DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

DIFESA DI PARIGI E GUERRA IN PROVINCIA

II 18 settembre 1870 le armate tedesche provenienti da Sedan, senza incontrare resistenza, erano arrivate davanti a Parigi e la minacciavano d'assedio. II giorno dopo disperdevano le truppe francesi sull’altipiano di Chatillon, accerchiando così la città anche da sud , dove era meno difesa dei 16 forti distribuiti su un perimetro di 53 km. “Parigi mistificata dalla stampa vanagloriosa, ignora la grandezza del pericolo; Parigi fa abuso di fiducia”, avverte Blanqui dal suo giornale (citazione dalla Storia della Comune di P.O. Lissagaray che in seguito indicheremo con un asterisco (*) ).

Ma già dal 5 settembre alcuni uomini di avanguardia “ai fini della difesa e del mantenimento della repubblica, avevano invitate le assemblee pubbliche a nominare in ciascun circondario un comitato di vigilanza incaricato di controllare i sindaci e di accogliere i reclami. Ogni comitato doveva nominare quattro delegati; l’insieme dei delegati avrebbe costituito un Comitato Centrale dei 20 Circondari” (*). Questo C.C. dei 20 Circondari non ha nulla a che vedere col Comitato Centrale delle guardie nazionali (C.C. Delle G.N.) che nascerà assai più tardi e che svolgerà un ruolo di primo piano nella Comune.

Il 30 settembre, alla notizia della capitolazione di Strasburgo, i repubblicani rivoluzionari (per i quali la Repubblica doveva avere un contenuto sociale e non essere solo una forma politica del vecchio Stato, come pensavano e volevano i repubblicani parlamentari), con alla testa blanquisti ed internazionalisti, comincino le loro agitazioni specie fra le guardie nazionali considerate già come la loro forza armata proletaria. Il 5  e l’8 ottobre si danno le prime manifestazioni armate: Flourens, comandante di un settore della difesa, scende a Parigi da Belleville con dieci battaglioni di g.n. Per chiedere la leva in massa e le elezioni immediate della Comune. Già altre volte si era fatta quest’ultima richiesta. Anzi, il “governo della Difesa Nazionale” l’aveva accettata quando gli operai gli avevano consegnato il potere il 4 settembre. Ma, come tante altre promesse (soppressione della polizia di Stato, leva in massa, amnistia politica, ecc.), anche questa dell’elezione era stata messa nel dimenticatoio; il G.D.N. Si comportava come il governo imperiale abbattuto; la repubblica doveva essere solo la continuazione dell’Impero. Né tale governo, che porterà alla capitolazione di Parigi, né quello “regolare” (in quanto emanazione di una “legale” Assemblea Nazionale eletta per volere di Thiers-Bismarck per sanzionare la futura “pace”) eleggeranno mai la Comune veramente rivoluzionaria chiesta dagli operai. Essa nascerà solo il 26 febbraio 1871, dopo che il potere sarà stato strappato alla borghesia.

A ostacolare poi la creazione di Comuni in provincia ci pensò la delegazione del governo di Parigi, che ebbe la sua sede prima a Tours, poi a Bordeaux. Ovviamente, le ragioni per le quali si osteggiarono le elezioni “pacifiche” della Comune erano del tutto opposte a quelle che le facevano rivendicare agli operai.

Trochu e Gambetta (che reciterà la parte di primo attore nel governo di Tours) non vedevano di buon occhio  questo concorrente del loro governo, il cui “piano di difesa” sarebbe andato in fumo. “Che la Comune, come nel 1792, salvi ancora la città e la Francia!”(*): in questa forte invocazione, le masse proletarie lasciavano capire che la ragione militare della loro richiesta era la fondamentale e la più urgente. Quel “come nel ‘92” non deve trarre in inganno. Forse i Gambetta potevano pensare ad un ripetersi della tradizione di ottannt’anni addietro, quando la borghesia era rivoluzionaria ed ancora capace di eroismo. Ma da allora il proletariato aveva sempre avanzato rivendicazioni proprie e quando, come nel ‘48, deteneva di fatto il potere nelle mani, l’aveva ceduto solo dopo una lotta frontale con la borghesia. Gli operai ora possedevano il loro partito - l’Internazionale - ed esso aveva detto loro “che non si dovevano lasciar sviare dalle memorie nazionali del 1792”. La guerra che il proletariato voleva non era, come spesso si scrive, motivata da orgoglio e sentimento patriottico tradizionale: non aspirava stalinianamente a raccogliere il tricolore lasciato cadere dalla borghesia, non gridava allo scandalo per la sua mancanza di patriottismo. Il proletariato voleva spingere la borghesia ad agire conformemente agli interessi della rivoluzione già in atto dal 4 settembre, per puntare verso le conquiste sociali poste all’ordine del giorno dallo storia ed indicate come meta finale dall’Internazionale: l’emancipazione del proletariato per mezzo di un governo della classe operaia.

