DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

In una circolare della Lega dei Comunisti (febbraio 1847), cioè in un documento interno destinato a indirizzare, istruire e rafforzare quei nostri antichi compagni che per primi hanno espresso la necessità e il dovere, per la parte più decisa della classe dei senza-riserve, dei venditori di forza-lavoro, di organizzarsi in un Partito vero e proprio, troviamo una rivendicazione del nostro obiettivo storico e un’esortazione alla sua difesa, che a distanza di quasi due secoli non hanno perso un grammo di validità; così come non ha perso importanza l’identificazione del nemico riformista che, ora come allora, nel seminare confusione tra i ranghi dei nostri fratelli di classe, opera come un vero e proprio agente controrivoluzionario. Allora, ai tempi di una borghesia che aveva ancora velleità e compiti rivoluzionari, questo nemico era solo un confuso e benevolo avversario. Ma la prova dei fatti storici ha dimostrato che questo socialismo democratico, questo socialismo utopistico, coniugantesi a meraviglia con ogni nazionalismo, è stato la principale arma con cui il Capitale, nella sua compiuta modernissima forma imperialista, ha impedito alla fiammata rivoluzionaria del 1917 di divampare nell’incendio che avrebbe dovuto (come dovrà) carbonizzarlo ovunque nel mondo.

Leggiamo:
“Come sapete, il Comunismo è un sistema, secondo cui la terra deve essere bene comune degli uomini, secondo cui ognuno deve lavorare, ‘produrre’, secondo la sua capacità, e ognuno deve  godere, ‘consumare’, secondo le sue forze. I Comunisti, adunque, vogliono abbattere tutta quanta l’antica organizzazione sociale e sostituirgliene una completamente nuova.

“Il Socialismo, che deriva il suo nome dalla parola latina socialis – riguardante la società – si occupa, come dice il suo nome, dell’istituzione della società, dei rapporti tra uomo e uomo. Esso però non erige un nuovo sistema; suo affare è quello precipuamente di rabberciare l’antico edificio, colmare e nascondere all’occhio le fessure scoppiate col tempo, oppure, tutt’al più, come i Fourieristi, erigere un nuovo piano sull’antico marcio edificio, chiamato capitale; cosicché si possono annoverare fra i socialisti tutti gli edificatori di carceri, istituti di miglioramento, istituti per inventori, istituti di beneficenza, ospedali, cucine.

“E appunto perché la parola socialismo non esprime un’idea precisa, ma può significare tutto e nulla, appunto perciò cercano rifugio sotto la sua bandiera tutte le teste fatue, gli ubriachi d’amor del prossimo, tutti quegli individui che vorrebbero far qualcosa, ma non hanno il coraggio dell’azione. E tutti costoro inveiscono contro i Comunisti, che non vogliono più rammendare l’antico edificio, ma vogliono costruirne uno completamente nuovo. Ma che il voler rammendare, intonacare l’istituzione sociale completamente marcita sia una perdita di tempo lo può facilmente vedere ogni persona ragionevole. Perciò è necessario che noi teniamo fermo alla parola Comunismo, e arditamente lo scriviamo sulla nostra bandiera, e poi contiamo i militi che si raccolgono sotto di essa. Noi non dobbiamo tacere quando ci viene dichiarato – come è accaduto spesso ai nostri tempi – che Comunismo e Socialismo sono, in fondo, la stessa cosa, e quando ci invitano a sostituire il nome di Socialisti al nome di Comunisti, al sentire il quale alcuni spiriti deboli si inalberano. Noi dobbiamo protestare energicamente contro simili sciocchezze”.

In quei tempi lontani, per i rivoluzionari passare da un’attività da setta cospirativa che aveva ereditato lo spirito romantico del colpo di mano e di una vita “eroica” volutamente marginale a un’attività sistematica, paziente e costante, del militante in un Partito che non ti chiede di “fare la rivoluzione”, ma di guidare “un processo rivoluzionario”, è stata una lezione importantissima. Il suo ABC si comincia a leggere proprio negli articoli organizzativi degli “Statuti della Lega dei Comunisti”, dove troviamo, per esempio, “Le condizioni per farne parte”: “a) Tipo di vita e attività corrispondenti a questo scopo, b) Energia rivoluzionaria e zelo di propaganda, c) Professione delle idee comuniste”. In altri tempi, lo svolgimento della moderna lotta di classe ribadirà questo caposaldo del divenire sociale: cioè che il proletariato è rivoluzionario non perché “vuole” la rivoluzione, ma perché, in particolari, determinati svolti storici, è “costretto” alla rivoluzione. Da qui discende che il Partito Comunista – organo che caratterizza, determina, guida la lotta di classe prima, durante e dopo il processo insurrezionale – non “fa” la rivoluzione, ma la dirige la; così come non costruisce i sindacati, ma partecipa alle lotte di difesa economica per organizzare quelle sacrosante strutture di difesa, stabili, estese, radicate più ancora che nei luoghi di lavoro nei territori dove si lavora e si vive…

Ma torniamo alla circolare di cui sopra, che si chiude con questa esortazione:

“I tempi si fanno duri; noi abbiamo bisogno di uomini forti e non di spasimanti al chiaro di luna, i quali invece di maledire la miseria degli uomini e di afferrare la spada, non sanno fare altro che versare femminee lacrime”.

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