DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

"’Prepariamo il futuro’: obiettivi raggiunti!”. L'amministratore delegato di Poste Italiane, Matteo Del Fante, in una conferenza stampa tenutasi a marzo 2019, vantava i risultati del primo trimestre 2019: circa 135 mila dipendenti e un utile netto di 439 milioni, pari a +5,3 rispetto al primo trimestre 2018… mentre in Poste si sta consumando il più drastico taglio occupazionale mai avvenuto, con oltre 5000 dipendenti in meno rispetto all’anno precedente. L'A.D. intende spingere sempre più verso la digitalizzazione, per usufruire degli incentivi fiscali e sostituire sempre più le macchine agli uomini. Nel frattempo, per i "fortunati" che rimarranno, Poste per il prossimo futuro sta predisponendo un modello di flessibilità lavorativa intesa come fatto totale, con molteplici funzioni esigibili dal lavoratore. All'interno dello stesso orario lavorativo il lavoratore sarà costretto a compiere le più diverse mansioni.

Ma riassumiamo in breve la vicenda. Nata nel 1862, dopo l’unità d'Italia, Poste Italiane ha rappresentato il servizio pubblico nazionale della corrispondenza; ai primi del ‘900, si sviluppa, accanto alla distribuzione di lettere e cartoline, il servizio dei conti correnti postali. Durante il fascismo, soprattutto come strumento di controllo e censura, le Poste assolvono ad un importante ruolo nella gestione  del potere. Dopo il secondo conflitto mondiale, s’incrementano i servizi di risparmio e le emissioni di titolie e si acquisiscono a scapito del sistema bancario quasi tutti i pagamenti e le riscossioni dello Stato: il valore delle operazioni finanziarie cresce.

Negli stessi anni (tra il 1950 e gli anni ‘80), le Poste hanno rappresentato, sul piano occupazionale, una valvola di sfogo per molti giovani, assunti a migliaia grazie alla mediazione di "padrini locali" – una gestione clientelare che ha contribuito a gonfiare quella massa di dipendenti pubblici, gestiti come massa elettorale dall’accozzaglia parlamentare della cosiddetta Prima Repubblica, in particolar modo nell'Italia meridionale.

E’ risaputo che le cicale hanno una  breve vita, il volgere di una stagione. Negli anni ‘90, il disavanzo economico di Poste divenne strutturale. Con la scusa ideologica di una bassa produttività degli addetti, per apportare un maggior profitto al pidocchioso capitalismo italiano si decise di riformare il servizio postale. Poste si trasformò da azienda autonoma ad ente pubblico economico. La strada verso la “privatizzazione” era aperta. La direttiva era quella di intraprendere misure atte ad un aumento della produttività e  un miglioramento del servizio, in modo di risanare poste economicamente: tutte azioni orientate alla massimizzazione dei profitti. Così facendo, si mise in parte in crisi quello che era l'aspetto clientelar-politico di Poste, legato alla giostra parlamentare, che toccò quindi il suo ultimo apice nel ‘92, con l'ultimo concorso pubblico di assunzione di personale: l'ultima sanatoria in ambito elettoralistico.

Nel ’98, Poste diventa SpA. Lo scopo di una SpA è, notoriamente, il lucro, cioè fare utili economici, non certo svolgere un servizio pubblico. Iniziano i primi tagli: riducendo il personale e aumentando contemporaneamente i ritmi dei "restanti" si massimizzano i profitti. Con Massimo Sarmi come A.D., Poste inizia una nuova strategia, sia investendo in PosteMobile sia con il varo di vari servizi finanziari ed assicurativi offerti alla cittadinanza, a tutto discapito del tradizionale servizio di recapito, che si accompagna a un più efficace controllo sui lavoratori.

E siamo all'oggi. Poste italiane è controllata al 35 dalla Cassa Depositi e Prestiti (dunque dallo Stato), per il resto il capitale è  in mani private. Il titolo in borsa ad oggi fa segnare un significativo rally. L'utile di Poste è cresciuto a 1.399 miliardi (+709 rispetto al 2017), Ma gli enormi profitti solo in parte sono da accreditare alla finanziarizzazione di Poste. Il profitto di Poste Italiane in realtà si chiama sfruttamento: politiche di sfruttamento che hanno il solo scopo di rendere i lavoratori sempre più simili agli asini da soma. Le poche migliaia di neoassunti nel prossimo futuro non riusciranno a sopperire alle migliaia di uscite (15000), tra incentivi al pensionamento e quelli che vanno in pensione per averne maturato il diritto. Il numero degli occupati si riduce di anno in anno: solo nel 2017, ci sono stati quasi 5000 dipendenti in meno rispetto all’anno prima. I piani di ristrutturazione di Poste sono evidenti: i grandi manager mirano a tagliare l'occupazione, a mantenere bassi i salari e ad estendere la precarietà, un vero e proprio attacco alla condizione dei lavoratori. Vogliono fare di Poste un precarificio permanente e intensificare lo sfruttamento con l'aumento dei ritmi produttivi e l’introduzione e diffusione di appalti e subappalti ad aziende che utilizzano le famigerate cooperative, in modo da estorcere maggiore pluslavoro a chi è attualmente occupato.

Tra i lavoratori postali, di certo la peggiore condizione è quella dei portalettere, con il cosiddetto “Piano delivery”, per il quale si è costretti a lavorare 7 giorni su 7,  coprendo tutte le ore della giornata, con priorità ai prodotti ad alto profitto, consegna veloce, personalizzata, flessibilità oraria sempre garantita, dal lunedi al sabato… un bagno di sangue, insomma. Le giacenze invece (la posta ordinaria) vengono smaltite nel fine settimana, magari lavorando anche la domenica o i festivi, come accade il 25 aprile o il Primo Maggio. Di pari passo, altrettanto infame è diventato lavorare ai Cmp (centri di meccanizzazione postale), dove oramai i carichi di lavoro sono ingestibili: gli operai devono coprire, per mancanza di personale, anche 2 o 3 postazioni; ragion per cui, il ricorso allo straordinario è oramai una regola durante tutta la settimana (a fine turno quotidianamente, sabato compreso, anche di 6 ore!); non sottacendo il fatto delle pressioni che subiscono i lavoratori, che vengono spesso attaccati dai capetti di turno, anche per il solo fatto di essere andati in bagno. Poste italiane, dietro la parvenza di vari nomignoli in lingua inglese come Lean o Delivery, o in giapponese come Kaizen, nasconde in realtà uno sfruttamento spietato e italianissimo. Dietro il paravento di efficienza, riduzione degli sprechi, ottimizzazione dei tempi, si nasconde in realtà un aumento massimo dell’estrazione di plusvalore, in conseguenza dei carichi aumentati di lavoro. La volontà manifesta di Poste italiane di ridurre drasticamente il personale di oltre il 50% nei prossimi anni, bloccando il turn over, con l'assunzione di poche migliaia di lavoratori precari a tempo determinato, va nella direzione di un peggioramento continuo delle condizioni lavorative e di vita dei lavoratori, in tutti i settori postali: dal recapito alla sportelleria, dai Cmp alla logistica.

In conclusione, i lavoratori postali vivono una realtà sempre più squallida. Ma non vi sono vie di fuga, se non il prendere atto che vi deve essere una ripresa delle lotte e non limitarsi a qualche sporadica azione di sciopero: una lotta costante e continua, contrastando apertamente la pratica dei capi e dei quadri sindacali che da tempo fanno solo accordi con l'azienda, avallando ogni porcheria sulla pelle dei lavoratori.

 

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