DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

 

Altri licenziamenti in corso e in vista


Già a partire dal 2006, qualche ingenuo della politica e dell’economia aveva tributato elogi alla crescita spagnola, giudicandola il risultato di una politica economica e sociale utile da prendere come esempio. In realtà, la Spagna (come d’altra parte anche l’Irlanda), con il suo PIL di tutto rispetto, rappresentava l’eccezione in Europa: un boom economico sostenuto, un capitalismo con ancora qualche margine di crescita relativa (dovuta principalmente alla predente chiusura del mercato, durante i quarant’anni di dittatura in salsa franchista).

Già allora, però, noi comunisti avevamo messo in guardia dall’innalzare il modello spagnolo firmato Zapatero a ricetta universale per risanare le sorti del modello capitalistico che già cominciava a starnutire si primi segni del riaprirsi di una fase critica. Ebbene, per chi avesse ancora qualche dubbio, basta oggi dare un’occhiata a quanto riportano La Clave e El País – borghesissimi quotidiani spagnoli! –, relativamente alla crisi che morde anche le chiappe dell’“azienda” Spagna.

Il deficit commerciale con l’estero continua a crescere e il suo aumento assume sempre più i connotati di un’accelerazione esponenziale (oltre il 10% nel 2007, secondo i dati riportati dal Banco de España). Secondo l’ Instituto de Estudios Económicos (IEE), la Spagna perde peso nel commercio internazionale e il deficit fra import ed export è il terzo più grande al mondo, dopo quello di Stati Uniti e Gran Bretagna. Come palliativo, si va alla ricerca di nuovi mercati dove poter piazzare la pletora della propria produzione e così sfuggire alla fetida melma immota della palude del mercato. Già da tutti gli scranni del parlamento iberico si inizia a gridare, a destra e a manca, di pensare al miglioramento della competitività, all’aumento della produzione o ad altre formule per rilanciare le esportazioni e risollevare così le sorti dell’economia del paese.

Ovviamente, è facile scorgere dietro queste parole un ordine del giorno basato sull’aumento dello sfruttamento del proletariato: crescita delle ore di lavoro e quindi dell’estrazione di plusvalore dalla classe lavoratrice, e – è facile da comprendere – diminuzione dei salari e dunque del potere d’acquisto. Tutto ciò influisce negativamente sull’economia spagnola che, dopo aver rallentato velocemente, ora stenta a crescere e, quindi, inizia a sentire il morso della disoccupazione in aumento e con poche possibilità di intervento su una pesante proletarizzazione della società. Come cartina di tornasole della situazione economica interna, le banche hanno raccolto e presentato i dati ufficiali relativi all’invio di danaro che, puntualmente, ogni anno gli immigrati sudamericani spediscono alle proprie famiglie oltreoceano: si registrano cali dell’ordine del 6% al mese, tanto che, dai 770 milioni di euro inviati nell’ottobre 2007, si è passati ai 650 milioni di gennaio 2008, come ha sottolineato Raúl Jiménez, portavoce della Asociación Hispano-Ecuatoriana. A ottobre 2008, l’ammontare è stato praticamente dimezzato, ma ciò che appare ancor più drastico è che molte famiglie abbiano dovuto prendere la via del ritorno in patria, così come riportato dal quotidiano El Faro.

Comprensibilmente, le ripercussioni del mancato arrivo di questi soldi non potranno far altro che impoverire ancor più le condizioni di esistenza degli abitanti dell’America Latina, poiché questi soldi venivano spesi soprattutto per generi di prima necessità, vestiti e affitti delle case.

