DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Marx ed Engels verso l'azione pratica.

 

Fatti i conti con la loro precedente coscienza teorica, a Marx e ad Engels non resta che passare all'azione pratica organizzando le forze politiche sulla base della nuova dottrina rivoluzionaria. Essi fondano a Bruxelles un circolo comunista a cui aderiscono profughi tedeschi di cui molti resteranno sempre fedeli alla causa e spiegheranno una grande attività nella futura rivoluzione in Germania: ricordiamo solo i nomi di W.Wolf, Weydemeyer e Stephan Born. Marx ed Engels fanno di questo club un centro di corrispondenza internazionale per l'irradiazione della loro dottrina: tramite la Nothem Star, influenzeranno il movimento proletario in Inghilterra; tramite la Reforme, agiranno su quello francese e tramite la Deutsche Brusseller Zeitung su quello della Germania.

II loro fine era di creare un movimento di vasta portata al disopra delle nazionalità; e uno dei mezzi scelti per raggiungerlo fu la polemica interna allo stesso movimento proletario, socialista e comunista.

Si dovettero necessariamente colpire le figure più in vista, i profeti, gli idoli di cui pur si riconoscevano i meriti, il valore personale e tutte le qualità di genuini combattenti della causa proletaria. Si cominciò col Weitling ed il suo mistico comunismo; si passò al suo affine Kriege; indi fu la volta di G. Grun e del suo"vero socialismo"; di H. Wagner e del suo socialismo feudal-cristiano-germanico, che tendeva a spingere gli operai contro la borghesia per tenere in piedi l'ordine esistente e la monarchia. Occorse infine aggredire Proudhon, il maggior idolo dottrinario del socialismo, e lo si fece con la "Miseria della filosofia".

 

La Lega dei Comunisti ed il Manifesto

 

Dopo oltre un anno di intensa attività svolta dal circolo di Bruxelles, i frutti non si fecero attendere: segno che anche una piccola organizzazione può far molto - specie in una situazione favorevole - quando agisca con spirito di iniziativa ed intransigente coerenza di idee.

Da un po’ di tempo Marx ed Engels seguivano con attenzione la Lega dei Giusti di Londra e gli sviluppi della sua fisiologica crisi interna: "noi pubblicammo una serie di saggi, in parte stampati, in parte litografati, nei quali veniva sottoposta ad una spietata critica quella mistura di socialismo e comunismo franco-inglese e di filosofia tedesca, che costituiva la segreta dottrina della "Lega", sostituendole la visione scientifica della società borghese come unico fondamento teorico, esponendola in forma popolare, non già come elaborazione di qualche altro sistema utopistico, ma come consapevole partecipazione ad un processo storico di trasformazione che si svolge sotto i nostri occhi" (Marx).

Nel febbraio del 1847, la Lega incaricava J. Moll ad andare a Bruxelles per chiedere a Marx ed Engels di aderire alla lega stessa dopo averli informati che la maggioranza proletaria più rivoluzionaria aveva riconosciuto tutte le deficienze dell'organizzazione e che un congresso da tenere il I° giugno a Londra doveva ricostituirla su basi del tutto nuove. "La folgore del pensiero aveva penetrato l'ingenuo terreno popolare", dice Mehring. Ed Engels ricorda: "Ciò che finora avevamo criticato era adesso abbandonato come difettoso dagli stessi rappresentanti della Lega. Noi stessi eravamo invitati a contribuire alla sua riorganizzazione. Potevamo declinare l'invito? No certamente. Vi entrammo quindi entrambi"

Al congresso di giugno parteciparono Engels in rappresentanza della comunità tedesca di Parigi (ove egli si era da poco recato) e W.Wolff come delegato di Bruxelles. In esso si decise il cambiamento del nome della Lega in Lega del Comunisti ; si sostituì il vecchio motto "Tutti gli uomini sono fratelli" col grido di battaglia "Proletari di tutti i paesi, unitevi!", e si definì lo scopo dell'organizzazione "nell'abbattimento della borghesia, nel dominio del proletariato, nella liquidazione della vecchia società borghese fondata sui contrasti di classe e nella fondazione di una nuova società senza classi e senza proprietà privata". Lo scopo così formulato figurerà nel 1° articolo del programma che la Lega si dette poi al 11° congresso, ai primi di dicembre a Londra, insieme allo statuto. Presentato da Marx e da Engels, esso venne approvato all'unanimità dopo dieci giorni di animati dibattiti, e fu un grande trionfo dei fondatori del socialismo scientifico, o comunismo rivoluzionario. L'era dei profeti è finita: il proletariato ha riconosciuto ed accettato Marx ed Engels come i suoi unici ed indiscussi capi. Ad essi il proletariato della Lega dei Comunisti affida la compilazione di quel documento che, da semplice "professione di fede", si eleverà a solenne Manifesto e rappresenterà la sintesi del programma storico della classe operaia e del suo partito rivoluzionario per tutto l'arco storico destinato a chiudersi con la rivoluzione mondiale ed il trionfo definitivo del comunismo sulla terra.    