I patrioti alla vecchia maniera, come ostentava di essere il Gambetta, erano ormai fuori tempo per le contraddizioni in cui si muovevano e che li costringevano a subire la volontà capitolarda del governo Trochu. Gambetta aveva infatti lasciato Parigi il 18 settembre per eseguire l’ordine del governo di bloccare le elezioni comunali in provincia e far rimanere al suo posto tutto quel personale bonapartista che avrebbe sabotato in mille modi la guerra affrontata suo malgrado, riunendo tutti coloro che affluivano per offrire il loro braccio ed il loro entusiasmo. Il tradimento si metteva in opera, da una parte, dichiarando di voler resistere ai prussiani “fino all’ultimo uomo” e facendo anzi sperare addirittura in una Jemappes, dall’altra operando in un senso del tutto opposto.

Ad un mese da Strasburgo, la capitolazione a Metz dell’armata del Reno comandata dal generale bonapartista Bazaine, è la prova lampante del tradimento del governo della controrivoluzione borghese. Gli approcci fatti poi sia dal Bazaine che dal Thiers presso Bismarck per “trattare” un armistizio, e che Bismarck respinse perché voleva restare arbitro assoluto in Francia, sono una prova della cospirazione antiproletaria del governo francese con quello prussiano. Ecco come quel traditore spudorato di Bazaine si prostituì al nemico per ottenere l'armistizio:

“ La società è minacciata da un partito violento... La mia armata è destinata ad essere il palladio della società; e la sola forza che possa domare l'anarchia ... Essa offrirebbe alla Prussia, per effetto di questa azione, una garanzia di pegni che la Prussia potrebbe reclamare, contribuirebbe all'aumento di un potere regolare e regale” (da La Comune di Parigi di Bourgin (3) che citeremo con due asterischi **).

Se ben si riflette a queste parole, si vede che il tradimento della borghesia, dei suoi “uomini di stato” e dei suoi generali, non è un fatto del tutto volontario, ma è il prodotto della evoluzione storica e dei conflitti di classe da essa generati: reazione e rivoluzione procedono così verso la catastrofe con alterne vicende di vittoria dell'una sull'altra. Le ripercussioni della caduta di Metz non tardano infatti a manifestarsi con la memorabile giornata del 31 ottobre. Al grido di “abbasso Trochu! La leva in massa! Viva la Comune!” (**) gli operai insorgono e fanno prigioniero quasi tutto il “governo dei Giuda” nell'Hotel de Ville. Giustamente il Lissagaray, che visse quegli avvenimenti, dice che “non esiste nella storia un più alto tradimento”.

II 31 ottobre, però, gli insorti si lasciano ancora una volta scappar dalle mani i “Giuda”, che riusciranno tra il 5 e il 7 novembre a ottenere perfino la fiducia da una maggioranza di elettori in un plebiscito-farsa di stampo imperiale con la formula: “coloro che vorranno mantenere il governo voteranno sì”. Ancora una volta, la spiegazione del magro risultato di quella grande giornata e nella mancanza di coesione fra i rappresentanti degli operai: Blanqui, L. Blanc, Flourens, Delescluze etc. e nella incapacità del C. C. dei 20 Circondari di esercitare funzioni dirigenti, oltre che nella bonarietà di coloro che, sperando ancora che la lezione riconduca i membri del governo all'osservanza dei propri doveri, risparmiano loro la vita. Con quale moneta essi ricambieranno più tardi (maggio 1871) questa bonarietà? Già fin da ora il generale Florens, come Marx lo chiama, che sarà assassinato dagli “eroi” della borghesia, è anzi arrestato, e non può, insieme a pochi altri della sinistra rivoluzionaria eletti nelle elezioni municipali fatte in regime di terrore dal 5 al 7 novembre, esercitare le funzioni di sindaco di uno dei circondari di Parigi.

Malgrado tutto, la situazione della Francia non era ancora del tutto disperata. Se si fosse riuscito a costringere il governo a fare sul serio la guerra sia a Parigi che in provincia, non solo si sarebbero potute migliorare le posizioni, ma si poteva sperare in una possibile vittoria. Risparmiamo al lettore la dimostrazione che Engels ne dà, sulla scorta di uno studio della situazione politico-militare di allora. Molti degli stessi capi della classe operaia a Parigi intuitivamente sentivano di poter ancora vincere e ciò, ripetiamo, giustifica il fatto che non vollero iniziare offensivamente la guerra civile il 31 ottobre. Vedremo che questa, quando avrà luogo in marzo '71, prenderà le mosse da una reazione difensiva.