La situazione appare catastrofica, poiché, non solo gli immigrati non riescono più a mettere da parte qualche spicciolo per le proprie famiglie, ma allo stesso tempo perdono il proprio lavoro e vanno a ingrossare le fila dell’esercito industriale di riserva, obbligati a svendere la propria forza lavoro per pochi euro, e condurre quindi una vita di stenti e di sacrifici al limite della sopportazione umana.  Come ha riportato La Clave, “se si dovesse continuare su questa traiettoria, milioni di famiglie sudamericane cadranno in condizioni di estrema povertà”. Si aggiunge inoltre che la disoccupazione aumenta in modo specifico fra gli immigrati – i più ricattabili! – tanto che nel primo trimestre  del 2008 ha raggiunto la soglia del 14,70%, rispetto al 12,37% del quarto trimestre del 2007, secondo i dati riportati da la Encuestas de Población Activa. A confermare questa tendenza, a metà novembre 2008 la disoccupazione fra gli immigrati ha toccato quota 32%, sulla base dei dati forniti dalla Oficina Nacional de Empleo, secondo la quale ciò rappresenta senza alcun dubbio un sintomo ulteriore della sofferenza nazionale dal punto di vista economico.

Gli immigrati trovavano lavoro soprattutto nel settore dell’edilizia e dei servizi, ma ora questi ambiti lavorativi stanno vivendo una crisi mai conosciuta prima, specie se confrontati con la vivacità che avevano sperimentato pochi anni fa: si pensi, solo per fare un esempio, che gli appartamenti invenduti in tutta la Spagna a dicembre 2008 superavano il milione. Non si dimentichi inoltre che la crisi delle ipoteche sta investendo tutta la penisola, tanto che i morosi, non più in grado di pagare il mutuo della casa, hanno ormai raggiunto quota 2,4 milioni. Gli immigrati che avevano comprato casa circa tre anni fa sono ormai costretti a dichiararsi insolventi e a consegnare gli appartamenti alle banche.

Gli imprenditori hanno subito dichiarato che “le soluzioni dovranno essere prese dal Governo in modo tempestivo, senza demagogia e con decisione: le riforme e le ristrutturazioni dovranno essere profonde, con riduzione dei costi di lavoro e aumento della produttività”. Ed è interessante vedere che sui mezzi di informazione di massa spagnoli circolano articoli – anche pubblicati all’estero – che mettono in luce tutta una serie di dati utili per spiegare le cause degli incidenti sul lavoro. I risultati di queste ricerche pongono l’accento sulla attuale tendenza del mercato del lavoro che obbliga i lavoratori a trascorrere sempre più ore nell’inferno dell’estrazione di pluslavoro, per via della intensificazione della competizione globale.

Da tutto ciò si evince che la lingua del Capitalismo potrà anche essere quella di Zapatero, ma la solfa rimane sempre la stessa: il proletariato “spagnolo”, come il proletariato mondiale, deve attendersi un attacco su tutti i fronti, con l’imposizione di più ore di lavoro in cambio di salari da fame, l’assenza di una adeguata copertura assicurativa, condizioni di lavoro al limite con conseguente aumento del rischio di infortuni e l’assenza totale di garanzie per il proprio futuro.

 

Detassazioni straordinarie

 

Più di centovent’anni fa, il proletariato americano e internazionale aveva raggiunto l’obiettivo del riconoscimento della “giornata di otto ore”, dopo lunghe lotte sanguinose. Oggi, quel traguardo sembra essersi dissolto come fumo al vento, giacché, volta dopo volta, quei “diritti” (che venivano presentati come acquisiti) si stanno rivelando sempre più come semplici castelli di sabbia sotto i pesanti colpi e gli attacchi condotti dalla borghesia ai danni del proletariato per poter contenere la crisi.

La recente scelta italiana di detassare gli straordinari rappresenta una via di fuga utilizzata anche da altri paesi capitalistici, per superare una situazione sempre più soffocante. Nella Spagna di Zapatero, per esempio, leggi per spingere od obbligare gli operai a fare gli straordinari esistono già da alcuni anni, con lo scopo precipuo di favorire l’incremento generale della produzione. Per i borghesi, la soluzione alla “palude del mercato” sta nell’aumento dell’estrazione di pluslavoro a ritmi incalzanti, e implica al medesimo tempo la diminuzione delle retribuzioni, l’aumento lavoro. Così, in tutta la Spagna gli incidenti mortali sono stati – nel primo trimestre del 2008 – 228, su un totale di 22.671 sinistri, con il 61% degli stessi subiti proprio da quei lavoratori che effettuano ore di lavoro straordinario e accumulano fatica e stress lavorativo senza avere la possibilità di recuperare le energie. Nei mesi estivi di luglio e agosto 2008, le morti sul lavoro avevano già superato di un buon 13% quelle relative al 2007, secondo quanto riportato dal sindacato UGT, il quale non ha potuto fare altro che definire l’anno appena trascorso come uno dei più “disastrosi” in assoluto, specie alla luce dei dati definitivi pubblicati nel mese di dicembre 2008: nella Spagna del Governo Zapatero “amico” dei proletari, hanno perso la vita sul luogo di lavoro una media di 3 operai al giorno.

