DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

C'è modo e modo di  «esser» marxisti: c'è quello del rivoluzionario sincero e quello del contrabbandiere.

L'attuale epoca di controrivoluzione imperante, caratterizzata dalla decisiva presenza dello stato proletario russo degenerato, ha prodotto quel particolare tipo di contrabbando della teoria di Marx che si fonda su un' ipotesi: quella dell'esistenza del socialismo in Russia e del suo diffondersi di qui verso i paesi arretrati  dell'Europa orientale e dell'Asia. Ogni considerazione teorica e pratica assume oggi quest'ipotesi come punto fisso di partenza. Mai e poi mai il presunto socialismo di questi paesi è messo in discussione. L'esame della natura - nella sostanza e nella forma - della loro economia non risulta mai all'ordine del giorno nei congressi dei partiti sedicenti socialisti. Al contrario, le discussioni che vi si fanno hanno come tratto comune la tacita e supina ammissione che là esista il socialismo. Insomma, si tratta di un vero e proprio dogma.

E' questo il più sottile inganno teso al proletariato internazionale e, insieme, il più sfrontato contrabbando della realtà scientifica e storica. E l'atteggiamento comune dei suddetti partiti di fronte a tale questione è la prova che ogni pretesa di ortodossia teoria e politica marxista è assurda quanto le reciproche accuse di revisionismo e dogmatismo sono artifici pettegoli e inconcludenti sul piano teorico e ingannevoli su quello politico e segni chiari di potenti forze centrifughe frantumatrici di ogni unità nel blocco orientale non meno che in quello occidentale.

Stando così le cose, cioè stando le forze vive dei paesi «socialisti sul terreno del tradimento della causa proletaria», non c'è da stupirsi che la «pubblicistica» mondiale stia al servizio della conservazione col suo contributo di scritti sempre più mistificatori delle idee e dei fatti.

I professoroni borghesi d'occidente, ogni qual volta in Russia si registra uno dei fatti che ne dimostrano ognor più la natura capitalistica - come il laisser faire alle aziende, la riprivatizzazione di certi capitali (es. le macchine e i trattori che dallo stato passano in proprietà dei colcos), la codificazione di sempre più estesi diritti di eredità, ecc., - si fregano le mani dalla gioia , gridano al fallimento della dottrina marxista e ridono di chi ancora crede all'avvento del comunismo. Ma non si tratta che di meschini e poco durevoli tripudi, perché la contraddizione in cui la loro stessa funzione li caccia, li frega; da una parte essi arrivano a credere sul serio che il socialismo non si sia potuto realizzare perché «contrario alla natura umana», dall'altra sono costretti a chiamare ancora «comunisti» i paesi del blocco sovietico.

Come la mettiamo, allora, oh superuomini? Chi, in definitiva, deve ridere: voi, i trafficoni, o noi, i testardi marxisti che anche nella degenerazione russa vediamo una smagliante conferma della dottrina di Marx e delle previsioni storiche che in base ad essa formulammo a suo tempo? La verità è che il sacro terrore del comunismo vi fa veder rosso dove è nero come in casa vostra, senza che ciò impedisca lo sporco traffico mercantile ed ogni altro tipo di relazione più o meno incestuosa.

Ma rivolgiamo lo sguardo altrove: cioè a coloro che si professano entusiasti di Marx, che scrivono sulle sue opere, e che nel contempo non hanno alcun dubbio sull'autenticità del «socialismo» russo.

«Il presente come storia» è un libro pubblicato di recente dallo scrittore americano P.M.Sweezy  che già altra volta criticammo con asprezza: quando cioè, in altra pubblicazione, osò battezzare socialista l'economia di Cuba prima ancora che Castro l'avesse definita tale, e che i russi e C. le avessero appioppato il loro timbro di autenticazione. A parte la ridicola pretesa che esista una storia unica per tutti gli «studiosi di scienze sociali» cui egli si rivolge, quello che è sfottente è la pretesa di  interpretare i fatti d'oggi secondo la «giusta» teoria di Marx: intendendosi per «giusta» quella rabberciata dallo Sweezy.

Nel capitolo dedicato all'esame del Manifesto l'autore, dopo di averne decretato, verificato il contenuto «nel suo complesso», afferma perentoriamente che Marx ed Engels sono incorsi in una papera: «Sotto un solo aspetto - la tesi che il socialismo si sarebbe affermato anzitutto nei paesi capitalisti più avanzati - l'esperienza storica ha mostrato un errore nel Manifesto». Ma non è tutto. L'esimio «pubblicista», bontà sua , ci dice che quest'errore non intacca i principi generali della dottrina di Marx perché essi stessi ne forniscono la spiegazione, se interpretati col metro che egli è così generoso da fornirci.

Che dobbiamo rispondere a questo «cercatore d'errori» (o, peggio, correttore dei medesimi) in veste di ortodosso e marxista più di Marx? Mettere in rilievo tutte le contraddizioni della sua prosa significherebbe impelagare il lettore in esercitazioni inutili, che d'altronde il nostro spazio prezioso non ci permette. Val dunque la pena di sintetizzare al massimo la risposta a lui ed esimi colleghi. A parte che nel Manifesto manca un'esplicita dichiarazione dei suoi autori (se lo rilegga il Sweezy!) secondo la quale la rivoluzione doveva avvenire prima nei paesi più avanzati (già l'attesa per la Germania 1848 lo smentisce), Sweezy e C. non capiscono nulla quando non riescono a distinguere tra rivoluzione solo politicamente socialista, e rivoluzione socialista anche in senso economico e sociale, come sviluppo e coronamento della prima. Il ritenere che tale processo si sia compiuto in Russia, questo è l' «errore» di mister Sweezye di tutti i pubblicisti contaballe filo stalin-kruscioviani! La tesi (implicita) del Manifesto e delle altre opere di Marx ed Engels, secondo cui il socialismo inteso nella sua realizzazione piena, non può trionfare in un paese arretrato se non dopo l'avvento della rivoluzione proletaria nei paesi industrialmente progrediti, questa tesi non solo non è mai stata modificata in tutto il corso della loro vita, ma è stata alla base dell'azione rivoluzionaria di Lenin e del partito bolscevico nel 1917, concepita sempre e solo in funzione internazionale; e proprio nell'insuccesso  della rivoluzione nei paesi dell'Occidente europeo, è la radice della sconfitta sociale dello stato proletario russo.

E' dunque sempre l'ipotesi maledetta che in Russia esista il socialismo quella che vizia il ragionamento del Sweezy e lo fa pervenire ad una tesi che, essendo opposta a quella di Marx, convincerebbe di errore quest'ultimo.

Ma come meravigliarsene? In un paragrafo del libro del Sweezy intitolato «Che cos'è il socialismo?» leggete fra le tante questa gemma: «Per quanto riguarda la forma di proprietà sui mezzi di produzione, che caratterizzerebbe il socialismo, i marxisti non sono mai stati dogmatici. La proprietà deve essere di enti pubblici, ma ciò non significa di necessità del governo centrale: enti locali, enti pubblici speciali di un tipo o dell'altro e cooperative, possono essere proprietari di mezzi di produzione sotto il socialismo. E può anche sussistere una certa misura di proprietà privata, purchè sia limitata ad industrie la cui produzione si effettua su piccola scala».

Dopo questa perla il lettore avrà capito chi sono i pubblicisti  «marxisti» e come egli debba giudicare tutta questa genia di mangia-plusvalore a sbafo, che la scopa della rivoluzione dovrà buttare a mare con tutta la loro cartaccia...

il programma comunista,  n.4, 18 febbraio -  4 marzo 1963

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