DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Roma papalina può ben celebrare un trionfo, oggi che, per la morte di uno dei suoi reggitori, mettono il lutto e levano al cielo le mani angosciate non soltanto i borghesi, che hanno cessato da tempo di proclamarsi nemici implacabili della sua potenza terrena e della sua visione ultramondana della vita: non soltanto le plebi diseredate alle quali più nessuno ricorda nelle parole di Marx che «la religione è il sospiro della creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, lo spirito di una condizione senza spirito: l'oppio del popolo»; ma gli stessi partiti che si dicono operai e i dirigenti di Stati che si proclamano sfacciatamente «comunisti». Sul tavolo dei porporati, ai telegrammi dei rappresentanti ufficiali della proprietà e del capitale si mescolano in questi giorni i messaggi di deputati e senatori di «estrema sinistra», di Krusciov e del metropolita di tutte le Russie, di Gomulka e di parlamentari polacchi e cecoslovacchi e bulgari, mentre l'erede della Confederazione Generale del Lavoro di men vile memoria e i bonzi sindacali tanto solleciti della produttività nazionale  invitano gli operai a sospendere per dieci minuti il lavoro perché è morto, oh sciagura, il pontefice!

Suonate, campane di Roma, suonate a distesa! Gli ideologhi della borghesia rivoluzionaria proclamarono «la lotta contro la religione»: i loro nipoti corrono in chiesa e abbracciano l'altare. Il giovane proletariato rivoluzionario dichiarò «lotta al mondo del quale la religione è l'aroma spirituale»: i suoi degeneri partiti di massa si accontentano di rabberciare quel mondo, e trovano compatibili la mitria e la bandiera rossa.

E' un trionfo tanto più completo, quanto meno sudato. Non la Chiesa è «venuta incontro», come si dice, agli avversari di un tempo; sono questi che si sono ignominiosamente prosternati ai suoi piedi. Non papa Roncalli ha cambiato linguaggio (è questo l'elogio che possiamo fargli noi): sono gli altri che hanno buttato alle ortiche l'ideologia, il programma, le parole d'ordine, che erano la loro forza e la loro ragione d'essere. Egli non ha messo la sua fiaccola sotto il moggio; non ha nascosto che, per lui e per la Chiesa di cui si sapeva e si proclamava l'umile servo, la vera vita comincia dopo la morte e non v'è speranza di salvezza quaggiù - nel piccolo margine di consolazioni riservato ai nipoti di Eva - fuori dalla «Madre comune» e dalle sue immutabili leggi. Ha gettato la sua rete in tutti i mari della terra, è vero; ma era la sua rete, tessuta dei domi e dei riti di sempre. Possono vantare la stessa fedeltà orgogliosa coloro che - essendo in possesso di una dottrina che fin dall'inizio è la negazione di ogni trascendenza, e pretendendo di guidare un proletariato levatosi a distruggere, insieme con la società divisa in classi antagoniste, il suo riflesso nelle coscienze, la «paura che genera gli dei... la paura della cieca potenza del capitale» - hanno fatto propria nella sostanza l'ideologia del pacifismo sociale e di rassegnazione imbelle predicata dalla borghesia laica e dal suo apparato ecclesiastico?

Viene da costoro, al papa defunto, l'elogio: Bandì dalla predicazione della Chiesa ogni «spirito di crociata». E' facile rispondere: Perché mai avrebbe dovuto mantenerlo, quello spirito, se l'avversario è codardemente scomparso; se più nessuno si leva a contrapporre al vangelo fideista di Roma un messaggio di segno irrevocabilmente opposto? Con l'avversario di ieri si incrociavano e dovevano incrociarsi le spade: che senso farlo oggi, con un «avversario» che predica esso per primo il dialogo, il colloquio? Il campo è aperto: si tratti dei rapporti fra capitale e lavoro o dei rapporti fra Stati, la Chiesa è oggi libera di collocare sul mercato i suoi prodotti teorici in concorrenza con mille altri prodotti intercambiabili, e battere tutti sul prezzo.