 

La teoria di Marx e la questione militare

 

Abbiamo ritenuto doveroso intrattenerci sul processo di sviluppo della teoria rivoluzionaria del proletariato ad opera di Marx ed Engels, perché per noi, per dirla con Lenin, non c'è azione rivoluzionaria senza teoria rivoluzionaria. La questione militare nella concezione marxista, considera quindi fondamentale la chiarezza della visione teorica, è fatto militare la stessa conquista della teoria comunista. II lavoro teorico dei nostri maestri non è stato lavoro accademico per la scienza e la cultura in generale: è stato opera di combattenti, e stato esso stesso una dura e tormentosa battaglia da vincere. Abbiamo visto come anche la lotta economica per il salario dei proletari inglesi fosse vista da Engels sullo stesso piano della lotta politica dei rivoluzionari francesi. Altrettanto deve dirsi della lotta sul piano teorico che Marx affronta in nome del proletariato tedesco e mondiale, e che costò a lui l'esilio, la miseria e la fame.

Lo stretto legame fra lavoro teorico e lotta armata lo si vede del resto nel fatto che esso è sforzo di profonda analisi e critica dei metodi di lotta rivoluzionaria delle varie classi e dei loro organismi combattenti: è insomma scienza e arte militare rivoluzionaria. Grazie ad essa infatti, l'azione cospiratoria e di tipo blanquista verrà definitivamente abbandonata dal proletariato; grazie ad essa tutta la rivoluzione europea e quella tedesca in particolare verrà da Marx e da Engels spinta in avanti nel biennio '48/'49. II fallimento della rivoluzione ad opera della controrivoluzione non cancellerà giammai l'opera di politica e di azione militare che il partito proletario e comunista, a mezzo di Marx, di Engels e di altri pochi pionieri, svolse durante il corso degli avvenimenti drammatici di quel biennio. II fallimento stesso della rivoluzione, sempre temuto e previsto, non è che una conferma della validità della teoria e dell’azione di questo "stato maggiore" del proletariato. La sua eredità sarà messa a profitto da Lenin durante la grande lotta ingaggiata e portata vittoriosamente a termine in Russia dal partito bolscevico.

 

II 1848 e la rivoluzione europea

 

Le cause profonde sono di origine economica: è giunta l’ora in cui lo sviluppo delle forze produttive richiede radicali trasformazioni delle strutture politiche in quasi tutti i paesi dell'Europa che va fino ai confini russi.

A precipitare la crisi rivoluzionaria intervengono sia la crisi agricola del '45 e ’46, che la crisi del commercio e dell'industria iniziata nel ' 45 e scoppiata in pieno nell’autunno del '47 in Inghilterra. II mercato mondiale già abbastanza sviluppato spiega il rapido propagarsi del malessere in ogni paese. Per la Germania abbiamo già visto quali fatti politici fossero maturati alla vigilia del '48. Per la Francia basta ricordare le reazioni popolari alla politica estera conservatrice del governo di Luigi Filippo, specie dopo la crisi dell'entente cordiale con l'Inghilterra (l840) e il riallacciamento dei rapporti con le potenze della Santa Alleanza. Dice Marx che da quella politica seguì "una serie di umiliazioni del sentimento nazionale francese" a risollevare il quale verranno appunto le notizie di insurrezione all'estero. Un esempio della politica controrivoluzionaria della borghesia francese e il suo appoggio al reazionario Sonderbund, la lega dei Cantoni cattolici svizzeri in lotta contro la lega dei Cantoni radicali e protestanti, per la conservazione della loro medioevale autonomia: condotta tanto più vergognosa in quanto la Francia intervenne accanto a quell'Austria contro cui un tempo gli svizzeri avevano combattuto le prime battaglie per l'indipendenza. La vittoria. dei liberali svizzeri (nov. ’47) e la sanguinosa rivolta del popolo di Palermo (l5/I/'48) si ripercossero a Parigi e, dice Marx, agirono "come una scossa elettrica sulla massa popolare paralizzata, risvegliandone i grandi ricordi e le passioni rivoluzionarie". In Italia pure la rivoluzione che covava sotto la cenere si era ridestata un po' dovunque, in particolare con la rivolta di Palermo per il distacco e l'indipendenza assoluta dal Regno di Napoli.