II 13 dicembre Marx scrive a Kulgelman: “Tuttavia non è ancora detta l'ultima parola. La guerra di Francia può avere ancora delle svolte molto “scabrose”. La resistenza dell'armata della Loira era “fuori” di ogni calcolo, e l'attuale dispersione delle forze tedesche a destra e a manca e solo destinata a incutere spavento, ma di fatto non ha altro successo che quello di chiamare in vita in tutti i punti la forza difensiva e di indebolire la forza offensiva. Anche il minacciato bombardamento di Parigi è solo un trucco. Secondo tutte le regole del calcolo della probabilità, esso non può assolutamente avere alcun serio effetto sulla città di Parigi stessa. Se venissero abbattute alcune opere avanzate, se venisse fatta una breccia, che gioverebbe tutto ciò nel caso in cui il numero degli assediati è maggiore di quello degli assedianti? E se gli assediati si batterono eccezionalmente bene nelle sortite, quando gli avversari si difendevano dietro agli entrenchments, non si batteranno meglio ancora quando le parti sono invertite? L'affamamento di Parigi è l'unico mezzo reale. Se però questo termine è ritardato sufficientemente per permettere la formazione di armate e lo sviluppo della guerra popolare nelle province, anche con questo non si guadagnerebbe altro che lo spostamento del centro di gravità. Inoltre Parigi che non può essere presidiata e mantenuta tranquilla con un pugno di uomini, immobilizzerebbe, anche dopo la capitolazione, una gran parte degli invaders. In qualunque modo però finisca la guerra, essa avrà allenato il proletariato francese nell'uso delle armi, e ciò è la migliore garanzia per l'avvenire”.

Marx dunque, auspicando ancora la formazione di armate e lo sviluppo della guerra popolare, fa intendere che non è ancora giunto il momento di rovesciare il governo, ma che lo si deve obbligare a rispettare gli impegni senza farsene raggirare per mancanza di unità di intenti nella direzione delle forze rivoluzionarie. Purtroppo il “partito formale” non si era ancora organizzato e il governo Trochu proseguì la lotta solo a base di scaramucce e di finte sortite, che dovevano avere più che altro lo Scopo di umiliare lo spirito guerriero dei proletari, dei “sovversivi”

II 28 novembre il generale Ducret, che doveva guidare la “grande sortita” fuori Parigi e che aveva giurato di tornare indietro solo da vincitore, dopo aver esposto le guardie nazionali a inutili sanguinosi sacrifici ordina la ritirata ed entra per primo a Parigi. Non contento di ciò, il governo di questi eroi ha la sfacciataggine di “epurare” le guardie nazionali dei battaglioni “indisciplinati”, e dar loro come nuovo capo il gen. Thomas, colui che aveva fatto sparare sugli operai nel giugno '48.

II 21 dicembre si ha un'altra azione “eroica” del genere di quella precedente: il “piano Trochu” si dimostra sempre più un piano per la difesa di classe. Di qui altre manifestazioni operate e il “manifesto rosso” fatto affiggere il 6 gennaio dal C.C. dei  20 circondari.

II 20 gennaio, Trochu dà l'ultimo spettacolo: nuova “sortita torrenziale”, nuova ritirata che si trasforma in rotta; per reazione nuova giornata del 22 gennaio contro il governo, e quindi altro sangue versato dagli operai che non vogliono assolutamente la capitolazione (che però, sei giorni dopo, è già un fatto compiuto). “Trochu riteneva assai più importante tenere a bada i rossi a Parigi con la sua guardia del corpo bretone, che gli rendeva gli stessi servigi resi a L. Bonaparte dai corsi, anziché battere i prussiani. Questo è il vero segreto delle sconfitte non solo a Parigi, ma ovunque in Francia, dove la borghesia ha agito secondo lo stesso principio, d'accordo con la maggioranza delle autorità locali”.

In provincia, dove finora non vi era stata nessuna Vandea, lo spirito conciliatore di Gambetta ottiene anche di più! Non solo fiacca la volontà di lotta popolare, ma crea le condizioni per far rialzare la testa a tutti i reazionari, e a Thiers, loro capo politico. Di fronte alla timidezza iniziale dei prefetti, Gambetta assume le arie di dittatore, ma in realtà manca di qualunque audacia giacobina. “Dietro il tribuno si nascondeva l'irresoluto” (*): alza ogni tanto la voce contro Trochu, ma finisce sempre per subire la volontà capitolarda.

 

III - LA GUERRA CIVILE - CONTRORIVOLUZIONE E RIVOLUZIONE

“La capitolazione di Parigi, consegnando alla Prussia non solo tutta Parigi, ma tutta la Francia, concluse la lunga serie degli intrighi col nemico e dei tradimenti che gli usurpatori del 4 settembre avevano incominciato, a detta dello stesso Trochu, in quello stesso giorno. D'altra parte, essa dette inizio alla guerra civile che costoro stavano per impegnare, con l'aiuto della Prussia, contro la repubblica e contro Parigi. La trappola era stata preparata nei termini stessi della capitolazione” (Marx).

Infatti era stato stipulato che “un'Assemblea Nazionale doveva essere eletta entro 8 giorni” e “al solo scopo di decidere della pace e della guerra”.

La fretta imposta alle elezioni dell'8 febbraio doveva servire al trionfo di quello “strumento della controrivoluzione” che era il partito di Thiers, nel cui seno si rifugiarono i “rurali” della provincia, ossia orleanisti e legittimisti.

