DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Risposta a un lettore/simpatizzante. Un lettore/simpatizzante di lingua francese ci ha chiesto un chiarimento a proposito della definizione di “lavoro produttivo e lavoro improduttivo”. È chiaro che una risposta sintetica come la presente non sarà mai esaustiva, ma potrà essere solo un’indicazione di lavoro.

Per prima cosa bisogna ricordare che questa questione si inserisce nel più generale lavoro di “critica dell’economia politica” ed è indissolubilmente legato alla definizione di che cos’è il valore nel modo di produzione capitalistico.

Il compagno Karl affronta comunque la questione in un intero capitolo (il IV) di Teorie sul plusvalore, intitolato proprio “Teorie sul lavoro produttivo e improduttivo”; la questione è poi trattata in numerosi passaggi del Libro Primo del Capitale, nel capitolo VI del Libro Secondo ed infine nel capitolo VI inedito, ancora del Libro Primo. Quel che importa comunque, in questa analisi, è la battaglia che viene condotta non per il gusto e il lusso teorico di dimostrare i limiti dei principali teorici dell’economia politica borghese, ma per fornire al lavoro dei rivoluzionari munizioni ed armi che li rafforzino nella comprensione dei punti deboli dove colpire i nemici e i falsi amici della nostra classe.

Ricordando ancora una volta che per fare un buon lavoro dovremmo dedicare alla questione una nostra Riunione Generale, possiamo comunque brevemente individuare le caratteristiche di questa nostra analisi.

La questione viene innanzitutto storicizzata. Si dimostra come le diverse scuole di pensiero economico (le quali riflettono quel che la borghesia va pensando di se stessa) forniscano formule, definizioni e risposte che, dietro il paravento di un’analisi scientifica, svelano la lotta condotta dalle varie sue frazioni (fisiocratici, mercantilistici ecc.), fino alla vittoria di quella borghesia industriale che ha dato il meglio di sé con La ricchezza delle nazioni di A. Smith. A questo punto, bisogna ricordare che l’economia politica borghese assume il modo capitalistico di produzione come la forma “naturale ed eterna” dell’organizzazione economica della nostra specie e ogni sua teorizzazione non riesce ad analizzarla scientificamente. Pertanto, il “ping-pong” tra lavoro produttivo e lavoro improduttivo non riesce a svincolarsi dall’esaltazione di una produttività “in generale”, apologizzando più che la produttività del lavoro la produttività del capitale. In Smith, di conseguenza, si trovano due definizioni di lavoro produttivo. Una, di carattere più teorico/generale, definisce lavoro produttivo solo quello che produce capitale: si scambia direttamente con il capitale, cioè mediante uno scambio in cui le condizioni di produzione del lavoro e il valore in genere, denaro o merce, si trasformano innanzitutto in capitale. L’altra sottolinea il lavoro produttivo solo  nella sua capacità di produrre merci, beni materiali scambiabili.

La nostra critica dell'economia politica dimostra che il lavoro produttivo è in realtà la forma specifica che il capitale istituisce non con un generico e generale lavoro, ma con l'uso della forza lavoro nella forma che questa assume di lavoro salariato.

“Lavoro produttivo, nel senso della produzione capitalistica, è il lavoro salariato che nello scambio con la parte variabile del capitale (la parte del capitale spesa in salario), non solo riproduce questa parte del capitale (o il valore della propria capacità lavorativa), ma oltre a ciò produce plusvalore per il capitalista”, scrive il nostro Karl. Dunque, lavoro produttivo/lavoro improduttivo si possono intendere come un modo sintetico di rappresentare il rapporto di produzione capitalistico come rapporto sociale. A questo punto, bisogna anche considerare che la forza lavoro mostra, come tutte le merci, un carattere duplice, il suo valore d’uso e il suo valore di scambio. Quando il capitalista compra la forza lavoro per il suo valore d’uso, non ha alcun interesse alla qualità di tale forza, ma solo alla possibilità di usarla nel processo industriale: non gli interessa la qualità del lavoro da estrarre, ma la quantità del lavoro da estrarre.

Dal punto di vista di chi vende la forza lavoro, questa è la radice dell’alienazione umana.