Concludendo, il torrente rivoluzionario si è ingrossato dappertutto in Europa e minaccia paurosamente gli argini della controrivoluzione. Dopo le prime lezioni si apre la prima falla in Francia, e di qui il moto dilaga in tutti i paesi. Le grandi tappe della rivoluzione saranno Parigi, Vienna, Berlino. Le stesse tappe segneranno il cammino della controrivoluzione.

Gli aspetti sociali della rivoluzione si intersecheranno a quelli nazionali, i problemi interni con quelli della politica estera. Rivoluzione e guerra sono all'ordine del giorno dovunque e si influenzano a vicenda. Non tutti i moti di indipendenza si inseriscono nel giusto corso storico: il moto secessionista di Palermo, esasperazione di una giusta lotta contro l'assolutismo, e tuttavia antistorico, come lo sono pure i moti "nazionali" del popoli slavi dell'impero austriaco, ecc..

Comprendere tutti questi complicati problemi storici e politici non era cosa facile. Ma il partito di Marx sapeva dove mettere la spada per sciogliere i nodi fondamentali; era il solo in grado di additare a classi e partiti la via giusta da seguire; soprattutto, sapeva agire secondo i fini immediati e mediati del proletariato, unica classe veramente rivoluzionaria.

 

La rivoluzione di febbraio a Parigi

 

L'insieme di tutte le crisi esistenti aveva reso "ancora più insopportabile il dominio esclusivo dell’aristocrazia finanziaria" (da Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 180 di Marx, che indicheremo sempre con un asterisco *), cioè di quella frazione della borghesia che raggruppa nel suo seno banchieri, re della borsa, proprietari fondiari.

Contro di essa cominciò subito l'opposizione della borghesia industriale con l'agitazione dei banchetti politici per una riforma elettorale che le permettesse di conquistare la maggioranza nelle camere. La proibizione di uno di questi banchetti e di una manifestazione popolare da parte del governo Guizot, provocò l'insurrezione. II 24 febbraio, Parigi era già tutta nelle mani degli insorti i quali, grazie al contegno passivo della Guardia Nazionale, riuscirono a disarmare l'esercito e a cacciarlo da Parigi.

"II governo provvisorio, sorto dalle barricate di febbraio, rispecchiava necessariamente nella sua composizione i diversi partiti che si erano divisi la vittoria. Esso non poteva essere altro che un compromesso fra le diverse classi sociali che insieme avevano abbattuto il trono di luglio, ma i cui interessi erano opposti ed ostili... Tale governo era in somma l'immagine di quella "fraternità" alla cui insegna si era fatta la rivoluzione e nella cui ebbrezza il proletariato si sdilinguiva e faceva cadere la sua bandiera rossa davanti a quella tricolore" (*).

I mesi che vanno fino a giugno chiariranno il significato di quella fratellanza, e la disfatta di giugno farà cadere ogni residua illusione su una società senza contrasti di classe.

II carattere della rivoluzione di febbraio era e doveva restare essenzialmente politico: la società prima borghese, doveva rimanere tale. Si trattava solo di dare all'intera classe borghese quel potere politico che prima era nelle mani di una sua frazione. Ma non era indifferente che cio avvenisse con o senza un cambiamento della forma dello stato. Marx dimostra che la Repubblica fu imposta dal proletariato. In suo nome, Raspail "intimò al governo provvisorio di proclamare la repubblica e se questa intimazione del popolo non fosse stata eseguita entro due ore, egli sarebbe tornato alla testa di 200.000 uomini" (*). E se questa repubblica fu "circondata da istituzioni sociali", lo si dovette anche alle minacce del proletariato: "una massa di 20.000 operai marciò sull'Hotel-de-Ville al grido di : Organizzazione del lavoro! Costituzione di uno speciale ministero del lavoro!". L'aver creduto però alla capacità miracolistica di queste istituzioni dimostrò pure la debolezza del proletariato. Anche questa illusione di poter "difendere il suo interesse accanto a quello borghese" cadrà col giugno, quando esso non combatteà accanto alla borghesia, ma contro di essa.

 

La rivoluzione di marzo a Vienna

 

Nell'ottobre '47, Metternich aveva già cominciato a perdere la calma: "La fase che oggi percorre l'Europa - scriveva egli - è la più pericolosa che il corpo sociale abbia dovuto affrontare negli ultimi sessant’anni".