“Appena si riunì a Bordeaux questa assemblea di “rurali” Thiers le fece intendere chiaramente che i preliminari di pace dovevano essere ratificati subito, senza nemmeno gli onori di un dibattito parlamentare, perché questa era la sola condizione alla quale la Prussia avrebbe permesso loro di aprire le ostilità contro la repubblica e contro la sua cittadella, Parigi. E in realtà la controrivoluzione non aveva tempo da perdere ... La guerra aveva gonfiato le passività in modo spaventevole e devastate senza pietà le risorse della nazione”. Come si vede, alla causa politica si aggiungeva quella economica a spingere la borghesia ad affrettarsi nel passare all'attacco. Ma la “trappola” aprì gli occhi ai proletari come non mai. Essi non avevano più davanti e contro il solo nemico esterno; a questo, nella “pace”, si era alleato quello interno. Ormai nessuno ne dubitava più e perciò occorreva stare all’erta e serrare le file. Sotto la pressione di queste gravi ed urgenti necessità, i battaglioni delle guardie nazionali si federarono. Gli errori del passato, causati dalle divisioni interne, insegnarono che bisognava organizzarsi per avere una volontà unica e decisa. “La guardia nazionale si era riorganizzata ed aveva affidato il proprio controllo supremo ad un Comitato Centrale eletto da tutto il corpo, eccetto alcuni residui delle vecchie formazioni bonapartiste” (Marx).

 

UN FATTO SENZA PRECEDENTI

E’ vero che, nei termini della capitolazione, c’era la “trappola”, ma è anche vero che in essi era contenuto il riconoscimento  della forza del proletariato, della sua realtà di classe rivoluzionaria. Così Engels scriveva vent’anni dopo la Comune:

“Il 28 gennaio 1871, Parigi, sfinita dalla fame, capitolò: ma con onore senza precedenti nella storia delle guerre. I forti furono consegnati, le trincee di circonvallazione disarmate, le armi dei reggimenti di linea e della guardia mobile consegnate, ed i soldati ed i militi furono considerati prigionieri di guerra. Ma la Guardia Nazionale mantenne le sue armi ed i suoi cannoni, e di fronte ai vincitori si considerò solo in stato di armistizio, mentre questi non osarono neanche penetrare trionfalmente in Parigi. Essi osarono occupare solo un piccolo angolo di Parigi, che per giunta consisteva in parte di parchi pubblici; ed anche questo solo per alcuni giorni! E durante questo tempo essi, che avevano stretto d’assedio Parigi per 131 giorni, erano a loro volta assediati dagli operai parigini armati, i quali vigilavano accuratamente perché nessun “prussiano” varcasse i ristretti confini di quell’esigua area ceduta al conquistatore straniero. Tale era il rispetto che gli operai parigini ispiravano all’esercito davanti al quale tutte le truppe dell’Impero avevano deposto le armi; e gli Junker prussiani, che erano venuti per soddisfare la loro vendetta al focolare stesso della rivoluzione, dovettero fermarsi con deferenza a fare il saluto proprio alla rivoluzione armata!”.

Il comportamento che le guardie nazionali dovevano tenere all’entrata dei prussiani a Parigi fu deciso e voluto, contro la loro prima e non saggia decisione di opporsi con le armi a tale ingresso, da tutta la “Corderie”, ossia dall’Internazionale, dai Sindacati e dal Comitato centrale dei venti Circondari. E’ questo uno dei pochi esempi di come una volontà politica unica, sia pure risultante da tre forze proletarie diverse, abbia agito sugli eletti delle guardie nazionali.

 

IL PIANO THIERS OVVERO “LA RIVOLTA DEI NEGRIERI”

Il “piano Thiers” che non era altro che la diretta continuazione del “piano Trochu”, mirava dunque “a farla finita” con gli operai di Parigi, cioè a disarmarli.

Seguendo la tattica già sperimentata  nel 1848, la borghesia reazionaria incominciò a mettere in esecuzione il suo piano con una serie di provocazioni: decapitalizzando Pargigi, rendendo esigibili subito certi effetti commerciali scaduti, sopprimendo il soldo alle guardie nazionali e i giornali repubblicani, condannando a morte in contumacia Blanqui e Flourens per aver preso parte alla giornata del 31 ottobre.

Gli uomini della Borsa, che volevano la ripresa degli affari solo dopo aver spazzato via gli “scellerati” e i “rurali” che volevano riunire la loro Assemblea a Versailles per il giorno 20 marzo “senza temere la rivolta delle piazze”, imposero a Thiers una scadenza. Non la classe ed il partito rivoluzionario fissava dunque la data dell’insurrezione, ma erano la classe ed il partito controrivoluzionario a stabilire il momento dell’attacco.

Se si guarda alla legalità del regime esistente come ad un fatto che riposa su una reale forze politica e militare, si deve affermare, con Marx,  che i “ribelli” erano Thiers e C. “Il sequestro dell’artiglieria avrebbe dovuto servire evidentemente solo come preludio al disarmo generale di Parigi, e quindi alla rivoluzione del 4 settembre. Ma questa rivoluzione era diventata il regime legale della Francia. La repubblica, opera sua,  era stata riconosciuta dal vincitore ai termini della capitolazione; dopo la capitolazione fu riconosciuta da tutte le potenze straniere e nel suo nome fu convocata l’Assemblea Nazionale. La rivoluzione degli operai di Parigi del 4 settembre era il solo titolo legale dell’Assemblea Nazionale di Bordeaux e del suo Esecutivo ... L’Assemblea Nazionale, con i suoi poteri notarili per fissare e condizioni della pace con la Prussia, non era che un episodio di quella rivoluzione, la cui vera incarnazione era pur sempre Parigi in armi, che l’aveva iniziata, aveva subito per essa un assedio di 5 mesi con gli orrori della fame, ed aveva fatto della sua resistenza, prolungata a dispetto del piano di Trochu, la base di una ostinata guerra di difesa nelle province”.

