DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

 

Di qualunque veste si ammanti (democratica, operaia, socialista, perfino apparentemente “comunista”), il riformismo predica la teoria di marca borghese secondo cui la merce e il lavoro salariato (insomma, il capitalismo) sono eterni; ed eterni sono i confini dell’azienda, le frontiere nazionali, le differenze sociali e razziali, gli Stati. Ma questo capitalismo esso lo vuole e lo sogna senza concorrenza, senza anarchia del mercato, senza antagonismi fra capitali, fra Stati, fra classi. L’avvento di questo mostro storico mai visto sarebbe il frutto della “democrazia nuova”, “rinnovata”, “avanzata”, “vera”, ecc.., che suppone “l’unità di tutte le forze democratiche”, o del “popolo”.

Nella prospettiva rivoluzionaria del comunismo, la società borghese è destinata a morire di morte violenta, sia perché non può non suscitare antagonismi insuperabili, che invano tenta di controllare rafforzando la macchina di oppressione e repressione dello Stato, sia perché, nello stesso tempo, crea una classe che spinge inevitabilmente alla lotta e all’organizzazione: il proletariato (l’insieme di tutti coloro che per vivere sono obbligati a vendere la propria capacità lavorativa in ogni settore della economia contemporanea), il quale non avendo nulla da difendere nella società presente è la sola classe capace, attraverso gli inevitabili cataclismi sociali, di distruggere lo Stato borghese (quale che sia la sua forma istituzionale), instaurando sulle sue rovine la propria dittatura di classe, necessaria per abbattere gli ostacoli che si oppongono all’avvento del comunismo – società senza mercato né salario né moneta né capitale né frontiere né classi sociali né (quindi) Stato.

E’ conformemente a questi fini, al loro programma e ai loro principi, che i comunisti mettono avanti nelle lotte economiche gli obbiettivi comuni a tutti i salariati, i metodi che favoriscono “l’unione crescente dei lavoratori”, la necessità della centralizzazione, dell’unificazione, dell’allargamento e dell’organizzazione di tutte le lotte economiche e sociali che aprono la strada alle finalità rivoluzionarie e col principio sempre proclamato e perseguito della distruzione dello Stato borghese, baluardo della schiavitù salariale.

Nell’unione e organizzazione crescente dei salariati, resa possibile da lotte accomunanti tutte le categorie e da rivendicazioni che, interessando tutti i lavoratori, spezzino il diaframma della loro concorrenza reciproca; nel senso di solidarietà che così si crea fra tutti i salariati, di qualunque azienda come di qualunque paese; nella coscienza dell’inconciliabilità degli interessi proletari e degli interessi borghesi che così nasce; sta in questo, come già scriveva Marx un secolo e mezzo fa, la vera, l’unica conquista duratura  delle lotte economiche. Ed è proprio per questo che l’opportunismo frantuma gli scioperi e corporativizza le rivendicazioni!

Non vi è mai stata, né può esserci, posizione intermedia fra orientamento riformista e orientamento rivoluzionario nella preparazione e direzione delle lotte proletarie, neppure sul piano puramente economico. Tutti coloro che tentano di gettare un ponte fra riformismo e comunismo; tutti coloro che, mentre pretendono di rappresentare gli interessi della classe e della lotta proletaria, si adoperano per conciliarli nell’azione con la pratica e con la teoria del riformismo, sono in realtà dalla parte della conservazione sociale, contro gli interessi di classe del proletariato.

 

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°01 - 2009)

 


 

 

 

 

 

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