II 13 marzo, il popolo di Vienna spezzò il potere del principe Metternich e lo costrinse a fuggire vergognosamente dal paese (da Rivoluzione e controrivoluzione in Germania, che indicheremo con due asterischi (**). Tutte le forze con le quali si era cercato di incatenare la rivoluzione in ascesa, erano spezzate in un solo giorno di combattimenti.

Dopo Parigi, tutti i popoli dell'impero austriaco si erano messi in movimento per chiedere costituzioni separate, autonomia o indipendenza assoluta. Altrettanto dicasi delle varie classi: i contadini distruggono il feudalesimo nelle campagne prima ancora che ciò avvenga sulla carta. Delegazioni di ogni genere avanzano richieste di uguaglianza di diritti civili e politici. Uno di tali comitati, il 13 marzo si reca a presentare le sue richieste al Landtag riunito, in testa a un tumultuoso corteo. II governo oppone resitenza armata e la dimostrazione si trasforma in insurrezione.

"Della rivoluzione di Vienna si può dire che fu fatta da una popolazione quasi unanime" (**). Ciò perché la borghesia agì con una relativa "innocenza politica", derivante soprattutto dal fatto che non aveva ancora "visto agire gli operai come classe o levarsi in difesa dei propri interessi di classe" (**) e perché vedeva che "gli operai erano d'accordo con lei su tutti i punti: costituzione, giuria, libertà di stampa, ecc.". Ma quest'idillio non potrà durare a lungo. "E' destino di tutte le rivoluzioni che questa unione di classi differenti, che in una certa misura è sempre la condizione necessaria di ogni rivoluzione, non possa essere di lunga durata. Non appena la vittoria contro il comune nemico è conseguita, i vincitori si dividono in campi diversi e rivolgono le armi gli uni contro gli altri. E’ questo rapido e appassionato sviluppo degli antagonismi di classe che fa di una rivoluzione un agente così potente di progresso sociale e politico; è questo incessante affacciarsi di nuovi partiti che si succedono l'uno all'altro al potere che, durante queste commozioni violente, fa percorrere ad una nazione in cinque anni maggior cammino di quanto essa non ne avrebbe percorso in un secolo di circostanze ordinarie" (**).

Questo processo di decantazione lo si vede esaminando la struttura del potere subito dopo l'insurrezione. Esso risulta diviso fra tre forze: monarchia, borghesia, operai, più studenti (questi stanno fra borghesia e operai). La monarchia avendo fatto le concessioni del memento, ha potuto salvare il salvabile e presto penserà a risalire i gradini discesi. La borghesia, benché abbia potuto costituire una sua forza armata, la Guardia Nazionale, è una specie di governo rivoluzionario, il Comitato di Sicurezza, può considerare la sua supremazia come un fatto più teorico che pratico che un altro potere si è formato accanto al suo: quello degli operai e degli studenti che hanno creato la Legione Accademica, una vera e propria forza armata sulla quale la rivoluzione potrà contare per il suo ulteriore sviluppo.

Un po' per la fretta di riprendere la produzione e un po' per paura, la borghesia raffredda subito i suoi entusiasmi ed anela a ristabilire la "normalità". La sua alleanza con le altre forze rivoluzionarie, dopo l'insurrezione, si spezza subito. Si deve solo alla condotta maldestra della corona, se l'alleanza si ricompone ancora qualche volta. Decisa a riprendere tutto il potere l'imperatore provoca la rivolta prima il 16/5  dopo la pubblicazione di una beffarda costituzione aristocratica, poi (26/5) imponendo lo scioglimerto della legione Accademica. "Questo colpo sarebbe forse riuscito se la sua applicazione fosse stata affidata solamente ad una parte della Guardia Nazionale; ma il governo, che non aveva fiducia nemmeno in essa, fece entrare in azione l'esercito e immediatamente la Guardia Nazionale cambiò fronte, si unì alla Legione Accademica e così mandò a monte il piano del ministero" (**).

Intanto l'imperatore e la corte avevano lasciato Vienna per riprendere a ritessere gli intrighi della camarilla controrivoluzionaria, i cui agenti principali erano fra la burocrazia civile e militare.

 

La rivoluzione a Berlino

 

Anche a Berlino si manifesta, rivendicando tutte le libertà e i diritti borghesi. Gli operai che chiedono anche garanzie sul lavoro non si lasciano addormentare dalle promesse di Federico Guglielmo IV e spingono avanti il moto, che nei giorni dal 13 al 16 produce notevole spargimento di sangue negli scontri con l'esercito. La notizia dell'insurrezione di Vienna provoca l'incendio.  La borghesia chiede al re il ritiro delle forze armate e l'organizzazione di una guardia civica armata che, nelle sue intenzioni, deve sostituire l’esercito regio nel tenere a bada gli inquieti operai.

