DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Molte sono state le località toccate dalla rivolta dei giovani precari greci, esplosa il 6 dicembre scorso. La scintilla che ha scatenato l’incendio è stata l’assassinio dello studente quindicenne Alexis Grigoropoulos da parte degli sbirri: ma se la scintilla ha potuto scatenare un incendio è perché ha trovato un ambiente reso altamente infiammabile da avvenimenti precedenti. In Grecia, la crisi economica è arrivata prima che nel resto d’Europa e “così la Grecia è diventata l’anello debole dell’Eurozona”[1]. Il governo di centro-destra ha reagito come ha potuto e saputo, con un contraddit-torio miscuglio di liberismo e più diretto intervento statale: “ha riformato la previdenza, ridotto i fondi alla scuola pubblica, tagliato le spese, privatizzato le tlc e previsto da ultimo un aiuto di ben 28 miliardi di euro per le banche in difficoltà: una cifra rilevante per un Paese di 11 milioni di persone. Le ultime mosse liberiste sono sembrate politicamente azzardate e sfasate nella tempistica, in palese contrasto con la gravità della crisi, esacerbando gli animi delle categorie che hanno visto ridursi negli anni il potere d’acquisto e la qualità della vita e dei servizi pubblici”[2]

I partiti d’opposizione borghese non avrebbero potuto fare diversamente, e comunque non avrebbero modificato il dato fondamentale: in Grecia, la disoccupazione di neolaureati e neodiplomati tocca la soglia record del 23% - una generazione dal futuro incerto e oscuro, chiamata la “generazione dei 700 euro”, dal livello dello stipendio medio. Per tutti i proletari, giovani e no, si sono avuti un impoverimento crescente e l’aumento della precarietà. Le condizioni di sicurezza sul lavoro sono poi peggiorate in modo drastico: il moltiplicarsi di incidenti – spesso mortali – ne è il segno più evidente (di recente, ai cantieri navali di Perama, al porto del Pireo, sono morti 8 operai). L’ultimo sciopero si è svolto il 10 dicembre, quando si era ancora nel vivo degli scontri, ma era stato proclamato prima dell’assassinio, per ragioni economiche, ed è stato il decimo sciopero generale dall´insediamento del governo conservatore di Karamanlis. A questo, si aggiungano l’odio e la rabbia contro una repressione statale che ha una lunga tradizione. La violenza dello Stato ha le sue radici nei fenomeni sociali ed economici, e non viceversa. La polizia greca non è più “cattiva” di quella degli altri Stati borghesi, ma di fatto l’assassinio di Alexis è venuto ad aggiungersi alla lunga lista di violenze contro manifestanti o immigrati: l’assassinio da parte di un poliziotto del giovane studente serbo Bulatovic, a Salonicco, nel 1998; l’assassinio da parte di un poliziotto del giovane Leontidis, nel 2003; la morte del ventiquattrenne Tony Onohua, nell’estate del 2007; l’uccisione della quarantacinquenne Maria a Lefkimi (Corfù), dopo l’attacco della polizia contro i manifestanti che stavano lottando contro l’impianto di smaltimento dei rifiuti; l’uccisione del migrante pakistano lo scorso mese ad Atene. Nel 1985, un altro ragazzo di quindici anni, Michailis Kaltezas, era stato ucciso da un poliziotto, poi assolto. Alla luce di tutti questi fatti, si capisce meglio perché la rabbia sia esplosa violentemente nelle strade, e perché gli assalti contro i simboli dell’oppressione e della miseria borghese – banche, commissariati di polizia, centri commerciali – siano stati compiuti da gruppi di proletari più numerosi rispetto agli episodi delle periferie francesi del 2005. Nella capitale, Atene, si concentra la metà della popolazione greca, ma la guerriglia urbana ha contagiato anche Salonicco, Patrasso, Larissa, Eraklion, Chania (Creta), Ioannina, Volos, Kozani, Komotini...

