DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

(Storia della Sinistra III, 1986, pag. 483)

 Il Partito Comunista è sorto in Italia tra diffidenze e diffamazioni, che sebbene da noi controbattute senza risparmio di slancio polemico, qualche traccia hanno pur lasciato nelle masse italiane e nei compagni all'estero. I più disparati e azzardati giudizi sulla sua composizione e sulla sua genesi, e le più inverosimili critiche aprioristiche si concludono quindi inevitabilmente nell'ultrafilisteo: lo attenderemo alla prova, lo giudicheremo dalle opere, questo Partito che si presenta con tanto bagaglio di critica incessante e di acerba rampogna a tutti i suoi avversari.

Si immagina che il Partito sia sorto per il capriccio di quelli che oggi ne fanno parte o ne hanno la dirigenza, e si considerano costoro come i firmatari di una cambiale a breve scadenza da pagare coll'avvento della rivoluzione. Colla stessa logica alle minoranze che nel 1914 e 1915 in vari paesi si staccavano dal partito che avevano tradito nella dedizione social-patriottica, si poneva lo specioso dilemma: o impedire la guerra, o rinunciare ad inchiodare alla gogna quei traditori che la guerra avevano appoggiata. Il Partito Comunista, mentre secondo le sue dottrine e la sua tattica realizza la concentrazione delle massime energie proletarie nella effettiva preparazione rivoluzionaria, mentre rivendica il suo costituirsi attraverso la scissione del vecchio Partito, come una tappa indispensabile sul cammino della emancipazione del proletariato, non perde il diritto ad impugnare la mancata utilizzazione di tutte le possibilità di preparazione e di azione rivoluzionaria che la situazione ha fino ad oggi presentate, ed anche, per diretta conseguenza, sebbene in grado minore, di quelle che presenterà al vecchio Partito, all'opera nefasta della sua destra e del suo centro, alla sua attuale influenza controrivoluzionaria.

Il Partito Comunista quindi, in forza di tutta la esperienza eloquente della lotta rivoluzionaria nazionale e mondiale, tende a dare il massimo utile rendimento all'opera indefessa di preparazione rivoluzionaria, e mentre nutre della sua fede, della sua volontà, dello sforzo e del sacrificio dei suoi militanti di qualunque grado, la fatale vittoria della rivoluzione, al disopra del gioco delle forze contrarie da cui questa dipende e il cui sviluppo si presenta difficile e complesso, difende ed afferma la ragione del suo costituirsi della sua battaglia come una risultanza dello storico svolgimento della lotta di classe, come una necessità logica del susseguirsi dei fatti sociali, che nessuna critica ridotta al pettegolezzo può lontanamente intaccare.

I Partiti della classe proletaria non sono solo i depositari della esperienza critica che discende dalle alterne vicende della lotta di classe, ma sono risultati reali della lotta stessa e si formano e si decompongono secondo un processo che segue le fasi della vita del mondo capitalistico, che ne è il riflesso e l'effetto, mentre costituisce la parte più suggestiva del fenomeno per cui, nel suo evolvere, il regime presente enuclea dal seno della società le forze che dovranno distruggerlo: i suoi becchini.

La storia del formarsi dei partiti del proletariato ha dato luminosi insegnamenti che si riassumono nelle posizioni di principio e di metodo della Internazionale Comunista. Tuttavia, come gli elementi della esperienza continuamente vengono ad accrescersi assommandosi nuovi fatti ai precedenti, così si perfeziona la coscienza del massimo organismo di lotta del proletariato mondiale e la sua capacità di erogare nei partiti rivoluzionari internazionalmente affasciati lo sforzo liberatore della classe lavoratrice, garantendosi sempre meglio da errori ed insuccessi, assicurando sempre maggiori risorse che aiutino a conseguire la vittoria suprema.

