DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

BILANCIO DELLA RIFORMA AGRARIA

La riforma agraria lanciata nel 1953 per far fronte alle necessità di guerra e di aumento della produzione deve inevitabilmente scatenare la lotta di classe nelle campagne.

Malgrado le speranze del governo, che indica un ventaglio di misure differenziate a seconda della posizione politica dei latifondisti, l’azione dei contadini poveri si esercita in maniera incontrollata. Essi non seguono “criteri politici”, ma “criteri economici”, e colpiscono indistintamente i proprietari terrieri, quali che siano le loro idee, e anche i contadini ricchi. Se il governo spera di contenere il movimento entro i ristretti limiti delle sue necessità, militari ed economiche, esso sfugge di mano agli organi della RDV e si spinge molto più in là dei confini in cui si vuole imprigionare.

Nel 1956 (passata la guerra coi francesi) il governo della RDV deve perciò far marcia indietro, iniziando quella che fu definita l’”orgia dell’auto-critica”. Sono passati in rassegna i principali “errori” commessi nel corso della riforma. Soprattutto si denunciano le “tendenze estremistiche” manifestatesi e il gran numero di “vittime innocenti”.

Lo studioso vietnamita Lê Châu, autore di una analisi delle strutture economiche del Vietnam, così riassume quegli “errori”: «cattiva classificazione dei proprietari e delle differenti categorie di contadini, dei nemici e degli amici (...) Non applicazione del trattamento di favore riservato ai proprietari [resistenti] rispetto agli altri proprietari (...) attacco alla libertà religiosa». E aggiunge: «Gli errori della riforma agraria hanno avuto una influenza nefasta sulla politica del fronte nazionale unito. Questa influenza si è tradotta in una situazione estremamente tesa nelle campagne (...) Il sostegno delle masse sembra incrinato da queste prove» (Lê Châu, Il Vietnam socialista).

Per quanto riguarda le terre appartenenti alla chiesa, che nel 1953 costituiscono ancora il 10% del totale, all’inizio della riforma si ordina ai funzionari di attenersi alle decisioni delle assemblee contadine nei villaggi e di astenersi nel modo più assoluto dare ordini imperativi (era pericoloso, in quel momento, urtare i contadini). Nel 1955, il governo, ansioso di assicurarsi l’appoggio delle varie chiese, emana un decreto volto alla «Protezione della libertà religiosa», in cui si dice: «Vescovi, curati, bonzi, pastori, dignitari religiosi, che hanno delle terre di proprietà personale da affittare, proprietari terrieri, non sono classificati come proprietari terrieri (...) Per assicurare l’esercizio del culto da parte della popolazione e per aiutare i religiosi, il governo si adopera con sollecitudine ad alleggerire le imposte agricole sulle terre e risaie lasciate in usufrutto a chiese, pagode, santuari» (riportato da Lê Châu).

A partire dal 1956, il governo intraprende una serie di misure di «correzione degli errori» commessi durante la riforma. A questo scopo, la X sessione del Comitato centrale del partito decide fra l’altro: «di rettificare la classificazione dei contadini e indennizzare le vittime innocenti»; «i comitati di riforma agraria (...) non hanno più diritto alla direzione, ma divengono organismi di studio (...) I tribunali popolari speciali sono soppressi; le libertà religiose e quelle della comunità nazionale devono essere rispettate».

Nel 1958, il funzionario Truong Chinh, in un rapporto al congresso del fronte nazionale, descrive alcuni risultati di questa campagna di “correzione”; «In 3.501 villaggi abbiamo fatto dei passi affinché i beneficiari della riforma agraria consentano a indennizzare le vittime innocenti. I risultati ottenuti sono valutati a circa la metà del valore delle terre espropriate. Il bestiame è stato indennizzato nella misura del 38,5%, il 64% dei beni immobili sono stati restituiti (...) Le comunità religiose, alle quali erano state lasciate terre in misura insufficiente, si sono viste attribuire nuove terre» (citato da Lê Châu).

Secondo le cifre riportate da Lê Châu, nel Nord, con la riforma, sono stati distribuiti 810.000 ettari di terra, 107.000 animali da tiro, a 2.200.000 famiglie composte di 9.000.000 persone (72% della popolazione rurale).

Dotazione media di terra per bocca da sfamare - Prima e dopo la riforma
Prima
mq.
Dopo
mq.
Proprietario fondiario 6.779 825
Contadino ricco 2.116 2.159
Contadino medio 999 1.565
Contadino povero 343 1.372
Salariato - 1.421

 

Questi dati sono sicuramente poco attendibili; inoltre la determinazione della superficie di terra per bocca da sfamare è un dato molto dubbio, di scarso significato e di difficile determinazione. È certo però che la proprietà fondiaria latifondista ha subito un duro colpo: il che, naturalmente, non significa che si siano eliminate le disparità sociali nelle campagne.