Per la borghesia spagnola, italiana o di qualsiasi altra parte del mondo, al contrario, la detassazione degli straordinari significa avere meno persone impiegate, quindi minori costi fissi, oltre all’aumentata possibilità di spremere i “pochi” che stanno sotto le sue grinfie, fino all’esaurimento. E se il singolo lavoratore ci lascia le penne? Nessun problema, si farà qualche minuto di silenzio e lo si sostituirà con quelli che stanno fuori e premono ai cancelli in cerca di una occupazione. Dopotutto, avere un esercito industriale di riserva numeroso serve proprio a questo: far aumentare la concorrenza nelle file del proletariato, specie se a ciò s’aggiunge un continuo flusso di proletari immigrati dal Sudamerica – chiamati in modo sprezzante sudacas – pronti a vendersi a basso costo per sopravvivere. Il gioco è fatto.

Dai dati ricavati in decenni di analisi e raccolte statistiche (ma non bastava andarsi a leggere Il Capitale?!), risulta ormai chiaro che il rapporto fatica/lavoro (ossia i dati relativi alla stanchezza del lavoratore) mostra senza ombra di dubbio che l’attenzione è vigile nelle prime quattro ore di lavoro, poi inizia a decrescere nelle successive due, mentre nelle ultime due finisce per crollare.

Già a maggio 2008 l’Ispettorato del Lavoro spagnolo aveva sanzionato la Generals Motors España per il netto superamento del quantitativo massimo delle ore di lavoro “consentite dalla legge” per ogni singolo lavoratore, con riferimento alla fabbrica di Figueruelas (Saragozza). Lo stesso era avvenuto qualche anno prima nell’impresa di costruzioni Bilbao Exhibition Centre (BEC), nella quale c’era stato un deciso aumento degli incidenti sul lavoro, spesso con conseguenze mortali – cosa che aveva portato i lavoratori a dichiarare che questi incidenti, visto il grado di sfruttamento al quale i lavoratori erano stati sottoposti, rappresentavamo dei “veri e propri assassini”. 

Secondo l’Ispettorato del lavoro, nel 2007, e a scorno delle sanzioni o dei timidi richiami fatti dal Governo e dalle autorità preposte, le ore di straordinario hanno toccato quota 240 mila, un quantitativo, questo, utile a battere il record di produttività e di vendite. Dal canto suo, il sindacato si è limitato a denunciare il fatto e a rilevare ipocritamente che senza quegli straordinari si sarebbero potuti creare oltre 300 nuovi posti di lavoro, fingendo di dimenticarsi che la legge approvata dal governo era stata dichiarata utile ai fini della produzione nazionale, attraverso una concertazione alla quale avevano partecipato essi stessi.

Il caso della fabbrica di Figueruelas è solo uno dei tanti esempi spagnoli, del tutto simili a quelli italiani, statunitensi o di qualsiasi altra parte del pianeta. Noi comunisti sappiamo bene che alla caduta tendenziale del saggio medio di profitto (legge verificata nella pratica) il capitale può solo cercare vanamente di por rimedio con l’aumento della produttività e dell’estrazione del plusvalore. Di conseguenza, la detassazione degli straordinari rappresenta una delle prime misure che il capitale mette in atto per attaccare la classe lavoratrice e incrementarne il grado di sfruttamento selvaggio. L’unica risposta efficace che il proletariato mondiale potrà dare sarà il ritorno alla lotta di classe aperta e l’organizzazione sotto la guida fortemente centralizzata del Partito Comunista Internazionale, per rispondere colpo su colpo alla violenza e alla disumanità di questo modo di produzione.

 

 

 

 

 Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°01 - 2009)
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