DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

L'operazione di falsificazione e smantellamento della teoria comunista, operazione che è parte integrante della controrivoluzione borghese esercitata in tutte le sue vesti (democratica, nazifascista, staliniana) e con tutti i suoi mezzi (ideologici, politici, militari), ha fatto sì che, sull'arco di quasi un secolo e soprattutto presso le giovani generazioni, si sia perso anche soltanto il senso di quelli che sono i cardini del marxismo. Ne hanno fatto le spese, per esempio, il concetto stesso di classe, che viene di volta in volta negato oppure sostituito da squallide invenzioni come quella – la più recente, ma certo non l'ultima! – di “moltitudini”; oppure il concetto di partito che, specie negli ultimi decenni, s'è diluito in fumose fantasticherie come “movimento”, “piattaforma”, “organismo fluido”, “patto”, e via banalizzando; oppure il concetto stesso di comunismo che, a parte gli ignoranti e ridicoli vaneggiamenti sulla sua “fine”, è di volta in volta diventato, nella vulgata dominante, esangue “redistribuzione delle ricchezze”, mistica “giustizia sociale”, vana “decrescita”… E via di seguito.

Ma certo il massimo di queste falsificazioni e di questo smantellamento è il concetto di Stato, di cui è stata cancellata qualunque cognizione storica: di organismo, cioè, nato dallo sviluppo stesso, economico e sociale, dei raggruppamenti umani succedutisi nel tempo e strettamente correlato al comparire della divisione della società in classi. Un organismo al quale dunque, a un certo stadio di sviluppo storico e sociale, è demandato il compito di controllare e contenere gli antagonismi che inevitabilmente si sprigionano da quella stessa divisione, a favore della classe che è al potere e contro le classi che a quel potere sono sottomesse.

Scrive Friedrich Engels in quello che è uno dei nostri testi-chiave:

“Lo Stato dunque non è affatto una potenza imposta alla società dall'esterno e nemmeno 'la realtà dell'idea etica', 'l'immagine e la realtà della ragione', come afferma Hegel. Esso è piuttosto un prodotto della società giunta a un determinato stadio di sviluppo, è la confessione che questa società si è avvolta in una contraddizione insolubile con se stessa, che si è scissa in antagonismi inconciliabili che è impotente a eliminare. Ma perché questi antagonismi, queste classi con interessi economici in conflitto, non distruggano se stessi e la società in una sterile lotta, sorge la necessità di una potenza che sia in apparenza al di sopra della società, che attenui il conflitto, lo mantenga nei limiti dell''ordine'; e questa potenza che emana dalla società, ma che si pone al di sopra di essa e che si estranea sempre più da essa, è lo Stato” (corsivi nostri) [1].

Nell'altro nostro testo-chiave sull'argomento, Lenin, seguendo di pari passo Engels e Marx, riafferma:

“Qui è espressa, in modo perfettamente chiaro, l'idea fondamentale del marxismo sulla funzione storica e sul significato dello Stato. Lo Stato è il prodotto e la manifestazione degli antagonismi inconciliabili tra le classi. Lo Stato appare là, nel momento e in quanto, dove, quando e nella misura in cui gli antagonismi di classe non possono essere oggettivamente conciliati. E, per converso, l'esistenza dello Stato prova che gli antagonismi di classe sono inconciliabili. [...] gli ideologi borghesi, e soprattutto piccolo-borghesi, costretti a riconoscere, sotto la pressione di fatti storici incontestabili, che lo Stato esiste soltanto dove esistono antagonismi di classe e la lotta di classe, 'correggono' Marx in modo tale che lo Stato appare come l'organo della conciliazione delle classi. Per Marx, se la conciliazione delle classi fosse possibile, lo Stato non avrebbe potuto né sorgere né continuare ad esistere. Secondo i professori e pubblicisti piccolo-borghesi e filistei – che molto spesso si riferiscono con compiacimento a Marx – è proprio lo Stato a conciliare le classi. Per Marx lo Stato è l'organo del dominio di classe, un organo di oppressione di una classe da parte di un'altra; è la creazione di un 'ordine' che legalizza e consolida questa oppressione, moderando il conflitto fra le classi. Per gli uomini politici piccolo-borghesi l'ordine è precisamente la conciliazione delle classi e non l'oppressione di una classe da parte di un'altra; attenuare il conflitto vuol dire per essi conciliare e non già privare le classi oppresse di determinati strumenti e mezzi di lotta per rovesciare gli oppressori” (corsivo nel testo) [2].