II ritiro delle truppe diviene la parola d'ordine con la quale si ingaggia la battaglia fra corona e popolo, in cui questo, nella notte fra il 18 e il 19 marzo, dopo 13 ore di accaniti combattimenti sulle barricate, riesce ad imporre la sua volontà: i 14.000 soldati e i 26 cannoni vengono ritirati. II peso maggiore della lotta, com'era del resto avvenuto a Vienna, lo sopporta il proletariato: 183 morti. Questi martiri il proletariato rivoluzionario vuole onorare condannando il re a scoprirsi davanti ai loro cadaveri trasportati a spalle dai combattenti delle barricate sfilanti in corteo con le armi vittoriose ancora in pugno. "Si celebra così contro gli Hoenzollem un processo cui nessun Stuart e nessun Capeto è stato sottoposto dinanzi al patibolo, un processo la cui terribile violenza ci è stata per sempre conservata nei versi immortali di Freiligrath" (Mehring, Storia della socialdemocrazia tedesca). II corteo funebre non era solo la espiazione imposta ad un sovrano colpevole: esso gli imponeva di approvare la nazione armata.

E' poco tutto ciò? Doveva il proletariato rovesciare il trono anche materialmente?  "Muovere questo rimprovero è giusto o ingiusto quanto rimproverare gli assalitori della Bastiglia perché non hanno immediatamente proclamato la repubblica".

II proletariato nel sangue versato il 18 marzo aveva lavato l'onta di decenni e innalzato una barriera storica dalla quale nessun potere al mondo sarebbe tornato indietro. Esso non poteva fare di più che aprire la strada alla borghesia, cioè alla classe che in quel momento storico era chiamata a prendere il potere e a fare i conti con l'assolutismo: nelle sue mani era la decisione di coronare o tradire l'ardita impresa del 18 marzo.

Rispetto alla rivoluzione di Vienna, quella di Berlino non fu altrettanto "unanime" perché la borghesia era più matura politicamente ed aveva presentito la rivoluzione di Parigi come il preludio della battaglia fra borghesi e proletari. II raffreddamento della borghesia è quindi rapido, e presto si assiste al vergognoso spettacolo che il suo governo s’accorda con la corona per varare Costituzione e legge elettorale e per escludere gli operai dalla "guardia civica", che deve restare solo di borghesi armati.

Presto anche la rivoluzione contadina, propagatasi sotto la spinta della città a tutta la campagna, dove aveva distrutto gli ultimi residui del feudalesimo, deve rientrare. Un simile tradimento dei contadini (dicono Marx ed Engels) da parte del partito borghese tedesco che in essi doveva avere i migliori alleati "non fu mai commesso da nessun partito nella storia", e, quali che siano i castighi che ad esso riserverà il futuro, "esso li ha pienamente meritati con questo solo atto" (**).

 

La rivoluzione negli Stati minori

 

Già dal 5 marzo i liberali, prevalentemente del sud, si erano riuniti ad Heidelberg per convocare a Francoforte una Costituente nazionale, cioè un parlamento per tutta la Germania. Questo divenne una realtà solo dopo la rivoluzione di Berlino, perché la borghesia dei piccoli stati si era affidata alla borghesia della Prussia che dominava già nello Zollverein.

II ruolo storico del nuovo organismo poteva essere veramente importante, ma il cattivo uso fattone dalla borghesia dimostrò ancora una volta la sua incapacità di assolvere ai suoi compiti rivoluzionari. Esso avrebbe dovuto dichiararsi "sola espressione legale della volontà sovrana del popolo tedesco e così avrebbe dato valore legale ad ognuno dei suoi decreti" (**). Ma prima di tutto avrebbe dovuto assicurare "una forza armata organizzata, capace di spezzare ogni opposizione da parte del governi. E tutto questo era facile, molto facile a farsi in quel primo periodo della rivoluzione" (**).

Purtroppo l’Assemblea deluse tutti e finì per mettersi al servizio della controrivoluzione.

 

Le relazioni internazionali della rivoluzione tedesca

 

"... I fatti successivi non possono essere chiaramente compresi, se non si prendono in considerazione quelle che si potrebbero chiamare le relazioni internazionali della rivoluzione tedesca. E questa relazioni internazionali erano altrettanto complicate quanto i problemi interni". Questa la ragione per cui anche noi siamo costretti a fare qualche accenno descrittivo ed anche critico.

