatosi ancor più a dismisura nel tentativo di contenere gli effetti dell’esplosione della “bolla immobiliare”?). E – sul piano sociale – licenziamenti a catena, eliminazione delle “garanzie” conquistate in decenni di lotte, repressione delle più piccole reazioni proletarie: se infatti il capitalismo è impotente a comprendere, gestire e risolvere le proprie crisi (e due secoli di storia sono lì a dimostrarlo, fatti alla mano e drammaticamente), la borghesia ha comunque la memoria lunga, sa come prepararsi agli sviluppi inevitabili delle proprie crisi.

Intanto, la condizione proletaria peggiora ovunque, di mese in mese, e – sia pure non con una linea retta, con un procedere meccanico – è destinata a peggiorare sempre più. La dimensione dello sconquasso sociale che si prepara, di qua e di là dell’Atlantico, di qua e di là del Pacifico, è gigantesca, e bisogna imparare a riconoscerla e ad affrontarla a viso aperto. Le reazioni proletarie all’aggravamento delle condizioni di vita e lavoro sono state finora tiepide e disperse. Grava sul proletariato mondiale una sconfitta cocente subita sull’arco di ormai quasi novant’anni; ma gravano anche le pratiche controrivoluzionarie, disgregatrici, dell’opportunismo politico e sindacale, che soprattutto nel secondo dopoguerra hanno agito per legare mani e piedi il proletariato al carro delle rispettive borghesie, illudendolo che i miglioramenti (o, nel caso, la salvezza) dell’economia nazionale fossero diretti interessi del lavoratore, della sua famiglia, dei suoi colleghi di lavoro – fabbrica per fabbrica, ufficio per ufficio, livello per livello, regione per regione... Così, ora hanno il sopravvento lo sconcerto e la paura, l’illusione che – passata la burrasca – torni il sereno e che quindi convenga star zitti e buoni, e aspettare, pazientare ancora, stringere un altro po’ la cinghia; e intanto magari prendersela con il “piccolo nemico” (l’immigrato, il diverso, il clandestino, l’attaccabrighe), in attesa di prendersela poi con il futuro “nemico della patria”.

Eppure, risposte non sono mancate: c’è stata la fiammata di Guadalupe, dove i proletari sono scesi in piazza e per giorni si sono scontrati con le forze dell’ordine, con metodi e obiettivi squisitamente classisti; ci sono stati, in Francia e Belgio, gli episodi di sequestri di manager, espressione di una rabbia ed esasperazione ancora a livello immediato e istintivo; ci sono stati, ancora in Francia, i casi ben più interessanti (perché vanno nella giusta direzione classista) dei ripetuti blocchi dell’energia di fronte alle minacce di licenziamento; ci sono stati, in Italia, episodi circoscritti di lotte che hanno visto in prima linea i proletari immigrati... Si tratta ancora di una risposta debole, isolata, effimera, circoscritta: ma quanto importante! Solo degli inguaribili illusi, degli idealisti anti-marxisti, possono pensare che, da quei novant’anni di controrivoluzione, si possa uscire di colpo e in maniera lineare, piana e progressiva. Il processo sarà complicato, contorto, difficile, perché non c’è nulla di meccanico e automatico nella crisi e nei suoi effetti a breve e lunga scadenza.

Da parte borghese, l’indirizzo è chiaro: cercare di rimettere ordine (in ciò che non può essere messo in ordine: l’anarchia intrinseca del capitalismo), proteggere le merci nazionali contro quelle straniere (in quella che è una delle contraddizioni centrali del modo di produzione capitalistico: la dimensione globale del mercato e al contempo la base nazionale del capitale), premere l’acceleratore della solidarietà nazionale (in una prospettiva che va dalla difesa dell’economia nazionale, oggi, a costo di sacrifici pesantissimi, alla preparazione della guerra imperialistica, domani, con il proletariato nazionale trasformato in carne da cannone). Le avvisaglie – di questa strategia di solidarietà nazionale, di pacificazione e conciliazione nell’“interesse superiore della nazione”, contro tutte le tendenze centrifughe e potenzialmente antagoniste – sono diffuse ovunque: nei discorsi retorici dei politici, nelle occasioni cinicamente sfruttate per versare barili di melassa “solidaristica” (il terremoto d’Abruzzo!), nei vuoti rituali degli anniversari, nei provvedimenti concreti che verranno via via presi (i “sacrifici per tutti”). Ma le avvisaglie stanno anche nel progressivo rafforzamento dell’esecutivo (passaggio obbligato della “democrazia blindata”, che tanto scandalo suscita fra i benpensanti e le anime belle), nelle misure poliziesche attuate e in preparazione (comuni a tutti gli Stati, e tanto più efficaci quanto più fanno appello alla “difesa della democrazia”).

Il proletariato di tutti i paesi è avvertito: tempi durissimi l’attendono. Dovrà tornare a far sentire, con forza, la propria voce, riappropriandosi degli obiettivi e dei metodi di lotta che sono suoi propri, che sono la sua tradizione da ormai due secoli e che l’opportunismo in ogni forma ha cercato in questo quasi novant’anni di cancellare nel ricordo e nella pratica. Nessuna concessione alla solidarietà nazionale, nessuna difesa dell’economia nazionale, rottura della pace sociale, ritorno alla lotta di classe aperta contro i padroni e il loro Stato, rifiuto di ogni sforzo bellico. Ma questo sforzo generoso, di cui il proletariato mondiale è sempre stato capace (come ha dimostrato in centinaia e migliaia di meravigliosi episodi grandi e piccoli, di resistenza quotidiana e di assalto al cielo), sarebbe vano, se lungo questa strada tormentata e accidentata esso non tornasse a incontrare il suo partito rivoluzionario: l’organo-guida che da solo non può suscitare la rivoluzione, ma che solo può dirigerla e indirizzarla contro il bastione dello Stato borghese, per abbatterlo e distruggerlo e istituire sulle sue rovine il potere della dittatura proletaria.

Il modo di produzione capitalistico è immerso nella sua crisi più grave: l’unica via che conosca per uscirne è quella di preparare un nuovo macello mondiale; la prospettiva della rivoluzione comunista è l’unica che possa risparmiare all’umanità intera un nuovo, devastante bagno di sangue. Il ritorno alla lotta di classe aperta è un passaggio obbligato; il radicamento mondiale del partito comunista internazionale una necessità e urgenza assolute. Che le energie migliori siano indirizzate in quel senso.

 

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°03 - 2009)
 

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