E fermiamoci per il momento qui. I due brani sono sufficienti a castigare tutti i “professori e pubblicisti piccolo-borghesi e filistei” di ieri come di oggi (un oggi che ne è ancor più affollato di ieri!).

Dunque, un organo di oppressione di una classe da parte di un'altra. Ecco che cos'è lo Stato, e ciò indipendentemente dalla forma che quel dominio, quell'oppressione, possono assumere via via, nel tempo storico [3]. Non a caso, nel ristabilire, contro tutte le deformazioni, il concetto marxista dello Stato, Lenin chiarirà ancora che: “L'imperialismo – epoca del capitale bancario e dei giganteschi monopoli capitalistici, epoca in cui il capitalismo monopolistico si trasforma in capitalismo monopolistico di Stato – mostra in modo particolare lo straordinario consolidamento della 'macchina statale', l'inaudito accrescimento del suo apparato burocratico e militare per accentuare la repressione contro il proletariato, sia nei paesi monarchici che nei più liberi paesi repubblicani” [4]. Non solo. Sottolineerà anche che: “L'onnipotenza della 'ricchezza' è, in una repubblica democratica, tanto più sicura in quanto non dipende da un cattivo involucro politico del capitalismo. La repubblica democratica è il migliore involucro politico possibile per il capitalismo; per questo il capitale, dopo essersi impadronito […] di questo involucro – che è il migliore – fonda il suo potere in modo talmente saldo, talmente sicuro, che nessun cambiamento, né di persone, né di istituzioni, né di partiti nell'ambito della repubblica democratica borghese può scuoterlo” [5] (corsivi di Lenin).

Sempre ripreso da Lenin, Engels continuava poi ricordando “l’istituzione di una forza pubblica” e mostrando che: “Questa forza pubblica esiste in ogni Stato e non consta semplicemente di uomini armati [l’esercito, le “forze dell’ordine”, tanto per intenderci – NdR], ma anche di appendici reali, prigioni e istituti di pena di ogni genere” [6]. È insomma la funzione dello Stato-poliziotto che va ad aggiungersi a quella dello Stato-imprenditore, dello Stato capitalista collettivo – le due facce dello Stato di classe.

Invece, la visione, la percezione, oggi dominanti sono quelle di uno “Stato-arbitro”, di uno “Stato super partes” che amministra con onestà la giustizia collettiva, e a cui ogni “cittadino” sa di potersi rivolgere con la certezza di essere ascoltato e aiutato, di uno “Stato buon papà” severo ma giusto (o, a seconda dei casi, di uno “Stato buona mamma”, dispensatrice di caldo nutrimento!). Insomma, di un enorme Ente Morale. E dunque lo Stato è diventato per davvero, nella visione ottenebrata dei filistei, “la realtà dell'idea etica”, “l'immagine e la realtà della ragione”: come lo dipingeva Hegel!