La Confederazione tedesca comprendeva fra i suoi stati minori la Boemia e la Polonia prussiana. I due ducati di Holstein e Schleswig erano rimasti politicamente legati alla corona danese, alla quale, durante la rivoluzione  (il 20/3) avevano chiesto il distacco per entrare nella Confederazione tedesca. Ma la monarchia, tenendo buona la borghesia con qualche concessione democratica, aveva respinto la rivendicazione di questi due paesi, tedeschi per nazionalità e necessari alla Germania per motivi commerciali e militari. Perfino certi "democratici" danesi appoggiavano il loro stato nel proseguire un nazionalismo panscandinavo sognante il ritorno alla grande monarchia danese comprendente anche la Norvegia e la Svezia. La guerra fra Germania e Danimarca era quindi inevitabile.

Ma la storia metteva all'ordine del giorno la formazione dello stato tedesco come stato unitario e indivisibile, ed esigeva che oltre alle regioni sopra nominate ne facessero parte integrante gli altri stati minori, la Prussia e l’Austria. Quest'ultima naturalmente avrebbe dovuto liquidare il suo impero concedendo l'indipendenza totale all’Ungheria, alle regioni italiane del lombardo-veneto, ed a certe regioni slave, come richiedeva il vero e genuino interesse rivoluzionario della borghesia tedesca contro le mire opposte della reazionaria corte di Vienna e di una minoranza di nobili. Nei riguardi poi di una Ungheria libera, la Croazia non avrebbe dovuto accampare diritti a staccarsene, così come non avrebbe dovuto farlo la Boemia nei confronti dell'Austria tedesca. La predominava l’elemento magiaro, qui quello tedesco: i "liberali" slavi di queste regioni dovevano quindi sentire il dovere rivoluzionario di restare uniti ai gruppi nazionali più forti e vitali. Quale fu invece il loro atteggiamento in seguito alla rivoluzione? Quello di volersi unire ad un gruppo nazionale - quello degli slavi (russi, polacchi, serbi e bulgari) - che era sì forte, ma storicamente molto retrogrado.

Con la loro agitazione per l'indipendenza, i popoli slavi di questi paesi "tradivano quindi la causa della rivoluzione per l'ombra di una nazionalità che, nel migliore del casi, avrebbe condiviso le sorti della nazionalità polacca sotto il dominio russo": il panslavismo che aveva la patria in queste due regioni non era che una teoria antistorica al servizio della potenza più reazionaria del tempo: la Russia zarista.

Quale doveva essere poi il dovere rivoluzionario della borghesia tedesco-austriaca di Vienna? Quello di non appagarsi delle iniziali concessioni fatte dall'imperatore e di sbarrare la strada ai suoi eserciti inviati a soffocare le rivoluzioni italiana e ungherese. Non aver fatto questo le costerà di essere ricacciata indietro dalle posizioni conquistate in marzo e di essere battuta militarmente proprio dall’esercito imperiale alleato dei panslavisti. Ma come si sarebbero potuti impedire tutti questi tradimenti? La risposta data dal partito più radicale, quello proletario e comunista di Marx, fu : con la guerra alla Russia I

Questa soluzione era reclamata anche dalla necessità di resurrezione dei polacchi che chiedevano il distacco dallo stato prussiano. E’ vero che anche essi erano stati largamente germanizzati negli ultimi settant'anni e che la frontiera tedesca si era spostata più ad est, ma: "La delimitazione delle frontiere tra le diverse nazioni entrate in rivoluzione sarebbe diventata secondaria di fronte alla questione principale di stabilire una frontiera sicura contro il nemico comune: i polacchi, ricevendo vasti territori ad oriente, sarebbero diventati più trattabili e più ragionevoli per l’occidente". In ogni caso, anche un piccolo sacrificio nazionale si sarebbe dovuto sopportare per risolvere il grosso problema dell'unità della nazione tedesca. Non avendo agito così nemmeno in questo settore, anzi avendo soffocato con le armi l'agitazione rivoluzionaria di quei polacchi per i quali fino allora "i tedeschi avevano manifestato tanto entusiasmo", significò per la borghesia tedesca scavarsi la fossa con le proprie mani.

Concludendo, la borghesia tedesco-prussiana, dove, come per lo Schleswig-Holstein, doveva dar prova di spirito nazionale e guerriero, si mostrò vile, e dove poteva e doveva transigere, come nella Polonia prussiana, fu aggressiva e nazionalista.