Questa esaltazione della forza rivoluzionaria da parte di Marx come di Engels non è inutile retorica: è su di essa, solo su di essa, che riposa la rivoluzione del proletariato. Per i nostri Maestri, la questione militare è, di questa, la conditio sine qua non.

 

LA GRANDE ALTERNATIVA

Continuiamo la citazione di Marx (queste e le seguenti sono tratte dall’Indirizzo sulla Guerra Civile): “E ora Parigi doveva o deporre le armi di fronte alla tracotante ordinanza dei negrieri ribelli di Bordeaux, e riconoscere che la sua rivoluzione del 4 settembre non significava altro che il semplice passaggio del potere da L. Bonaparte ai suoi concorrenti realisti, oppure affrontare il sacrificio come campione della Francia, di quella Francia che era impossibile salvare dalla catastrofe e rigenerare senza il rovesciamento rivoluzionario delle condizioni politiche e sociali che avevano generato il Secondo Impero, e che sotto la sua vigilante protezione erano maturate fino all'imputridimento completo. Parigi, stremata da una carestia di 5 mesi, non esitò un istante. Decise eroicamente di affrontare tutti i rischi che comportava una resistenza contro i cospiratori francesi, nonostante che i cannoni prussiani la minacciavano dai suoi stessi forti”.

 

IL 18 MARZO 1871

Politicamente il governo Thiers e l’Assemblea dei rurali avevano fatto tutto quello che era necessario per provocare non solo il proletariato ma anche la piccola borghesia. Basta ricordare che dalla stessa Assemblea si dimisero i pochi rivoluzionari che Parigi era riuscita a inviarvi, e si dimisero i radicali gambettiani che erano ancora per la repubblica e contro la pace con Bismarck. Militarmente Thiers era ancora meno forte. Con la sola divisione permessa dai prussiani, 3000 poliziotti e 15000 soldati, come poteva pensare a far fronte a 300.000 guardie nazionali raccolte intorno al loro C.C.? Forse egli si illudeva di avere già dalla sua parte la maggioranza delle g.n. o di riuscire a guadagnarle parlando ancora di patria e di repubblica.

Nell'ultimo proclama ad esse indirizzato, il governo smentisce le voci del colpo di stato militare che si prepara a fare e sostiene che, con le misure già prese, è deciso a mantenere “l'ordine”. “Esso ha voluto e vuole finirla con un comitato insurrezionale, i cui membri, quasi tutti sconosciuti alla popolazione, non rappresentano che le dottrine comuniste e metterebbero Parigi e la Francia al saccheggio se la C.N. e l'esercito non si levassero per difendere di comune accordo la Patria e la Repubblica”.

In quanto alla Parigi operaia e rivoluzionaria inquadrata nelle g. n., c'è da dire che il suo C.C. non è la direzione di un partito veramente all'altezza della situazione: “Quello che noi siamo, l'hanno fatto gli eventi ... noi siamo la barriera inesorabile eretta contro ogni tentativo di rovesciare la repubblica”(*). Così esso si esprime in una sua relazione all'Assemblea generale dei delegati delle g.n. del 10 marzo.

II C.C. si riconosce dunque un prodotto degli ultimi avvenimenti e, necessariamente, il suo programma deve essere di una estrema semplicità: fungere da sentinella a guardia della repubblica - un compito militare puramente difensivo. L'ultima citazione di Marx sull'”alternativa” così continua: “Pure, ripugnando alla guerra civile a cui Parigi doveva essere istigata, il C.C. continue a mantenersi in una posizione puramente difensiva, malgrado le provocazioni dell'Assemblea, le usurpazioni del potere esecutivo e la minacciosa concentrazione di truppe in Parigi e dintorni”. (II corsivo e nostro).

Naturalmente sarebbe puerile negare alle g.n. e ancor più al suo C.C. la coscienza dell'importanza della loro azione in difesa dell'ordine repubblicano. Quando c'è una volontà tanto ferma e risoluta, non può non esserci la coscienza di ciò che si vuole ottenere o si vuole evitare. E questa coscienza, lo si voglia o no, e insieme il prodotto degli avvenimenti, e del lavoro che da 7 anni aveva svolto il partito rivoluzionario della classe operaia. Per le g. n. e per il loro C.C. la repubblica doveva possedere un contenuto sociale: doveva essere una Repubblica del Lavoro e non una Repubblica del Capitale. Quel che manca al C.C. delle g.n. è la chiara visione strategica di una giusta politica rivoluzionaria, per cui ciò che di positivo esso farà sul piano militare sarà in parte merito degli eventi e degli errori del nemico di classe. I membri del C.C. sapevano di riscuotere la fiducia popolare, ma non si rendevano abbastanza conto che, nella “crisi di potere esistente, essi erano già depositari di un forte potere. Si trattava anzi di afferrarlo tutto nelle mani spazzando via gli “usurpatori”. Invece, quando fra poco ciò avverrà, essi avranno una fretta incredibile di disfarsene, come se sentissero di essere schiacciati. sotto il suo peso. “ Thiers aprì la guerra civile, mandando Vinoy, a capo di una moltitudine di guardie di città e di alcuni reggimenti di fanteria, in spedizione notturna contro Montmartre, per impadronirsi di sorpresa della artiglieria della g.n. E’ noto come questo tentativo sia andato a monte per la resistenza della g. n. e la fraternizzazione della fanteria col popolo”.