Nel caso di una Riunione Generale, ci si sbizzarrirebbe nell’illustrare come nella realtà del capitale, nella sua dinamica storica, si svolga la contraddizione tra la borghesia e le sue varie frazioni. Esse amano infatti svisceratamente ogni tipo di lavoro che accresca plusvalore e detestano ogni lavoro che si consumi senza produrne. Si potrebbe indagare su come il modello dell’industrialismo, in ogni settore dell’organizzazione economica, tenda ad annullare la qualità della forza lavoro, trasformandola in quantità bruta e come, d’altro canto, detesti comprare forza lavoro per un suo valore d’uso immediato, la cui qualità non produce plusvalore: ma non pensiamo a chissà quale qualità professionale, pensiamo piuttosto al disprezzo e all’abuso cui sono sottoposti tutti i nostri fratelli di classe costretti a lavori immediatamente servili…

La contraddizione tra lavoro produttivo e lavoro improduttivo nel famoso Capitolo VI inedito del Libro Primo del Capitale viene poi criticata anche nel suo continuo aspetto di trasformazione dell’uno nell’altro e dell’altro nell’uno. Per di più, questa contraddizione viene molto spesso esaltata e incompresa dagli intellettuali piccolo borghesi che giustificano la propria esistenza, difendendo disperatamente la qualità del loro lavoro, illudendosi di essere indispensabili nel processo produttivo del capitale.

Ci rendiamo conto che la nostra risposta è sintetica e forse anche riduttiva: ma, per l’appunto, oltre ai testi citati, è indispensabile il lavoro con e nel Partito.

Riunione Generale di Partito. La Riunione Generale 2020 s’è tenuta, in ritardo per ovvi motivi tecnico-logistici, il 9-10/1/2021, alla presenza di un incoraggiante numero di elementi giovani, sia militanti che simpatizzanti. Come al solito, è stata aperta da un Rapporto politico-organizzativo che, dopo aver ricordato con affetto i quattro carissimi compagni che ci hanno lasciato nel corso dell’anno e aver delineato molto sinteticamente la situazione generale in cui il nostro Partito si trova a operare e i problemi connessi all’emergenza Covid 19 con il loro riflesso sul lavoro interno ed esterno, è passato a ribadire una volta di più come la curva della crisi economica e la curva della crisi sociale non seguano l’una all’altra in maniera meccanica né si sovrappongano. In particolare, il Rapporto s’è soffermato sulle parole di Lenin (L’estremismo), che così riassumono “la legge fondamentale della rivoluzione”:

“per la rivoluzione non è sufficiente che le masse sfruttate e oppresse siano coscienti dell’impossibilità di vivere come per il passato ed esigano dei cambiamenti; per la rivoluzione è necessario che gli sfruttatori non possano più vivere e governare come per il passato. Soltanto quando gli ‘strati inferiori’ non vogliono più il passato e gli ‘strati superiori’ non possono fare come per il passato, soltanto allora la rivoluzione può vincere. In altri termini, questa verità si esprime così: la rivoluzione non è possibile senza una crisi di tutta la nazione (che coinvolga cioè sfruttati e sfruttatori). Per la rivoluzione bisogna dunque, in primo luogo, che la maggioranza degli operai (o per lo meno la maggioranza degli operai coscienti, pensanti, politicamente attivi) comprenda pienamente la necessità del rivolgimento e sia pronta ad affrontare la morte per esso; in secondo luogo, che le classi dirigenti attraversino una crisi di governo che trascini nella politica le masse più arretrate (l’inizio di ogni vera rivoluzione sta in questo: che tra le masse lavoratrici e sfruttate, apatiche fino a quel momento, il numero degli uomini atti alla lotta politica aumenta rapidamente di dieci e perfino di cento volte), indebolisca il governo e renda possibile ai rivoluzionari il rapido rovesciamento di esso”.

