DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Nella tristezza di un tramonto inglorioso, fra le meschine combinazioni suggerite da preoccupazioni personali e le polemiche insincere tendenti a nascondere le comuni e gravissime responsabilità, sta per inaugurarsi il nuovo Congresso di quello che fu il Partito dei lavoratori italiani. Il fatto stesso che la situazione è oggi completamente capovolta in confronto al 1919-20, dimostra inesorabilmente che il Partito socialista italiano, per la mancanza di una concezione precisa ed univoca sui fini da conseguire e sui mezzi da adoperare, e per la impossibilità di un’azione unitaria fra le opposte tendenze, non ha saputo soddisfare ai grandi compiti che l’ironia della storia avrebbe voluto affidargli nel biennio successivo all’armistizio e si è lasciato superare per sempre dagli avvenimenti.

La crisi interna, che parve arrestata al Congresso di Livorno dall’equivoco dell’unità formale, ma che fu invece accelerata dall’uscita stessa dei comunisti e dalla loro organizzazioni in un proprio Partito, ha fatto il suo corso. Entro i limiti in cui le previsioni sono possibili in un Paese dove l’arancio fiorisce più facilmente del carattere, l’imminente Congresso di Roma dovrebbe segnare la liquidazione della falsa unità tra socialdemocratici e massimalisti.

Sapranno i massimalisti mantenere fede alle proprie dichiarazioni; spezzare il giuoco dei centristi che vorranno ancora agitare lo specchietto dell’unità per togliersi dall’imbarazzo di una decisione confessata e per meglio proteggere il loro stesso riformismo; ed infine separarsi dalla destra?

Se non lo faranno, sarà la loro morte civile. Prigionieri della coalizione fra destra e centro destra, essi cesseranno per sempre di esistere come forza autonoma.

Se avranno invece la dignità di decidersi, sorgerà per essi – in modo non più evitabile – il problema dei loro rapporti con la terza Internazionale, e quindi anche – non ammettendo quest’ultima che un solo Partito comunista in ogni Paese – dei loro rapporti col Partito Comunista d’Italia.

Fino a che i massimalisti non avranno operato in miniera insospettabile la loro divisione dai socialdemocratici, la campagna dei comunisti italiani e della terza Internazionale contro di essi resterà, non soltanto doverosa, ma necessaria. Quelli che si ritengono errori ed equivoci vanno combattuti implacabilmente.

Ma il giorno in cui i massimalisti si fossero decisi alla separazione chiesta loro dalla terza Internazionale sino da due anni fa, per ciò solo si determinerebbe un fatto nuovo, al quale non potrebbe non corrispondere una modificazione anche nella nostra linea di condotta. Fra uomini gli errori non si confessano con giaculatorie avvilenti, ma si riparano nella realtà dei fatti evitandone per sempre la ripetizione. Se i massimalisti manterranno fede, nell’imminente Congresso, alle loro recenti dichiarazioni, essi avranno per ciò solo riconosciuto una parte dei loro gravissimi torti, e si saranno posti in una situazione notevolmente diversa.

Parlando di massimalisti, non si intende qui comprendere quella loro frazione di estrema sinistra detta dei "terzi-internazionalisti". I seguaci di Maffi e Riboldi – per quanto possano trovare nelle loro file qualche elemento non ancora sufficientemente orientato – hanno dimostrato da tempo di essere nel loro complesso più vicini a noi che ai massimalisti. A parte le eccezioni individuali essi rappresentano un gruppo speciale che nel flusso del tempo, per l’evolversi delle loro idee ed il concretarsi delle esperienze, si sono andati avvicinando più rapidamente alla concezione ed alla disciplina comunista.

Per tornare dunque ai massimalisti propriamente detti, tutti sono di accordo – anche i più intelligenti fra loro – che il massimalismo non è una dottrina organica ed autonoma. Il massimalismo è semplicemente un ponte instabile dal quale, o si ritorna apertamente verso la socialdemocrazia – non importa se ammantata di intransigenza formale – o si passa definitivamente al Comunismo marxista. Se si potesse scherzare col tempo – cioè coi dolori e con le umiliazioni del proletariato – la terza Internazionale ed i comunisti italiani potrebbero attendere tranquillamente che il processo di separazione e di chiarificazione si compisse anche tra i massimalisti.