La scissione del Partito socialista italiano ha suscitato tanto scalpore anche all'estero, appunto perché reca un nuovo fattore di esperienza alla costituzione della conoscenza precisa di quel processo per cui i tradizionali partiti della II Internazionale han ceduto il passo ai moderni partiti rivoluzionari comunisti. La scissione è un fatto contro cui è vano recriminare, che bisogna invece comprendere, nei suoi insegnamenti. Essa è lungi da essere semplicemente, pedestremente il portato della volontà della Internazionale di Mosca, o peggio, dei comunisti italiani: la dipendenza è più complessa, è dialettica, è reciproca. Se è valsa alla costituzione del Partito Comunista d'Italia, attraverso la formulazione datane dai congressi della Internazionale, l'esperienza delle lotte proletarie all'estero, dell'abisso che in Russia, in Germania, in altri paesi si era scavato tra i fautori del metodo rivoluzionario comunista e quelli delle varie sfumature socialdemocratiche: a sua volta la crisi del Partito italiano reca all'esperienza internazionale del movimento indicazioni suggestive e che non mancheranno di avere internazionali riflessi e conseguenze.

Il Partito Comunista è dunque sorto in Italia dallo speciale svolgimento che tra noi hanno avuto le correnti di sinistra del movimento della seconda Internazionale, riuscito ad essere maggioranza prima della guerra e ad evitare dinanzi a questa, col concorso di altre favorevoli circostanze, la bancarotta social-nazionalista.

Tutto il posteriore svolgersi degli avvenimenti e della vita del nostro Partito, è di una viva eloquenza marxista. Quelle condizioni derivanti dalle passate affermazioni del “radicalismo” si sono rivelate insufficienti a fare del partito un organo maturo a utilizzare, secondo le direttive della nuova Internazionale, gli insegnamenti e le conseguenze della guerra.

Vi è anzi di più: quelle circostanze si sono rivelate di una efficacia e di una influenza esattamente inverse a quelle che la facile parola del corrente buon senso attribuiva loro. Le nostre passate vittorie sul riformismo e sul metodo socialdemocratico, ottenute nel 1912, 1914 e 1915 su quelle questioni, che allora la situazione poneva in evidenza, non hanno servito a debellare il metodo socialdemocratico e controrivoluzionario nelle sue più velenose manifestazioni dell'epoca attuale. Anzi gli hanno permesso di convivere in un partito che se ne dissimulava l'esistenza e l'influenza, di riguadagnare sulle nuove posizioni - sebbene in modo poco appariscente - la sua causa, rimorchiando ancora verso destra il grosso del Partito.

Questi - e non vogliamo qui ripetere tutto il bagaglio di più precisa dimostrazione che è svolto nella nostra critica e polemica di tutti i giorni - gli insegnamenti della scissione italiana, questo il patrimonio di pensiero e di tattica che il Partito Comunista d'Italia aggiunge a quello formidabile della Terza Internazionale.

Il Partito Comunista d'Italia non permette a nessuno di giudicarlo come un prodotto artificiale che si possa trovare più o meno ben riuscito, più o meno brillantemente elaborato dall'artefice.

Ai critici che si pongano su questo terreno il Partito Comunista oppone la considerazione che essi sono e pensano al di fuori del metodo critico marxista di interpretazione dei fatti della storia. Il Partito Comunista d'Italia è in questo una vera e grande realtà, che si può temere, che si può odiare, ma che nessuna critica e nessuna insinuazione potrà sopprimere o considerare come una prova tentata da giudicare dall'effetto a venire.

Agli ex-compagni che così ragionano noi opponiamo ben diversa considerazione del loro movimento. Essi con ipocrisia infinita paiono dire: “Avete voluto saggiare un espediente tutto vostro per fare la rivoluzione, noi attendiamo il risultato del tentativo e, pur non augurandovelo, pensiamo che porterà alla sconfitta del proletariato”. Noi diciamo di essi e del loro Partito che esso non riassume in sé un certo metodo di lotta proletaria sulla cui efficacia l'avvenire dovrà pronunciarsi; indipendentemente da eventuali volontà soggettive, il loro movimento agisce nel senso di tagliare al proletariato la via della emancipazione: nessun dubbio vige sui suoi effetti, esso non ha l'onore di essere in gara col nostro sulla via che conduce alla vittoria del proletariato; esso opera, contro il metodo e l'azione nostra, per la vittoria della borghesia e del suo dominio, con effetti non diversi se non per una più sottile e insidiosa efficacia da quelli dell'azione di tutti i controrivoluzionari che infestano il mondo.

E noi Comunisti faremo la rivoluzione nella misura in cui avremo saputo sbarazzarle anzitutto la via dai farisei socialdemocratici, dalla loro ignoranza presuntuosa, dalla loro volgare malignità, dalla loro incalcolabile insufficienza che rivolgeranno domani allo sfrontato sabotaggio della rivoluzione.

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