C’è poi da dire dell’altro. Proprio come conseguenza dell’evoluzione in senso imperialistico della società borghese – evoluzione affermatasi ormai da un secolo e via via “perfezionata”, con tutte le sue implicazioni e ricadute economiche, politiche e sociali – e della progressiva putrefazione a tutti i livelli della società borghese di cui è poliziotto e funzionario, lo Stato ha gettato molte delle sue maschere, mantenendo e rafforzando essenzialmente il ruolo di imprenditore economico-finanziario (il capitalista collettivo che difende gli interessi nazionali del capitale nazionale) e il ruolo di strumento d’oppressione di classe (il super-sbirro che se la vede con il proletariato). Si è liberato di vesti inutili e ingombranti: tanto per fare due esempi, ha abbandonato a se stesse la scuola (la tanto celebrata “trasmissione del sapere”!) e la sanità (la “cura del cittadino”, dal bambino all’anziano, dalla culla alla tomba) – tutti settori altamente improduttivi. Lo si è visto in maniera lampante in questi mesi dominati dalla pandemia: ovunque nel mondo, lo Stato ha delegato a “tecnici” (che a loro volta non hanno fatto che esprimere l’impotenza, la tracotanza, la litigiosa mistificazione della scienza borghese a tutti i livelli, contribuendo a creare un diffuso stato d’animo d’incertezza e paura) la gestione ideologico-pratica dell’“informazione scientifica” e delle misure sanitarie, riservando a sé soltanto gli aspetti di controllo, di difesa dell’“ordine”, di repressione aperta o latente: l’esempio migliore è quello del famigerato Decreto Sicurezza, o “Decreto Salvini”, che proprio in queste ultime settimane è stato modificato – poco – nella parte relativa all’immigrazione tanto per regalare uno zuccherino agli illusi, lasciando invece intatte e suscettibili di essere inasprite quelle parti, semi-nascoste nella retorica demagogica, che riguardano i reati di blocco stradale, occupazione di case, picchetti, ecc., e che comportano, per i lavoratori stranieri più combattivi, la perdita del permesso di soggiorno e quindi il rimpatrio forzato – vale a dire, le misure più direttamente anti-proletarie, di esplicita difesa della proprietà privata.

Prima che i proletari si possano liberare di queste mistificazioni, di cui sono portatori anche quei falsi amici pseudorivoluzionari che lanciano parole d’ordine demagogiche del tipo “far pagare la crisi ai padroni attraverso la patrimoniale sui ricchi” (dunque, con lo Stato che da nemico diventa addirittura “difensore degli oppressi”!), dovranno percorrere una strada difficile e accidentata, fatta di avanzate e ripiegamenti, scontri e rivolte, sangue e repressione. Ma l’obiettivo rimane sempre quello indicato da Lenin, che riprende le parole chiare di Marx ed Engels: “Questo corso degli avvenimenti obbliga perciò la rivoluzione a ‘concentrare tutte le sue forze di distruzione’ contro il potere dello Stato; le impone il compito non di migliorare la macchina statale, ma di demolirla, di distruggerla[7].

Lo potrà fare, alla condizione di avere alla propria testa il partito comunista.

 

[1]    F. Engels, L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato (1884), Editori Riuniti, 1993, p.200. Corsivo nostro.

[2]    V. Lenin, Stato e rivoluzione (1917), in Opere scelte, Vol. IV, p.236-7.

[3]     Indipendentemente dalla forma: l’esempio più evidente e tragico è offerto dalla Repubblica Italiana, con la mistificazione della “Costituzione più bella del mondo”, che, in quanto preteso superamento sia dello Statuto Albertino sia del regime fascista (e, al contrario, perfetta continuità dell’ordine borghese), proclama di voler assicurare una sorta di… “paradiso in terra”.

[4]    Idem, p.256.

[5]   Idem, pp.241-2. Sempre Lenin commenta: “L’esercito permanente e la polizia sono i principali strumenti di forza dl potere statale. Ma potrebbe forse essere altrimenti?” (Stato e rivoluzione, cit., p.238).: Da scolpirsi bene in mente quel “potrebbe forse essere altrimenti?”, oggi che il filisteismo dominante arriva a chiedere, come succede negli Stati Uniti, la… ”abolizione della polizia”!

[6]     Idem, p.238.

[7] Lenin, op. cit.

 

 

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