Ma è lecito considerare il tempo come una quantità trascurabile? No; per Lenin e per Mustafa Kemal, mille volte no! Anche troppo tempo gli stessi massimalisti hanno fatto perdere alla classe operaia dal Congresso di Livorno ad oggi; e troppe congiunture favorevoli tutto il Partito socialista lasciò passare dall’armistizio al Congresso di Livorno. La situazione è troppo tragica perché la si possa guardare coll’occhio impassibile dello storico.

I comunisti devono essere contro l’unità degli opposti, ma non contro il riavvicinamento dei meno lontani. Perché la classe agraria possa riprendere il proprio cammino, è indispensabile che le divisioni si riorganizzino intorno alle questioni essenziali e si limitino rapidamente allo stretto indispensabile. La costituzione del Partito comunista, in Italia come in tutto il mondo, rappresenta la premessa, non già per una scissione definitiva della classe operaia, ma per la formazione di un nuovo fronte unico, ispirato a concezioni più realistiche e dotato di armi migliori.

D’altronde, per quanto il massimalismo non rappresenti una concezione vera e propria, nessuno potrebbe escludere che in un Paese di scarsa cultura, in cui le questioni personali sostituiscono le lotte di principio, i massimalisti non fossero in grado – una volta respinti in modo assoluto dalla terza Internazionale e dai comunisti – di costituire una specie di Partito indipendente, più o meno di sinistra. Sarebbe un Partito destinato fatalmente sgretolarsi; ma che intanto, aumenterebbe per un certo tempo la dispersione delle forze, e contribuirebbe ad accrescere fra le masse la confusione e lo scoraggiamento.

Abbiamo il dovere di impedire, per quanto sta in noi, ed oggi specialmente, la costituzione in Italia di un Partito indipendente di sinistra.

In tale situazione occorre invece facilitare con prudenza e con tatto il ravvicinamento dei massimalisti alla terza Internazionale ed al Partito comunista d’Italia. Di tutti i massimalisti? – si chiederà. Non di tutti. Di quei soli che vi si presteranno volonterosamente.

Anche dopo l’eventuale divisione dalla destra e da una parte più o meno grande dei centristi, esisterà nel grosso di coloro che si chiamano oggi massimalisti un’ala destra che ripugna organicamente dalla concezione e dalla pratica comunista. Quest’ala non è desiderabile nelle file della terza Internazionale; ed essa stessa, non ama di entrarvi. Il suo destino non ci interessa se non in senso negativo.

Quello dunque che importa è di fondere l’ala sinistra ed il centro sinistra dei massimalisti con i terzi internazionalisti; di far sì che questi ultimi ottengano le dovute garanzie e gli opportuni controlli; e di condurre poi questa massa, resa così più omogenea, verso la terza Internazionale.

Ogni processo di accostamento ed ancor più di fusione fra gruppi diversi, anche se operato con prudenza e con gradualità, presenta i suoi pericoli. Ma sarebbe assurdo respingere o non desiderare un evento complessivamente utile, solo perché ha anche esso i suoi inconvenienti. Il fatto stesso che il Partito socialista subisca una disintegrazione; che interi gruppi se ne distacchino, e che fra essi quelli di sinistra tendano a portare verso di noi, insieme con le loro passività certamente pericolose, un insieme di influenze e di tradizioni che hanno grande valore sulle masse; questo solo fatto, mentre può diminuire le difficoltà dell’odierna e tragica situazione e facilitare grandemente una ripresa del movimento, costituisce per la terza Internazionale e per noi una vittoria piena di significato.

 

D’altronde, il processo di accostamento potrà essere grandemente agevolato dalla autorità e dalla esperienza della terza Internazionale. Essa è la sola che possa superare gli attriti personali, vincere i punti morti, e presiedere efficacemente gli organi che in un primo tempo dovessero coordinare fra loro l’azione dei comunisti dei massimalisti di sinistra.

 

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