Omettiamo anche noi la descrizione particolareggiata della fallita operazione Thiers-Vinoy. Conviene invece rilevare che, dopo questa sconfitta militare, il “piccolo uomo” riportò una sconfitta politica non meno cocente. Non avendo potuto con le sue forze armate strappare i cannoni, Thiers tentò la carta della adulazione: “... Rese nota la sua magnanima decisione di lasciare la g.n. in possesso delle sue armi, con le quali, diceva, essa si sarebbe sicuramente raccolta attorno al governo contro i ribelli. Su 300 mila g.n. solo 300 risposero a quest'appello di raccogliersi, contro se stesse, attorno al piccolo Thiers”. Fu a questo punto che costui decise di far fagotto e scappare a Versailles senza ascoltare quegli altri membri del governo che ancora si illudevano che la partita non fosse persa. Invece l'insurrezione si era propagata in ogni parte della città dando luogo a varie battaglie locali.

Uno di questi episodi e l'uccisione dei generali Lecomte e Thomas in via del Rosters. Barricate erano sorte in più parti e, verso sera, resesi conto che Thiers e parte delle sue truppe avevano lasciato Parigi, le g.n. passarono alla “offensiva” ovunque” occupando uno dopo l'altro gli edifici importanti e i posti chiave per far fronte a eventuali ritorni controffensivi. La sera il C.C. si riunisce a Palazzo di Città e prende in mano le redini del potere. “La gloriosa rivoluzione operaia del 18 marzo stabilì su Parigi il suo dominio incontestato. II C.C. fu il suo governo provvisorio ”. E Marx continua: “ L'Europa parve per un istante dubitare se quei sensazionali spettacoli politici e militari avessero una qualche realtà o non fossero il sogno di un passato da lungo tempo scomparso”.

Se si guarda più da vicino all'azione di resistenza proletaria di quella grande giornata, non si può negarle una certa spontaneità: lo stesso C.C. ha funzionato più come organo ricettivo che direttivo. E’ vero che esso ormai era all'erta e vigilava sulle imminenti mosse di Thiers, ma è anche vero che non apprestò un piano di attacco preventivo e nemmeno un piano di difesa con istruzioni particolari ai vari battaglioni. Si era solo pronunciato genericamente nel senso che “il primo colpo non sarebbe partito mai dal popolo”

 

TATTICA OFFENSIVA PER UNA STRATEGIA DIFENSIVA

La “offensiva” di cui abbiamo parlato l'abbiamo messa tra virgolette per sottolineare il fatto che non si inquadrava in una mutata strategia. L'offensiva era solo un fatto di natura tattica, e ciò non contraddice alla “posizione puramente difensiva” che abbiamo messo in corsivo nella citazione di Marx. E che una tattica offensiva non sia inconciliabile con una strategia difensiva è lo stesso Marx che ce lo insegna. Parlando infatti del carattere della guerra che i prussiani conducevano all'inizio, egli, nel secondo Indirizzo su tale guerra, giustificava così che la Prussia oltrepassasse i confini della Francia: “una guerra di difesa non esclude, naturalmente, le operazioni offensive imposte da circostanze militari”. Dialetticamente sono da ritenere conciliabili operazioni tattiche difensive nel quadro di una strategia offensiva.

Che l'”offensiva” non avesse nulla di strategico, lo prova il fatto che non si pensò di prendere un provvedimento piuttosto ovvio: quello di chiudere le porte della città per non permettere a ministri e generali di evacuare, e farli anzi prigionieri.

L'adozione di una strategia difensiva al posto di una strategia offensiva da parte del C.C. della G.N. sarà purtroppo continuata dal governo della Comune e porterà alla sua sconfitta militare.

 

LA “BONARIETA'”

Malgrado tutto, abbiamo visto che la rivoluzione riuscì ugualmente vittoriosa. Ma è amaro constatare che, mentre gli errori e la sconfitta del nemico stimolano la controrivoluzione a preparare la sua rivincita, la vittoria relativamente facile e quasi senza spargimento di sangue da parte proletaria non solo non incita il C.C. ad un rapido esame critico delle azioni svolte, ma, cosa ancor più grave, favorisce errori che si riveleranno presto “fatali”.

