DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Non c'interessa entrare qui nel merito della polemica “vaccino sì/vaccino no”, pretestuosa e sfruttata a fini esclusivamente e bassamente politici (specie in tempo di elezioni: e quando mai non si è in tempo di elezioni, nel sacro regno del meccanismo democratico?). D'altra parte, sappiamo bene che la scienza borghese, in tutte le sue varianti, pseudo-scienze comprese, è soggetta alle leggi del profitto, della competizione, in una parola dell'economia capitalistica: strapotere dell'industria farmaceutica, dipendenza assoluta della ricerca dai finanziamenti privati e pubblici, tagli drastici alle spese improduttive (fra cui quelle medico-sanitarie), soggezione totale alle necessità primarie della conservazione del modo di produzione capitalistico, ecc. ecc.

Non dimentichiamo il vero e proprio disastro della corsa a precipizio all'uso e abuso di antibiotici (con il risultato di “doverne inventare” di sempre più potenti), la tragedia ormai dimenticata della Talidomide (il sedativo che causò a più di diecimila bambini gravissime malformazioni agli arti), la vicenda oscura del Cronassial (il “farmaco miracoloso” a base di cervello bovino, fra i più venduti in Italia, che, prima d’essere ritirato dal commercio per il sospetto di gravi danni collaterali anche a seguito dell’esplosione dell’epidemia detta “della mucca pazza”, vide coinvolto come sponsor un celebre Premio Nobel), la cosiddetta “crisi degli oppioidi” (che fece più di mezzo milione di morti in vent’anni e per la quale ha di recente dovuto “patteggiare”, insieme ad altre tre case farmaceutiche americane, l’ormai ben nota Johnson&Johnson)... Solo una manciata di “casi celebri”, che dovrebbero far pensare e comprendere che siamo ben lontani dalla scienza della specie umana, possibile solo nella società senza classi, nel comunismo!

Non c'interessa nemmeno entrare nell'altra polemica, altrettanto pretestuosa e “politica”, che, su fronti opposti, vorrebbe contrapporre “libertà dell’individuo” e “benessere della collettività”: una polemica che ipocritamente nasconde il fatto esemplare che, da un lato, il tanto celebrato “individuo borghese” è totalmente succube alle dinamiche economico-sociali dell'economia capitalistica, semplice turacciolo capitato nel fiume in piena del Capitale, e che, dall'altro, non esiste, in una società divisa in classi, una “collettività” omogenea, che non subisca giorno dopo giorno, minuto dopo minuto, gli effetti delle fratture sociali e culturali che attraversano la società borghese, caratterizzata dalla guerra di tutti contro tutti, da interessi diversi e contrapposti, da tensioni irrisolte e non risolvibili entro il quadro dello status quo. È addirittura banale ricordare che la “collettività” del raccoglitore di pomodori clandestino che sgobba quindici ore al giorno e dorme in una catapecchia di lamiera non è la stessa di chi gode di un posto di lavoro stabile e di uno stipendio regolare; che la “collettività” di chi, fin dagli inizi della pandemia, è stato costretto a lavorare in quei veri focolai di infezione che sono le fabbriche o i capannoni della logistica non è la stessa di chi può godersi una lauta pensione e pagarsi costose spese mediche… Insomma, non siamo “tutti nella stessa barca”!

Quale “libertà dell’individuo”, dunque, quale “benessere della collettività”, sotto il Tallone di Ferro del Capitale e delle sue inaggirabili leggi, che si esprimono e si applicano attraverso lo Stato-gendarme?!

C'interessa invece sottolineare una dinamica sempre più evidente, sulla quale siamo tornati più volte  [1] e che lo “shock pandemico” ha accelerato ed estremizzato: la preparazione ideologica alla guerra futura. A chi non sia del tutto accecato, assordato e rimbambito dalla grancassa mediatica, risulta infatti più che evidente che, sull’arco dell’anno e poco più durante il quale la pandemia ha scorrazzato in tutto il mondo, una delle preoccupazioni principali della classe dominante attraverso il suo Stato ha mirato e mira a imporre ai “cittadini” una totale obbedienza a qualunque misura “medico-sanitaria” (anche la più irrazionale, anche la più approssimativa e contraddittoria), attraverso una tambureggiante campagna di denuncia e delazione, tesa a individuare gli “untori”, i “refrattari”, i “diversi”, in nome proprio di un’“unità d’intenti” che non esiste e non può esistere in questa società.