La rivolta nelle città greche ha molte affinità con i violenti disordini avvenuti nelle periferie parigine e francesi tra l’ottobre e il novembre 2005. Non tanto perché oggi in Grecia, come allora in Francia, la goccia che ha fatto traboccare il vaso sia stata l’ennesimo episodio di violenza assassina della polizia. Le affinità più importanti sono più sul piano politico: in entrambi i casi, i disordini hanno riportato alla luce lo scontro di classe; inoltre, in entrambi i casi, lo Stato e gli opportunisti hanno reagito allo stesso modo: in Francia, tutte le forze politiche dell’arco parlamentare, sia al governo sia all’opposizione, dissero che a ribellarsi erano solo teppisti, “feccia criminale” e immigrati, cercando di nascondere il puro e semplice scontro di classe tra proletariato e borghesia. Allora come oggi, noi sottolineiamo che i ribelli sono proletari. Anche stavolta, in Grecia, subito sono scattate le contromisure da parte della borghesia, con i sindacati e i partiti dell’opportunismo che si sono catapultati in soccorso dell’ordine costituito, viste le evidenti difficoltà che l’apparato repressivo trovava nel controllare la situazione (risulta fra l’altro che ci siano anche stati episodi di malessere nell’esercito, di fronte alla ventilata possibilità di essere usato per reprimere i moti). Il governo ha individuato negli “incappucciati” i casseurs greci, divenuti i responsabili delle violenze in quanto “criminali”: serve sempre un capro espiatorio per nascondere le vere cause della crisi sociale. Secondo il governo e i media, i “cittadini in collera” si sarebbero organizzati per difendere la legge e respingere i casseurs: al contrario, molte testimonianze concordano nel riferire che hanno tentato di cacciare i poliziotti, che genitori e nonni sono scesi in strada con i figli e i nipoti [3]. Allo scopo di isolare la rivolta e di nasconderne il contenuto di classe, i disinfettatissimi mezzi d’informazione di tutta Europa hanno cercato di ascrivere la responsabilità degli eventi al-ternativamente agli studenti o agli anarchici. È significativo come, ogni volta, l’informe movimento studentesco, da sempre inevitabilmente appiattito sulle posizioni della politica borghese, venga utilizzato per arginare e annacquare la ribellione di quegli strati del proletariato giovanile che si stanno ancora formando come forza-lavoro all’interno delle università. Gli studenti che in Grecia si sono uniti ai disordini evidentemente intuiscono che li aspetta un futuro da proletari: un’infernale vita da precari sottopagati, anziché il dorato e inesistente mondo che era stato loro promesso al termine di un corso di studi magari impegnativo e costoso. La lotta di questi “proletari in formazione” finisce infatti sempre per saldarsi con quella di coloro che già vivono nel precariato o nella disoccupazione, com’è accaduto nel caso del movimento anti-CPE in Francia nel 2006. La leader del partito comunista greco (KKE), Aleka Papariga, si è trovata d’accordo con il Laos (estrema destra) nel dichiarare che i rivoltosi non sarebbero altro che “agenti provocatori”, sia stranieri (incitando così, di fatto, alla xenofobia) che dei servizi segreti, e invitando i seguaci del suo partito e i lavoratori tutti alla vigilanza e all’azione contro i facinorosi, perché non siano vanificati gli sforzi dei manifestanti pacifici per impedire il ritorno alle pratiche fasciste da parte del governo e della polizia. È questa la ritrita ricetta dell’opportunismo stalinista contro il proletariato: l’utilizzo anche violento dei lavoratori politicamente più arretrati contro chi si ribella, sia pure istintivamente, alla dittatura del capitale. “Che si massacrino pure tra loro, purché i padroni non vengano toccati”, è il motto di questi fedeli cani da guardia! Il tutto, chiaramente, in nome e in difesa dell’osannata democrazia, che è soltanto l’altra faccia della spietata dittatura della classe borghese e che presenta sempre più affinità con la forma politica che la completa, il fascismo. Così come avvenne in Francia, anche in Grecia si trovano gli schieramenti degli “utili idioti”, ossia coloro che coprono “da sinistra” la politica borghese: ad esempio, Syriza, la coalizione dei partiti della cosiddetta sinistra radicale. Accusati di essere il “rifugio dei casseurs”, essi propongono come soluzione al ripetersi dei disordini la richiesta allo Stato di “posti di lavoro per i giovani, un buon funzionamento dell’istruzione pubblica con fondi per l’accesso gratuito all’università, spazi pubblici dove i giovani possano socializzare, divertirsi e innamorarsi, la riforma democratica della polizia”. Nientemeno che una democratica lista dei sogni! Rispetto alla Francia, si è rivelata più significativa la presenza del movimento anarchico e purtroppo molti proletari cadono in questa rete. C’è anche il pericolo che molti proletari combattivi vengano affascinati da posizioni blanquiste del tipo “ci sono oggi le premesse per rovesciare ‘un regime sempre più debole’ e creare una società più giusta di stampo marxista(dal Comunicato dell’organizzazione “Lotta rivoluzionaria”, erede politica dell’organizzazione “17 Novembre”). E questo pone drammaticamente la questione del partito, come strumento necessario di direzione, nel percorso lungo, tortuoso e contraddittorio che va dalle rivolte alla rivoluzione. La manovra di accerchiamento da parte della borghesia greca sembra per ora riuscita: la solita repressione, i soliti arresti, la solita capillare campagna di stampa, il solito massiccio intervento dei partiti della sinistra parlamentare e dei sindacati hanno talmente stemperato la rivolta che, il 15 gennaio, si è arrivati addirittura a manifestazioni di piazza a cui hanno partecipato esponenti dei sindacati di polizia, “per la condanna degli episodi violenti, da qualsiasi parte essi provengano”![4] Ma continuano gli episodi isolati di gruppi anarchici, con attentati contro la polizia. Il vuoto creato dalla controrivoluzione, con la distruzione del partito comunista mondiale, e lo schifo istintivo delle nuove generazioni per la politica opportunista, stanno canalizzando larga parte dei movimenti spontanei verso posizioni infantili, di rifiuto totale del partito. Ciò rende ancora più difficile il nostro già complesso lavoro di partecipazione alle lotte del proletariato, ma tale lavoro va fatto. E’ solo attraverso la partecipazione del partito alle lotte di difesa delle condizioni di vita e di lavoro che si riuscirà a risollevare il proletariato dalla sua situazione attuale di classe prodotta dal capitale, con tutti i suoi limiti, le sue debolezze e le sue contraddizioni: è in tale situazione negativa che occorre lavorare, se la si vuole superare se si vuole arrivare al riconoscimento, da parte del proletariato, del partito comunista come propria avanguardia [5].


Note 

1. Il sole 24 ore, 11 dicembre 2008. [back]

2. Ibidem. [back]

3. Cfr. Le Monde Diplomatique del gennaio 2009. [back]

4. Fonte: http://en.wikipedia.org /wiki/2008_civil_unrest_in_Greece#Domestic_response. [back]

5. Il segno di un crescente malessere sociale è offerto anche dai numerosi episodi di disordini, con protagonisti giovani precari ed emarginati, verificatisi in questi ultimi mesi un po’ ovunque, nel cuore delle metropoli imperialistiche: per esempio, a Malmoe (Svezia), dove sono durati una settimana; oppure a Oakland, in California, dopo l’uccisione di un giovane nero da parte della polizia... Tutti episodi regolarmente taciuti dai “mezzi d’informazione”.[back]

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°01 - 2009)

 

 

 

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