DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Il Comunista, 29 luglio 1922

Nei prossimi giorni si aduneranno i detriti del Partito socialista italiano ad un Congresso che deve suggellare i suoi destini. In questo momento noi ci rivolgiamo non solo agli operai che sono iscritti nel Partito socialista italiano, ma a tutti gli operai italiani, con l’invito a riflettere di fronte all’evidente sfacelo del Partito socialista italiano sugli insegnamenti che ne derivano, e a decidere se questo crollo debba significare la definitiva disfatta del movimento operaio italiano, oppure l’inizio del suo rapido risanamento.

O riscossa proletaria o trionfo della reazione

In Italia infuria oggi il terrore bianco dei fascisti come in nessun altro paese del mondo. “Dove, in tutta l’Europa, in tutt’il mondo, - eccettuato il Messico ed alcune repubbliche dell’America centrale e meridionale – esiste un paese che rassomigli all’Italia, colpita dal fascismo, dove con la connivenza del Governo e con dispregio delle leggi si incendiano metodicamente e sistematicamente cooperative di consumo, Camere del lavoro e Case del popolo, si occupano Municipi, si estorcono dimissioni di autorità, si scacciano i sacerdoti, si mettono al bando le persone invise e si fa la propaganda con la rivoltella? Soltanto in Italia la reazione raggiunge questo colmo”.

In questi termini descrive la situazione non già un organo comunista, bensì un quotidiano del “Partito Popolare”. Come si è giunti a questo dominio del terrore bianco? Dopo la fine della guerra lo Stato borghese italiano si presentava economicamente disgregato, senza un esercito sul quale la borghesia potesse appoggiarsi, con una burocrazia disorganizzata, con un proletariato ribelle, con una borghesia impoverita. Il Partito socialista italiano era la speranza dei lavoratori italiani. Esso era il solo che non soltanto non portava nessuna responsabilità per la guerra che aveva lacerato l’Italia, ma appariva cinto dall’aureola di avversario del conflitto omicida. Il proletariato italiano inneggiava alla Rivoluzione russa ed era disposto a seguirne l’esempio. Una ondata di scioperi invase il paese, gli operai occupavano le fabbriche, i lavoratori erano padroni delle piazze delle loro città. Non solo il proletariato agricolo, ma anche i piccoli proprietari si erano destati. E parve che in Italia dovesse sorgere il sole della Rivoluzione.

O i rivoluzionari sconfiggono i riformisti oppure saranno da essi sconfitti

Ma la maggioranza dei capi del Partito socialista italiano non aveva il coraggio di organizzare il movimento spontaneo del proletariato e di condurlo all’assalto. Non solo; ma anche quando l’assalto era in pieno corso, nel settembre 1920, allorché la borghesia non osava procedere con la violenza, i capi dei Sindacati, i D’Aragona e compagni, non disturbati da G. M. Serrati e dai suoi partigiani, stipularono un patto con la borghesia e si accontentarono delle promesse di Giolitti di sottoporre al Parlamento una legge sul controllo operaio. Allorché la borghesia si accorse della vigliaccheria e della paura dei dirigenti socialisti davanti alla Rivoluzione, essa superò la paura propria e organizzò le bande fasciste le quali instaurarono in tutto il paese il regno del terrore, massacrando a migliaia gli operai rivoluzionari, distruggendo le Case del popolo, e diventarono così padrone della situazione. Serrati aveva promesso di preparare la Rivoluzione sistematicamente attraverso la propaganda e le organizzazioni, ma in realtà egli preparò sistematicamente la disorganizzazione delle forze rivoluzionarie della vittoria dei fascisti.

Tutto ciò era stato previsto dalla Internazionale comunista che diceva i capi del Partito socialista italiano:

- Voi affermate che il proletariato italiano non è ancora pronto a conquistare il potere, orbene, se ciò è vero tanto più bisogna prepararsi alla lotta per il potere! Ed il primo passo di questa preparazione consiste nella rottura con i riformisti, con Turati, Treves e D’Aragona. Essi sono deboli di numero ma dominano le organizzazioni di massa del proletariato, i sindacati, le cooperative, e il gruppo parlamentare. Essi sono avversari della rivoluzione proletaria, fautori della collaborazione con la borghesia. Insieme con essi non è possibile preparare la lotta per il potere proletario.