Fin dall’instaurazione e via via esasperazione dello “stato d’emergenza” tuttora in atto, lo Stato borghese (nelle sue varianti nazionali) ha introdotto misure sempre più repressive per “combattere il virus” (!) e isolare tutti coloro che non si adeguassero a esse (tradotto: i non-patriottici). Una vera e propria esercitazione sul campo, formidabile per capillarità, perché può contare su tutti i mezzi di comunicazione, di convincimento e di controllo, di cui dispone la classe dominante: la radio, la televisione, la carta stampata, i social media, la scuola, le chiese, la casta medica (litigiosa quanto mai al proprio interno, ma unita nell’opera di terrorismo), le polizie e l’esercito, il linguaggio quotidiano, l’“opinione comune”, il “buon senso”, il vicino di casa, la “gente” per strada… Fino alla più recente invenzione del cosiddetto Green Pass, ideato inizialmente dal governo francese e via via introdotto da diversi Paesi, che ha suscitato ovunque numerose, chiassose reazioni di vario segno. In particolare, in Italia il Green Pass è stato richiesto a gran voce dalla Confindustria (sindacati di regime consenzienti purché ciò avvenga tramite… una legge dello Stato!), che lo vorrebbe vedere applicato in tutti i luoghi di lavoro in maniera rigida: cioè, con minacce di demansionamento, sospensione senza stipendio o addirittura licenziamento. Insomma, un grazioso regalo al padronato, che, ricorrendo a esso, può selezionare e tagliare a piacimento la manodopera, attuando al contempo utilissime divisioni al suo interno, senza dover ricorrere sempre a “impopolari” prove di forza. Che cosa non si fa in nome della… “collettività”, del… “civico senso di responsabilità”!

Tutto ciò che cos’è se non un’anticipazione, una prova generale (non tanto programmata e/o complottata a tavolino, ma riflesso condizionato di un’esperienza di dominio ormai plurisecolare), di quello che lo Stato borghese farà quando un altro “nemico” comparirà all’orizzonte e un’altra guerra minaccerà “la nostra cara Patria”?

Come non smettiamo di rimarcare, da ogni angolo del mondo si moltiplicano i segnali dell’accumularsi di materiale esplosivo destinato a una nuova conflagrazione mondiale: la persistente crisi economica, le crescenti tensioni inter-imperialistiche, le continue guerre regionali in cui sono coinvolti, direttamente o per procura, i principali Stati, l’aumento costante delle spese militari nei budgets di tutti i Paesi… Quando il punto di rottura si verificherà, la mobilitazione ideologico-patriottica verrà indirizzata e messa sanguinosamente in pratica contro tutti coloro che, in vario modo, istintivamente o consapevolmente, per motivazioni etiche o per orientamento politico, si opporranno a un ennesimo bagno di sangue volto a distruggere il troppo che è stato prodotto e che ingolfa il mercato (esseri umani compresi) e ad assicurare così un nuovo ciclo di bestiale accumulazione capitalistica – ammesso che il livello di distruttività e auto-distruttività cui è giunta la macchina capitalistica non sia tale da causare “la rovina comune delle classi in lotta” (Manifesto del Partito Comunista, “Cap. I: Borghesi e proletari”).

Noi comunisti dovremo (dobbiamo già oggi) lottare per diffondere e, quando e come sarà possibile, organizzare il disfattismo rivoluzionario, unico strumento in grado di bloccare o intralciare lo sforzo bellico, nella prospettiva, ardua ma sempre più necessaria, di aprire così un’altra strada alla martoriata specie umana: quella che conduce finalmente alla società senza classi, al comunismo. Il disfattismo rivoluzionario non è infatti un generico “pacifismo” né l’appello a un’individuale “obiezione di coscienza”, ma il difficile e paziente lavoro per reintrodurre nella classe proletaria il senso della necessità e della pratica del rifiuto collettivo di sottostare alle “esigenze superiori della Nazione” in campo sia economico-lavorativo sia strategico-militare, opponendo così al potere della classe dominante la propria forza cosciente e organizzata. Saremo allora gli “untori”, i “traditori della Patria”, i “pagati dal nemico”, i “negatori della collettività”, gli avversari della “sacra unione di tutti contro il nemico”.

I primi passi in quella direzione gli Stati li stanno compiendo già oggi. È tempo di rendersene conto e di imboccare quell’altra strada, cominciando fin da ora a reagire in maniera organizzata alle misure repressive anti-proletarie implicite nello “stato d’emergenza” – ma soprattutto lavorando con dedizione e passione al rafforzamento e radicamento del partito rivoluzionario.

                                                                                                                     

22/09/2021

[1] Si vedano i molti articoli che, su queste pagine, abbiamo dedicato allo “stato d’emergenza” in tutte le sue espressioni e implicazioni, nel corso del 2020 e 2021: www.internationalcommunistparty.org.

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