Ed è chiaro – ha ribadito il Rapporto – che “’maggioranza’ per noi non è un concetto numerico, ma può solo significare ‘influenza decisiva del partito rivoluzionario su uno strato decisivo di classe proletaria’; dunque sappiamo bene che questa dinamica oggettiva deve potersi accompagnare a un reale, costante lavoro dei rivoluzionari organizzati in partito, a fianco della classe”. Niente illusioni, dunque, né all’interno del Partito né all’esterno, su un rapido evolvere della crisi economica (che ha preceduto lo scoppio della pandemia) in crisi sociale e politica.

Il Rapporto ha poi indicato le linee generali di lavoro e le principali scadenze e urgenze che ci troviamo di fronte e ha informato sui contatti internazionali in corso.

Sono poi seguiti i rapporti dalle varie sezioni, concordi nel restituire uno scenario di lotte ancora frammentate e isolate, insufficienti tanto a rompere il controllo dei sindacati ufficiali quanto a far uscire le poche organizzazioni di base da pericolosi vicoli ciechi autoreferenziali. In particolare, i c. di lingua tedesca ci hanno relazionato sulle manifestazioni che si sono svolte a Berlino (nel corso delle quali hanno avuto modo di diffondere volantini, manifesti e il nuovo numero della rivista “Kommunistisches Programm”): per la questione degli affitti e della scarsità di abitazioni; di protesta per le misure eccezionali; di Black Lives Matter; in ricordo (come tutti gli anni) di Liebknecht, Luxemburg, Lenin. Infine, ci hanno informato sui contatti che intrattengono con lettori e simpatizzanti in altre parti dell’area di lingua tedesca, sui progetti di incontri pubblici (quando sarà di nuovo possibile farli), sulle traduzioni e sugli articoli in corso o progettati, e sulla nuova sede berlinese, inaugurata proprio in quei giorni. I c. emiliani hanno continuato le riunioni allargate a un certo numero di lettori e simpatizzanti, basate su testi preparatori alla RG sul tema della “questione nazionale”. I c. laziali sono stati presenti (insieme ai c. di Benevento) al convegno nazionale sulla repressione tenutosi a febbraio scorso e inoltre ad alcune manifestazioni di quartiere sugli effetti economici e sociali della pandemia. I c. sardi hanno sviluppato un intenso lavoro interno nei confronti del gruppo di simpatizzanti avvicinatisi negli ultimi tempi ed esterno a contatto con la classe, cogliendo un crescente diffidenza nei confronti dello Stato e sfiducia nelle istituzioni borghesi, accompagnate da un sentimento istintivo di rifiuto e ostilità, ma allo stesso tempo con l’incapacità diffusa di vedere un’alternativa e con l’idea persistente di trovarsi di fronte a un nemico inattaccabile – valutazione che è condivisa anche dai c. di Benevento e di Reggio Calabria e che di conseguenza richiede, da parte del P., una grossa opera di chiarificazione, polemica e organizzazione. Infine, il lavoro sul VI volume della Storia della sinistra comunista cui si dedicano alcuni c. prosegue e si spera di poterlo concludere entro la fine del 2021: alcuni materiali saranno pubblicati in uno dei prossimi numeri di questo giornale.

Il Rapporto Politico dedicato alla “questione nazionale” è partito dal nostro testo Fattori di razza e nazione nella teoria marxista e dal classico engelsiano L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, per passare al Manifesto del 1848 e a un esame della situazione della classe proletaria e del movimento comunista fra il 1848 e il 1871 con la Comune di Parigi e il punto di svolta che essa ha costituito in Europa. Ha poi esaminato le “Tesi sulle questioni nazionale e coloniale” (II Congresso dell’Internazionale Comunista, 1920) e il significato della tattica delle “doppie rivoluzioni” e della sua applicazione in aree geo-storiche diverse e s’è poi soffermato in particolare sull’esaurimento del ciclo delle rivoluzioni anti-coloniali a metà degli anni ’70 del ‘900 e sui residui negativi – vere e proprie cancrene – che hanno condizionato e in parte ancora condizionano il movimento proletario, distogliendolo dalla prospettiva rivoluzionaria classista e impantanandolo invece nelle sabbie mobili dell’interclassismo democratico e riformista.

Una vivace e produttiva riunione redazionale ha infine concluso i lavori delle due intense giornate.

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