Invero, alla visione roncalliana di una pace fra gli Stati e di una conciliazione fra le classi raggiungibili attraverso gli appelli alla coscienza, alla buona volontà, al cuore, nessuno - salvo noi, per pochi che siamo e per debole che sia la nostra voce, - ha osato ed osa oggi contrapporre la dottrina che i rapporti fra gli uomini e i rapporti fra gli aggregati sociali sono rapporti di classe e di violenza; e che solo la violenza di classe può capovolgerli. «Alla pace, alla comprensione e collaborazione fra i popoli, - ha scritto Togliatti commemorando Giovanni XXIII - si può e si deve giungere anche quando si parte da posizioni diverse e lontane»; che cos'è questo, se non la proclamazione di aver condannato per sempre e senz'appello l'eresia marxista che affida la pace alla vittoria non di questa o di quella idea o, peggio ancora, di un mosaico di idee, ma di una classe, ed una sola?

Si è detto ancora: ha saputo guardare al di là di «barriere che sembravano invalicabili». Se questo è un «merito storico», non lo si attribuisca né alla Chiesa  né a un suo pastore: esso spetta a coloro che hanno reso valicabili  in ogni senso tutte le antiche barriere. Al quotidiano appello del  «padre» ai «figlioli», chi - salvo noi - ha risposto in questi anni, o risponderà negli anni venturi, che no, non siamo fratelli, fratelli noi e chi ci sfrutta, fratelli noi e chi ci calpesta, fratelli noi e chi manda in guerra: che «non siamo uno» ma due, due classi contrapposte separate da barriere invalicabili, e che ci sarà pace e fratellanza solo allorché questa barriera sarà clamorosamente abbattuta da una ed una sola di queste classi, e sarà pace e fratellanza quaggiù, non nel favoleggiato regno dei cieli; quaggiù, in quella che da secoli gli oppressi sono invitati a ritenere per decreto immutabile una «valle di lacrime» e che per noi deve diventare una valle di delizie sotto un cielo sgombro di incubi, minacce o pie consolazioni religiose? «La fede rende beati», ripeteva e ripeterà la voce di Roma. «Sì, - risponde la voce del "Capitale" di Marx:  è la fede che rende beati; la fede nel valore monetario come spirito immanente delle merci, la fede nel modo di produzione e nel suo ordine prestabilito». Sotto questa fede di millenarie paure, giace in catene il gigante proletario; di questa fede e della sua beatitudine rassegnata abbiamo giurato da oltre un secolo di volerlo sbarazzare per sempre.

Fra queste concezioni, fra queste due voci di classe antagoniste, non può esservi «dialogo», «incontro», «coesistenza pacifica». Ma è necessario e fatale che conviva pacificamente con Roma un regime di mercanti-epigoni che, sulle rovine della gloriosa rivoluzione di Ottobre, ha ristabilito il dominio del feticismo delle merci e della sua proiezione nel cielo; un regime che può installare il filo diretto con Washington, nutrire archimandriti, e mandarli al Concilio Ecumenico di Santa Madre Chiesa. Per loro, la coesistenza è un fatto e un ideale: di più, la comune ancora di salvezza.

Noi plaudiremo al papa che, da una classe proletaria lanciata all'assalto di una terra e di un cielo non più temuti, sarà costretto a lanciarci l'ultima crociata; al papa che avrà dovuto raccogliere la sfida degli umiliati della terra urlanti le rivoluzionarie parole di un cristianesimo di schiavi in rivolta: «Siamo venuti a portare non la pace ma la guerra», e che troverà davanti a sè «barriere invalicabili» erette dalla forza prima che dalla teoria, e dovrà cercare disperatamente di demolirle.

Non ci sarà, allora, il «plebiscito» di cui i porporati oggi hanno tutto il diritto di gongolare; ci sarà lotta senza quartiere, dietro due barricate e con una sola posta - O NOI O LORO; O IL PROLETARIATO RIVOLUZIONARIO O I DETENTORI DELLE CHIAVI DI UNA PINGUE TERRA E DI UN CIELO PIENO SOLTANTO DI TERRORI.

Per adesso, baciapile di tutto il mondo, a raduno!

 

il programma comunista, n. 12, 12 -26 giugno 1963

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