L’abolizione del peso della proprietà terriera assenteista è la premessa indispensabile per lo sviluppo delle forze produttive. Lo Stato vietnamita, come tutti gli Stati del “terzo mondo”, trovandosi di fronte al mercato mondiale privo di un’industria di base, deve trarre dalla terra tutte le risorse, e per di più con mezzi rudimentali. Solo producendo un’eccedenza di prodotti agricoli ed esportando i prodotti delle miniere, si possono acquistare sul mercato mondiale i macchinari e tutto il necessario per costituirsi un’industria nazionale. Lo sviluppo dell’economia impone quindi un gigantesco sforzo produttivo nelle campagne, ma questo deve inevitabilmente portare al rafforzamento della classe dei contadini ricchi.

Chi può accumulare delle eccedenze produttive? Non certo il contadino povero, ma solo chi possieda la terra migliore, il bestiame da tiro, gli attrezzi agricoli. Data la gestione individuale del suolo, si deve quindi passare attraverso la concentrazione della terra, del bestiame, degli strumenti agricoli nelle mani di uno strato di contadini ricchi, il che produce all’opposto l’ulteriore impoverimento e la proletarizzazione dei contadini più poveri. Il fenomeno è definito “kulakismo vietnamita”, per analogia con quanto si era verificato in Russia.

L’azione dei contadini poveri, nel corso della riforma si dirige perciò non solo contro i latifondisti, gli sfruttatori di ieri, ma anche contro i contadini ricchi, gli sfruttatori futuri. Le condizioni dei contadini poveri si aggravano in modo tale che nella regione di Nghe An, nel 1956, scoppia una rivolta duramente repressa dall’esercito della RDV (il Nghe An è la stessa ragione dove, nel 1930, si erano costituiti i soviet).

 

LA "COLLETTIVIZZAZIONE AGRARIA"

Per dare impulso alla produzione il governo nordvietnamita cerca inoltre di concentrare i mezzi di produzione agricoli attraverso la forma cooperativa. Le forme di cooperazione sono tre: Brigate di aiuto reciproco, Cooperative semisocialiste, Cooperative socialiste.

Le Brigate di aiuto reciproco, o brigate di scambio del lavoro, si basano su una pratica tradizionale (diffusa anche in Cina), cioè l’aiuto reciproco che i contadini si prestano durante i periodi di maggior lavoro. In questa forma, i mezzi di produzione rimangono di proprietà individuale; è il lavoro che viene messo in comune; alla fine della giornata viene calcolato il lavoro fornito da ciascuno secondo un sistema di punti.

Nelle Cooperative semisocialiste, o cooperative di forma inferiore, i contadini consegnano i loro principali mezzi di produzione, come quote, alla gestione collettiva. Ognuno però resta proprietario della terra, del bestiame e degli attrezzi, che affitta alla cooperativa. Il prodotto, detratta una quota di accumulazione per i fondi sociali, le spese di esercizio, i reimpieghi, e l’affitto dei mezzi di produzione, viene distribuito ai soci in proporzione al lavoro fornito da ciascuno. La distribuzione del reddito in questo tipo di cooperativa, è molto difficile a effettuarsi: i contadini affideranno le loro terre e i loro strumenti alla gestione collettiva solo a condizione di ricavarne un utile almeno pari a quello ricavabile dalla libera affittanza. Per questa ragione (secondo quanto rivela Lê Châu), la cooperativa paga per l’affitto della terra una quota piuttosto alta, circa il 25-30% della produzione lorda totale. L’affitto del bestiame e degli attrezzi è invece calcolato in base ai prezzi correnti del mercato locale.

In questo tipo di cooperative, la produzione lorda totale si ripartisce in media nelle seguenti parti: 28% affitto della terra, del bestiame e degli strumenti; 5% fondi sociali di accumulazione; 6% spese d’esercizio (materie prime acquistate, tasse, ecc.); 1% prodotti reimpiegati in azienda; 60% remunerazione del lavoro.

I soci non vengono remunerati solo in quanto prestatori di lavoro, ma anche in quanto proprietari di terra e di capitale d’esercizio; niente altro potrebbe indurli a consegnare i loro beni alla gestione collettiva. Naturalmente all’interno delle cooperative, persistono notevoli disuguaglianze tra coloro che posseggono il terreno migliore e bestiame più numeroso e coloro che ricavano i loro proventi più dal lavoro che dall’affitto dei loro beni.

Le Cooperative socialiste, o cooperative di forma superiore, corrispondono ai kolchoz sovietici. Il reddito globale viene distribuito tra i membri secondo il principio “a ciascuno secondo il proprio lavoro”. Restano di proprietà individuale piccoli appezzamenti, che però non devono superare il 5% della superficie media per ogni abitante nel comune.

Nel 1959 le cooperative “socialiste” rappresentavano appena il 2,4% delle unità produttive agricole, mentre le cooperative “semisocialiste” coprivano il 43,01% delle unità produttive. La superficie di terra collettivizzata nelle due forme rappresentava il 37% del totale.

La collettivizzazione agricola non dà i risultati sperati. I contadini ricchi non hanno interesse ad aderire alle cooperative “socialiste”, dove la ripartizione del reddito si fa in base al lavoro fornito, e nemmeno a quelle “semisocialiste”, quando dalla libera affittanza si ricavavano canoni d’affitto più alti di quelli pagati dalla cooperativa.