Serrati giurava e spergiurava che i riformisti italiani non erano dei traditori del proletariato, che erano dei compagni disciplinati i quali si sarebbero conformati alla volontà del Partito. E Serrati si decise a romperla con i 50.000 comunisti italiani, si decise a romperla con l’Internazionale comunista per non romperla col piccolo manipolo dei funzionari riformisti dei Sindacati, delle Cooperative, dei Comuni e del Parlamento.

I comunisti si divisero a Livorno dal Partito socialista per accingersi con le proprie forze all’arduo compito di preparare il proletariato per le lotte future. Serrati rimase apparentemente il padrone di casa nel Partito socialista essendo nelle sue mani la Direzione del Partito, ma ora vediamo che il Gruppo parlamentare si ribella alla Direzione del Partito e propugna apertamente la collaborazione con la borghesia e la partecipazione al Governo borghese, mentre D’Aragona, il capo della Confederazione, lascia cadere la maschera e chiede apertamente la partecipazione dei socialisti al Governo, tendendo in caso contrario alla costituzione di un partito operaio autonomo. Serrati è quindi costretto a minacciare la scissione dai riformisti, quella scissione alla quale egli si è opposto a Livorno con tutte le sue forze.

Che cosa è accaduto? Gli attacchi dei fascisti hanno avuto successo. Gli strati più deboli del proletariato, i lavoratori della terra, gli operai delle piccole città, abbandonati in preda al terrore bianco in conseguenza del contegno passivo del Partito socialista italiano, hanno creduto in gran parte alle parole dei funzionari sindacali, dei deputati e dei consiglieri comunali riformisti, secondo le quali essi potranno liberarsi da questo terrore solo se il Partito socialista prenderà parte al Governo e metterà le mani sulla macchina del Governo.

Questo non è altro che una illusione.

Noi non sappiamo se la borghesia oggi sarà ancora disposta a dividere il governo con i Treves, i Turati, i Modigliani e i D’Aragona. La borghesia non ha più bisogno di questi uomini dopo che essi hanno scoraggiato il proletariato, dopo che essi l’hanno aiutata nel disarmarlo. Ed essa si guarderà bene dal prendere con sé al governo un branco di conigli socialisti, con la mira di entrare in lotta, per far loro piacere, con i lupi fascisti che essa stessa ha posto al mondo. Ma anche se la borghesia vorrà dare ricovero sotto il tetto del governo ai suoi tremebondi lacchè, resta una cosa ridicola il voler combattere i fascisti a mezzo dell’apparato dello Stato borghese. I fascisti ricevono le armi dal Regio Esercito borghese, i funzionari dello Stato operano d’accordo con essi, e il Governo è contro i fascisti tanto impotente quanto in unione con essi è forte. Fino a tanto che gli strati della classe operaia che sono stati corrotti dai riformisti non si saranno convinti che la politica della collaborazione con la borghesia non può dar loro nessun vantaggio, è necessario decidere su questa alternativa:

- Rottura con i riformisti, oppure no.

Se massimalisti non la rompono ora con i riformisti, essi diventano sostenitori coscienti dei riformisti stessi, e tutte le loro proteste contro la politica riformista si riducono ad un gesto da Pilato, a un tentativo di ingannare coscientemente i lavoratori, e nessuno vorrà più prestar fede ad esse. Se i massimalisti non si staccano dai riformisti ogni operaio si dovrà allontanare da loro come da quelli che coscientemente ingannano la classe operaia, solo perché pochi capi possano tenere il loro posto e continuare a mangiare in pace la loro pagnotta.

Ma anche nel caso che i responsabili si decidano per la separazione dei riformisti, noi abbiamo ancora da chiedere ad essi:

- E dopo che cosa farete? In qual modo volete combattere i riformisti? Per quali scopi volete ora combattere?

O nelle file della III Internazionale o una morte nel pantano!

I massimalisti parlano di un Partito socialista “indipendente”, che essi vogliono fondare per la lotta contro i riformisti. Come vogliono essi combattere i riformisti, in che cosa consisterà la loro lotta? – ecco la domanda che deve essere posta. Vogliono essi combatterli con delle frasi sul danno della collaborazione con la borghesia? Ma perché fino ad ora non è loro riuscito di convincere gli operai di Mantova, di Ferrara, dell’Emilia e della Toscana che il collaborazionismo è una tattica cattiva? Essi non hanno potuto convincerli perché non hanno potuto mostrare loro nessun altro mezzo positivo per liberarsi dagli attacchi dei fascisti, e perché quel lavoratori non volevano rimanere in uno stato di inazione dinanzi al massacro che i fascisti vengono facendo. Si può combattere i riformisti, soltanto quando si raccoglie la classe operaia per la lotta contro gli attacchi fascisti, cioè quando si indica ai proletari la via della lotta.