Prima di parlare di questi, conviene accennare al fatto che il C.C., nella sua qualità di governo della rivoluzione, ha ripetuto gli errori del passato - errori di indulgenza ingiustificata e di “bonarietà”. Infatti esso non ha materialmente punito gli “uomini dell'ordine”: “il loro panico fu la loro sola punizione”. La sacrosanta vendetta operaia, che essi temevano per gli assassinii da loro compiuti “dal giugno 1848 al 22 gennaio 1871” in effetti mancò al punto che “gli uomini dell'ordine non solo non furono molestati, ma si permise loro di riunirsi e di occupare tranquillamente più di una posizione forte nel centro stesso di Parigi. Questa indulgenza del C.C., questa magnanimità degli operai armati, in così singolare contrasto con le abitudini del “partito dell'ordine” furono da quest'ultimo interpretate a torto come sintomi di debolezza. Di qui il loro stupido piano di tentare, sotto la maschera di una dimostrazione pacifica, quello che Vinoy non era riuscito a fare con i suoi cannoni e con le sue mitragliatrici. II 22 marzo una turba sediziosa di bellimbusti si mosse dai quartieri eleganti con tutti gli zerbinotti nelle sue file ... Col pretesto codardo di una manifestazione pacifica, nascondendo però le armi, quelle tipiche usate dai farabutti, questa marmaglia avanzò in ordine di marcia ... tentò ... di espugnare così di sorpresa il quartier generale della g.n. in piazza Vendome”. E’ vero poi che “una sola salva mise in fuga disordinata gli stupidi zerbinotti i quali speravano che la sola esibizione delle loro “rispettabili persone” avrebbe avuto sulla rivoluzione di Parigi lo stesso effetto che le trombe di Giosuè sulle mura di Gerico”, ma non si può disconoscere che certi idealismi di tipo liberale e di ordine sentimentale non hanno ragione di essere in un partito e in un organo di direzione rivoluzionaria, specie quando è in gioco tutto un avvenire storico.

Non che si voglia qui teorizzare come giusto lo spirito di vendetta “in sé”, ma, se la vendetta può essere - com'è in realtà - uno strumento di lotta proletaria, si ha il dovere di farne uso. Se è vero che i borghesi ne abuseranno dopo il trionfo della loro controrivoluzione, se è vero che la loro vendetta oltrepasserà ogni limite giustificabile dal cosiddetto “stato di necessità”, se è vero tutto ciò, non è giustificabile che il proletariato disdegni questo mezzo di agitazione e di azione rivoluzionaria. In guerra, anche per il proletariato deve vigere la morale di guerra e non è ammissibile bonarietà di sorta.

 

GLI ERRORI FATALI DEL C.C. DELLA GUARDIA NAZIONALE

Ma i gravi errori rilevati da Marx e ripresi e sviluppati da Trotsky si riducono essenzialmente a due: uno militare, l'altro politico.

“Riluttante a continuare la guerra civile della brigantesca spedizione di Thiers contro Montmarte, il Comitato Centrale si rese allora colpevole di un errore fatale non marciando subito contro Versailles, allora completamente indifesa e non ponendo così fine ai complotti di Thiers e dei suoi rurali”. Di tale errore militare Marx aveva già parlato scrivendo a Kugelmann il 12 aprile 1871, dove continuava così: “Secondo errore: il C.C. ha deposto il suo potere troppo presto, per cedere il posto alla Comune. Ancora una volta per scrupolo di “onore” esagerato!”.

Come si vede, Marx, come già nel '48, sostiene energicamente la strategia offensiva. Per questa strategia si orienterà Lenin dal febbraio all'ottobre 1917.

 

LA COMUNE E LE SUE ULTIME GRANDIOSE LOTTE

Negli otto giorni che seguirono il 18 marzo non si pensò che a fare le elezioni per la Comune, la quale, usando le parole di Vermorel, doveva essere “un governo legale riconosciuto e rispettato da tutta la popolazione di Parigi”.

Se si tiene presente il concetto marxista di legalità, al quale abbiamo già accennato, non si può non notare la contraddizione in cui cadevano i dirigenti del C.C. con la loro eccessiva ed errata preoccupazione della legalità. Essi davano importanza alla forma e dimenticavano la sostanza in base alla quale essi avevano già agito: ciò era certo una eredità funesta delle concezioni borghesi e delle loro finzioni in materia: si era dimenticato che “la rivoluzione (del 4 settembre) era diventato il regime legale della Francia”. E se pure quella non ci fosse stata, la sola rivoluzione del 18 marzo — aggiungiamo noi — sarebbe stata più che sufficiente a dare titolo legale a quel governo che era il C.C., e perciò esso non doveva avere alcuna fretta a sbarazzarsi del potere.

II problema militare si poneva allora assai al di sopra di quello politico ed amministrativo, e pensare a fare le elezioni, come sempre del resto, da allora, significava solo perdere tempo prezioso nell'assolvere quel compito primario. Ma la debolezza del C.C. risiedeva in realtà nel fatto che esso non era la testa di un partito omogeneo. Sulla volontà di pochi dei suoi membri di marciare su Versailles, si affermò e prevalse la volontà politica di compromesso e di riconciliazione degli elementi piccolo-borghesi.