Inoltre possono trarre vantaggio dalla rovina dei contadini più poveri, sia sfruttandoli come salariati, sia acquistandone la terra e il capitale di scorta a prezzi irrisori.


IL "SOCIALISMO" NORDVIETNAMITA

Dopo gli accordi di Ginevra, la debole industria nordvietnamita ha perduto l’85% della sua capacità produttiva.

Nelle grandi città, la permanenza del corpo di spedizione francese aveva dato impulso a numerose attività: il loro ritiro provoca immediatamente un’alta disoccupazione. Si ha inoltre un vertiginoso aumento dei prezzi; per esempio la carne di maiale sul mercato libero nel 1957 costa 4,5 ND al chilo quando il salario mensile di un operaio è di 30 ND.

Data l’inesistenza di una classe di imprenditori borghesi l’industrializzazione può avvenire in un solo modo: nella forma di capitalismo di Stato. Perciò il Nord Vietnam si proclama “Stato socialista”: nel 1958, una risoluzione del Comitato Centrale del Partito del Lavoro “decreta”: «Il Nord Vietnam è entrato nella fase di transizione verso il socialismo» e «deve assicurare la sua marcia verso il socialismo su due basi solide: una industria socialista e un’agricoltura organizzata in cooperative» (citato da Lê Châu).

Cooperazione in agricoltura e monopolio dello Stato nell’industria e nel commercio estero, questo è il socialismo per i dirigenti nordvietnamiti, come per tutti gli affiliati al blocco russo o cinese.

Il “socialismo” che contrabbandano è stabilito per decreto, un socialismo in cui continuano a imperversare le categorie del salario, del profitto e del mercato.

Un piccolo paese come il Nord Vietnam, può forse sottrarsi alle leggi del mercato mondiale? Certamente no. Anche nella Russia rivoluzionaria del 1920 continuava a sussistere il lavoro salariato e una notevole parte dei prodotti era destinata al mercato. Era chiaro che, in quel paese economicamente arretrato, non si poteva passare di colpo alla eliminazione dei rapporti di produzione capitalistici; si doveva procedere ad una graduale trasformazione dell’economia. Ma ciò avveniva in Russia sotto la ferrea direzione del partito proletario. Il partito bolscevico (e Lenin prima di tutti) non si sognò mai di dichiarare socialisti i rapporti di produzione vigenti allora; anzi affermò a più riprese che lo sviluppo della industria statizzata e la creazione di aziende cooperative in agricoltura non erano il socialismo e non dovevano essere chiamati tali. La carognata dei dirigenti della RDV non sta nell’essere soggetti alle ferree leggi dell’economia, ma nel dichiarare socialisti rapporti di produzione capitalistici in una economia ancora dominata dalla piccola produzione, e nell’appiccicare l’etichetta “socialista” a uno Stato che conosce solo i bisogni di accumulazione del capitale.

Il governo della RDV vara nel 1958 un piano triennale che prevede un aumento della produzione agricola del 12,7%. Nel 1960 la produzione agricola è invece diminuita del 10% rispetto al 1959. Questo fatto, naturalmente, si ripercuote su tutti gli altri settori produttivi, con realizzazioni molto inferiori al previsto. Per l’agricoltura il piano è un fallimento, come si vede dalla seguente tabella (presa da Lê Châu, op. cit).

Previsioni e realizzazioni del Piano Triennale nell’agricoltura
Produzione annua per abitante 1957 Previsioni per il 1960 Realizzazioni nel 1960 % in rapporto alle previsioni
Kg di paddy (risone) 271 500 227 -55,6%
Kg di alimenti basi 285,7 600 315 -47,5%
Superficie irrigate
(milioni di ha)
dalle reti collettive
1,52 2,100 1,990 -5,0%
Allevamento:
Bovini (milioni di capi) 2,14 2,730 2,295 -19,0%
Maiali (milioni di capi) 2,95 5,530 3,750 -32,5%

 

Il cosiddetto “aiuto dei paesi fratelli socialisti” (URSS & C.) non è certo migliore dell’”aiuto” che forniscono gli USA ai paesi da essi controllati. Il Nord Vietnam è costretto ad importare sempre più macchine e prodotti dell’industria pesante e ad esportare prodotti delle industrie minerarie, dell’agricoltura, dell’artigianato, dell’industria leggera (tessili, scarpe, ecc).

La roduzione di acciaio, che nel 1939 era di 130.000 tonnellate, nel 1964 arriva appena a 50.000. L’estrazione di carbone passa invece da 2.615.000 tonnellate nel 1939 a 641.000 nel ’55 e a 3.200.000 nel 1964. La percentuale di mezzi di produzione sul totale delle importazioni è del 20% nel 1939, del 44,7% nel 1955, dell’85,3% nel 1959, del 91,1% nel 1960. Nel 1959 rispetto al 1957 l’esportazione dei prodotti di estrazione mineraria è aumentata del 25%, quella dei prodotti forestali del 731%, quella dei prodotti agricoli del 99%.

IIn queste condizioni, è ridicolo parlare di indipendenza nazionale della RDV, e tanto meno di socialismo!

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