Questa via di lotta indicano agli operai i comunisti italiani nelle proposte che essi fanno all’Alleanza del Lavoro, proposte nelle quali, essi dicono, in modo concreto, quello che i lavoratori debbono fare per difendere la loro vita. Perciò hanno pienamente ragione i compagni Maffi, Lazzari e Riboldi quando affermano che non è sufficiente far uso di frasi contro i riformisti, ma è necessario organizzare in unione con i comunisti la lotta contro il fascismo. Questo è il modo di combattere contro i riformisti. Ogni altro sistema si risolve in un nuovo inganno.

Se i massimalisti hanno realmente riconosciuti i propri errori, non rimane loro da fare altro che ripensare a tutto ciò che i loro capi hanno scritto e detto contro l’Internazionale comunista. Essi vedranno allora che tutti questi meschini argomenti erano dettati soltanto dal timore di romperla con i riformisti, i quali hanno ricambiato i massimalisti col ridurli alla bancarotta. Si chiedeva allora che si tenessero in speciale considerazione le particolari condizioni dell’Italia, e si faceva colpa all’Internazionale comunista, di non volersi contenere a questo modo. Ora è apparso chiaro se avevano ragione i massimalisti “unitari”, oppure se avevamo ragione noi quando dicevamo che riformisti italiani, per loro natura, sono dei territori allo stesso modo degli Scheidemann, degli Henderson e dei Renaudel. Si protestava quando noi paragonavamo D’Aragona agli eroi della Internazionale sindacale di Amsterdam. Oggi D’Aragona siede degnamente in mezzo a quelli di Amsterdam. Non si voleva sentir parlare di preparazione della lotta rivoluzionaria, ed ora si vede che il non averla compiuta è stato una preparazione della vittoria dei fascisti. Noi potremmo, se si trattasse di una semplice questione polemica, dire sorridendo agli unitari del 1920: “Tu l’hai voluto, Giorgio Dandin!”.

Ma non si tratta di un puntiglio; si tratta della sorte di decine di migliaia di operai che l’errore dei capi ha traviati.

Noi non possiamo dunque ridere o schernire, ma diciamo ad essi che ogni partito può errare e che possono errare anche molti bravi capi operai. Questi però debbono dar prova della loro bravura nel riconoscere gli errori compiuti, nell’imparare da essi e nel ritornare sulla giusta via della lotta, a via che la Internazionale comunista addita ai proletari di tutto mondo.

Operai italiani, socialisti, lavoratori organizzati e comunisti!

Voi vedete oggi con quanta esattezza l’Internazionale comunista ha preveduto lo svolgersi degli avvenimenti!

I vostri comunisti italiani sono usciti dal Partito socialista con una piccola minoranza e sono a poco a poco diventati una forza in pieno sviluppo. Essi diventeranno la forza del proletariato se riusciranno a raccogliere assieme tutti gli operai rivoluzionari per la lotta comune contro la crescente miseria e contro gli intollerabili soprusi della reazione fascista, se riusciranno nelle città e nelle campagne a riunire milioni e milioni di proletari per la costituzione del Governo proletario.

Proletari rivoluzionari che ancora fate parte del Partito socialista! Voi avete visto a che cosa vi ha portato l’aver seguito capi indecisi, e l’aver rotto con i comunisti e con l’Internazionale soltanto per non romperla con i riformisti! Portate a termine ora in modo definitivo questa rottura con i riformisti e unitevi insieme con i comunisti! Unitevi con i comunisti anche contro i massimalisti se essi non vorranno comprendere i chiari insegnamenti della vostra disfatta!

Abbasso il tradimento riformista!

Abbasso la collaborazione!

Viva la lotta di classe rivoluzionaria contro la borghesia!

Viva l’Internazionale comunista guida di questa lotta!

Operai rivoluzionari d’Italia, raccogliete le vostre file attorno alla bandiera dell’Internazionale comunista!

Mosca, 22 luglio 1922

L’Esecutivo dell’Internazionale comunista

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