Purtroppo, nemmeno i membri della Comune capirono che essa, cioè la Comune, “era una barricata e non un'amministrazione”. Ad essi, come già ai membri del C.C. delle g. n., fece difetto la scienza militare e rivoluzionaria, e la sua strategia offensiva. Non si dedicarono grandi cure alla organizzazione dell'armata comunale in ciò che era amministrazione, disciplina, formazione di quadri ecc., né si prepararono piani accurati per combattere in modo efficace l'esercito della controrivoluzione.

Ad aggravare questo stato di cose vi fu una ingiustificata duplicità di poteri in materia militare. Ancora il 3 maggio infatti il C.C. osava chiedere che il ministro della guerra della Comune si mettesse sotto il suo controllo. Dunque, mentre in un primo tempo il C.C. si era voluto disfare del potere che la rivoluzione gli aveva consegnato, in un secondo tempo non volle più rinunciavi completamente. Questa contraddizione non poteva non avere i suoi effetti nocivi sulla condotta della guerra contro Thiers, la cui forza militare, del tutto nulla per i primi 15 giorni seguenti alla sua fuga, era ancora trascurabile un mese più in là. La sua tattica “oltranzista”, secondo la quale erano da considerare delitti “gli appelli alla riconciliazione”, non gli aveva fruttato approvazione da alcuno, e nessuno degli sperati aiuti militari gli era pervenuto dalla provincia. Perciò, dal 30 aprile egli iniziò la “commedia di conciliazione” (come fanno oggi gli americani col Vietnam e Israele), mentre si preparava alla guerra di brigantaggio contro Parigi. Ma nemmeno questa tattica nuova frutto aiuto materiale e morale all'Assemblea dei rurali, il cui esercito controrivoluzionario era ancora “una accozzaglia variopinta di marinai, zuavi pontifici, gendarmi di Valentin, sergents de ville e mouchards di Pietri. Questo esercito sarebbe stato impotente fino al ridicolo senza l'aggiunta dei prigionieri di guerra dell'esercito imperialista, che Bismarck fornì esattamente in numero sufficiente ad alimentare la guerra civile e a tenere il governo di Versailles servilmente prostituitosi ai Prussiani”. Verso i primi di maggio Thiers era completamente nelle mani di Bismarck che, in cambio, “offriva di lasciar libero, per lo sterminio di Parigi, l'esercito bonapartista prigioniero e di dargli l'aiuto diretto delle truppe dell'imperatore Guglielmo”. E quando poi “Mac Mahon fu in grado di assicurargli che in breve tempo sarebbe potuto entrare in Parigi”, a quel pigmeo di Thiers fu dato di “recitare la parte di un Tamerlano”.

II 21 maggio il tradimento aprì le porte di Parigi all'esercito della controrivoluzione borghese franco-tedesca che doveva macchiarsi di crimini innominabili. “Persino le atrocità dei borghesi nel giugno 1848 scompaiono davanti all'infamia indicibile del 1871. L'eroico spirito di sacrificio col quale la popolazione di Parigi - uomini, donne e bambini - combatté per otto giorni dopo l'entrata dei versagliesi, rispecchia la grandezza della loro causa, quanto le imprese efferate della soldatesca rispecchiano lo spirito innato di questa civiltà di cui essi sono i mercenari e i difensori”. E con questa “settimana di sangue” (21-28 maggio) ebbe termine il “tremendo avvenimento storico” della Comune.

Non è questa la sede per dilungarci sul grandiose significato storico di questa prima dittatura proletaria. Con la Comune “un nuovo punto di partenza di importanza storica universale e conquistato”. Di tutta la grandiosa opera positiva del governo della Comune vogliamo ricordare quì il suo primo decreto: “la soppressione dell'esercito permanente e la sostituzione ad esso del popolo armato”. Abbiamo segnalato solo e volutamente gli errori vitali commessi dalla direzione della armata comunale, per mettere in rilievo il ruolo insostituibile di un partito di classe la cui organizzazione si elevi al livello del partito storico e ne applichi gli insegnamenti su tutti i settori dell'attività a cominciare da quello militare. Ma non possiamo terminare questo lavoro di partito senza additare ai proletari di oggi e di domani l'esempio dei loro valorosi precursori parigini.

Questa consegna vale per gli operai di tutto il mondo, perché la Comune fu un governo anche internazionale che “annette alla Francia gli operai di tutto il mondo” e “ammise tutti gli stranieri all'onore di morire per la sua causa immortale”. Nell'augurio che la nostra dura opera teorica e pratica possa vedere presto

Il proletariato organizzato su scala mondiale e con forza tale da far tremare le vene e i polsi alla borghesia più che mai sfruttatrice, oppressiva e sanguinaria, noi ripetiamo con Marx:

“ Parigi operaia, con la sua Comune, sarà celebrata in eterno, come splendida manifestazione di una società nuova. I suoi martiri hanno per urna il grande cuore della classe operaia. I suoi sterminatori la storia li ha già inchiodati a quella gogna eterna, dalla quale non riusciranno a riscattarsi tutte le preghiere dei loro preti ”.

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista, n. 4, 1966)

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