 

L'azione del partito proletario per spingere avanti la rivoluzione. -

La Nuova Gazzetta Renana

 

Allo scoppio della rivoluzione  a Parigi, il comitato centrale della Lega dei Comunisti aveva rimesso i poteri al comitato direttivo di Bruxelles e questo, a sua volta, a Karx. Ma egli aveva già deciso di raggiungere i profughi di Londra e di Bruxelles a Parigi, dove era stato invitato anche da Flacon. Espulso dal governo belga, riparò quindi in Francia. Qui, fra i diecimila profughi tedeschi, si andava agitando il problema di una "marcia rivoluzionaria" sulla Germania per destarvi la rivoluzione. Marx la ritenne una folle avventura e, rischiando tutta la sua popolarità e sfidando tutti i "sinistri" che lo accusavano di viltà e tradimento, non esitò a condannarla. A capeggiare quell'ubriacatura era Herwegh, che si illudeva - come altri patrioti del luglio ’30 - che il governo francese avrebbe favorito la rivoluzione in Germania. Marx invece aveva capito perfettamente che il pacifista Lamartine avrebbe aiutato i tedeschi solo per farli uscire da Parigi e dalla Francia ed allontanare un focolaio di infezione rivoluzionaria. Marx faceva ben rilevare i due grossi errori contenuti nell'idea della "marcia": uno militare, per cui prevedeva una rapida sconfitta degli improvvisati combattenti, e uno politico, perché una simbolica forza esterna non avrebbe mai potuto suscitare i necessari movimenti di masse richiesti da una rivoluzione ed avrebbe avuto anzi lo effetto opposto sugli strati della già vile borghesia. Egli non fu ascoltato ed il 1° aprile la legione di Herwegh, con musica e bandiera rosso-nero-oro in testa, partiva da Parigi. Il caso volle che nello stesso giorno anche i membri della Lega rimasti fedeli a Marx, per incarico di questi, lasciarono Parigi alla spicciolata per recarsi in Germania e formarvi il lievito del futuro movimento rivoluzionario. I fatti mostrarono lì a poco che Marx aveva previsto bene: appena varcato il Reno, la legione di Herwegh fu dispersa dalle truppe del re del Wuttenberg.

Dei suoi discepoli, invece, W.WoIff raggiunse Breslavia ancora in tempo per farsi eleggere all'Assemblea nazionale di Francoforte dove sarà il portatore delle vedute marxiste; S.Born andò a Berlino e vi fondò l'associazione la Fratellanza operaia; Willich raggiunse Magonza; Marx ed Engels invece si stabilirono a Colonia, futuro centro di grandi lotte.

Già da Parigi, la Lega dei Comunisti aveva lanciato in un appello le "rivendicazioni del partito comunista in Germania" articolate in 17 punti, che rispecchiavano gli interessi del proletariato, dei contadini e della piccola borghesia. Tra esse figuravano l'unità tedesca come repubblica unitaria e indivisibile, la nazione armata, ed il passaggio allo stato dei mezzi di trasporto e delle terre dei sovrani per praticarvi un'agricoltura in grande. Ma alcune di queste rivendicazioni, che pure erano indietro a quelle previste dal Manifesto, si dovevano rilevare anche troppo avanzate per la situazione in Germania.

La stessa Lega dei Gomunisti perdette le ragioni della sua esistenza: era troppo debole come leva per organizzare le grandi masse, e come mezzo di propaganda poteva essere sostituito da mezzi più efficaci. Perciò, con atto dittatoriale, sfidando ogni esitazione, ne proclamò lo scioglimento. Ma il partito proletario potrà far sentire la sua autorevole voce e combattere la sua battaglia attraverso un grande giornale, che sarà la Neue Rheinische Zeitung, la Nuova Gazzetta Renana.

Sarà questa che dirigerà l'azione dei comunisti sparsi in Germania e permetterà lo sviluppo della classe operaia su chiare posizioni di lotta rivoluzionaria che, al di là della demagogica azione di certe sinistre operaie, miravano allo scopo principale del momento: spingere avanti la borghesia grande e piccola, fondare il suo potere sulla forza del popolo: "La borghesia non può fondare il proprio stato senza avere almeno provvisoriamente tutto il popolo come alleato, ossia senza agire più o meno democraticamente". Perciò il giornale nasce, il 1° giugno 1848, come "organo della democrazia". Ma esso non deve servire i democratici: deve controllarli che restino sul binario rivoluzionario che proprio e solo il partito proletario, attraverso la R.N.Z. è in grado di indicare. Esso non nasconde gli obiettivi finali del proletariato, e dice chiaro che il suo ideale non è la repubblica nero-rosso-oro, la quale semina, deve segnare l'inizio della opposizione proletaria vera e propria. II pilastro fondamentale messo sempre in evidenza e quello della "rivoluzione permanente" contro la volontà del partito della grande borghesia che, subito dopo marzo, vuole considerare chiusa la rivoluzione appena all’inizio. E, quando la controrivoluzione si affaccia all'orizzonte europeo e tedesco, l'incitamento alla battaglia si fa ancora più pressante.

