DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Provate a sfogliare un qualsiasi giornale o rivista della stampa borghese e dei suoi servi (opportunismo in testa) e scoprirete che c'è sempre qualcosa che riguarda temi come povertà, fame, disagio sociale, disoccupazione, assenza di lavoro stabile, ecc. Perché sono problemi reali, problemi che figliano dalla società “madre”: e vivono e si moltiplicano con velocità sorprendente e dunque “Lor Signori” non possono ignorarli e non scriverne. Allora esorcizzano, cercano di tamponare, di ridurre tutto a semplici incidenti di percorso da risolvere trovando, nella macchina produttiva capitalista, il lato buono. Per dirla alla Gramsci, il “suo lato umano”. Ma i dati, i numeri della crisi ormai cronica, impallinano tale prospettiva: la situazione va peggiorando giorno dopo giorno e, guardando solo gli ultimi dieci anni, ne cogliamo la rapidità. In quel che ci raccontano, vediamo proprio le due cose che si scontrano: da una parte, la crisi che corre sfrenata e, dall'altra, il tentativo patetico di frenarla. Esempio? Le due economie più importanti del pianeta.

Negli Usa, la povertà estrema cresce senza sosta da 40 anni e, secondo le stime dell'U.S. Census Bureau, al dicembre 2014 toccava quasi 21 milioni di persone: dal 3,3% della popolazione americana nel 1976, è raddoppiata, passando al 6,6%. Di fronte a questi dati, si capisce come le “Charities”, le associazioni che vivono di elargizioni benefiche, nel 2016 abbiano raccolto 390 miliardi di dollari: il 2,7% in più del 2015. Una tendenza sorprendente: la crescita delle donazioni è stata superiore a quella del prodotto interno lordo americano: + 1,6% nello stesso anno.

Ma attenzione... attenzione... Ecco la novità: l'entrata in scena del “Capitale dal volto umano”! L'Azienda “Collette Vacations” paga quattro ore al mese di permesso retribuito ai dipendenti che si assentano dal lavoro per partecipare al volontariato sul territorio, consistente nel distribuire pasti agli homeless, i senza-casa. Non è da meno la Exxon Mobil Foundation, che nel 2015 ha finanziato progetti “anti-povertà” per 268 milioni di dollari. E che dire della Microsoft? Sta studiando aiuti per “attività sociali”. Per non parlare della Walmart Foundation (primo nome della grande distribuzione), che nel 2016 ha “donato” 61 milioni di dollari per combattere la fame negli Stati Uniti: contemporaneamente, ha fatto portare a destinazione 280 mila tonnellate di cibo, con i propri camion e dai propri dipendenti. Per finire, la Renovation Angel, con sede a Greenwich nel Connecticut, specializzata nel recupero di cucine, arredamenti, elettrodomestici, ecc., che rivende a prezzi modesti.

Questo “nuovo” modo di operare contro la povertà è la “nuova” frontiera di questa meravigliosa società capitalista e viene chiamato “integrazione tra profitto d'impresa e scopo sociale”. A noi ricorda tanto la… buona cara vecchia “carità pelosa”, con cui si cerca di sostituire l'inevitabile guerra tra lavoro e capitale con la fraterna coesistenza di Profit e non Profit.

E andiamo in Cina, dove la situazione è più complicata. Non c’è dubbio: con il suo sviluppo e la sua aggressività commerciale, con oltre 2 mila miliardi di dollari l'anno di merci spedite in ogni angolo della terra, in 40 anni la Cina ha portato 800 milioni di persone (su una popolazione di 3 miliardi) a un livello di vita decente. Ma non tutti hanno avuto fortuna: ci sono almeno 44milioni di cinesi che sopravvivono con 2300 yuan all'anno (un dollaro al giorno). La statistica governativa è probabilmente inferiore alla realtà, perché la linea di povertà estrema secondo la Banca Mondiale è di 1,25 dollari al giorno e si calcola che con questo criterio sarebbero più di 70 milioni i cinesi in pericolo. E poi c'è la disuguaglianza. Nelle città industriali, dove i salari degli operai si avvicinano a quelli dell’Europa meridionale, gli affitti sono carissimi: a Pechino, sono centinaia di migliaia i giovani lavoratori costretti a vivere in scantinati sotto i palazzi e in vecchi rifugi antiaerei (li chiamano “Tribù dei Topi”). Nelle campagne, poi, la situazione è ancora più grave: ci vivono ancora 600 milioni di cinesi, ben lontani dal boom economico e dalla nuova ricchezza; ed è proprio in queste zone che 44 milioni di uomini, donne, bambini e vecchi si trovano in povertà estrema.

E' obbiettivo  del PCC ( negli USA le aziende, in Cina il PCC!) sconfiggere la povertà entro il 2021. Dice, con precisione matematica, l'Agenzia Xinha: “Significa far uscire dalla fascia dell'indigenza totale, 10 milioni di persone all'anno, un milione al mese, 20 ogni minuto”. Da parte sua, “Nessuno sarà lasciato indietro”, ha assicurato il primo ministro Xi nel discorso di ottobre al Congresso del PCC…

Diamo anche noi sostegno alle due iniziative, dicendo agli amici americani e cinesi “Pedalare... pedalare...”.

(I dati provengono dall'inserto “Buone notizie” del Corriere della Sera del 2 gennaio 2018)

 

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