 

 

Partito Comunista Internazionale
(
il programma comunista, n. 7, 1965)

 

 

 

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  • Israele: Nel baraccone nazional-comunista: vie nazionali, blocco con la borghesia ( Il programma comunista, n°20, 1967)
  • Israele: Detto in poche righe ( Il programma comunista, n°18, 1968)
  • Israele: Spigolature ( Il programma comunista, n°20, 1968)
  • Israele: Un grosso affare ( Il programma comunista, n°18, 1969)
  • Incrinature nel blocco delle classi in Israele(Il Programma comunista, n°17, 1971)
  • Curdi palestinesi(Il Programma comunista, n°7, 1975 )
  • Dove va la resistenza palestinese? (I)(Il Programma comunista, n°17, 1977)
  • Dove va la resistenza palestinese? (II)(Il Programma comunista, n°18, 1977)
  • Dove va la resistenza palestinese? (III)(Il Programma comunista, n°19, 1977)
  • Il lungo calvario della trasformazione dei contadini palestinesi in proletari(Il Programma comunista, n°20-21-22, 1979).
  • In rivolta le indomabili masse sfruttate palestinesi ( E' nuovamente l'ora di Gaza e della Cisgiordania)(Il Programma comunista, n°8, 1982)
  • Cannibalismo dello Stato colonialmercenario di Israele(Il Programma comunista, n°12, 1982)
  • Le masse oppresse palestinesi e libanesi sole di fronte ai cannibali dell'ordine borghese internazionale(Il Programma comunista, n°12, 1982)
  • La lotta delle masse oppresse palestinesi e libanesi è anche la nostra lotta- volantino(Il Programma comunista, n°13, 1982)
  • Per lo sbocco proletario e classista della lotta delle masse oppresse palestinesi e di tutto il Medioriente(Il Programma comunista, n°14, 1982)
  • La lotta nazionale dei proletari palestinesi(Il Programma comunista, n°12, 1982)
  • Sull'oppressione e la discriminazione dei proletari palestinesi(Il Programma comunista, n°19, 1982)
  • La lotta nazionale delle masse palerstinesi nel quadro del movimento sociale in Medioriente(Il Programma comunista, n°20, 1982)
  • Il ginepraio del Libano e la sorte delle masse palestinesi ( Il programma comunista, n°2, 1984)
  • La questione palestinese al bivio ( Il programma comunista, n°1, 1988)
  • Il nostro messaggio ai proletari palestinesi ( Il programma comunista, n°2, 1989)
  • Una diversa prospettiva per le masse proletarie (Il programma comunista, n°5, 1993)
  • La questione palestinese e il movimento operaio internazionale ( Il programma comunista, n°9, 2000)
  • Gaza, o delle patrie galere (Il programma comunista, n. 2, 2008)
  • Israele e Palestina: terrorismo di Stato e disfattismo proletario ( Il programma comunista, n°1, 2009)
  • A Gaza, macelleria imperialista contro il proletariato ( Il programma comunista, n°1, 2009)
  • Il nemico dei proletari palestinesi è a Gaza City ( Il programma comunista, n°1, 2013)
  • Per uscire dall’insanguinato vicolo cieco mediorientale (Il programma comunista, n° 5, 2014)
  • Guerre e trafficanti d’armi in Medioriente (Il programma comunista, n°5, 2014)
  • Gaza: un ennesimo macello insanguina il Medioriente-Volantino (Il programma comunista, n°5, 2014)
  • L’alleanza delle borghesie israeliana e palestinese contro il proletariato (Il programma comunista, n°6, 2014)
  • Israele e Palestina: terrorismo di Stato e disfattismo proletario  ( Il programma comunista, n°3, 2021)
  • A fianco dei proletari e delle proletarie palestinesi! ( Il programma comunista, n°5-6, 2023)
  • Il proletariato palestinese nella tagliola infame dei nazionalismi ( Il programma comunista, n°2, 2024)
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