DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Testo marxista fondamentale

Nella seduta conclusiva della riunione della Spezia e con maggiore dif­fusione nel resoconto (per cui si veggano i nn. 15, 16,17 e 18 del 1959 di Pro­gramma Comunista) si svolsero temi essenziali a cui dette occasione lo studio dei Manoscritti econo­mico-filosofici del 1844 di Carlo Marx.
Si rilevò che di questo testo le varie edizioni e traduzioni in più lingue non sono conformi, e soprattutto non lo sono nel­l'ordine degli argomenti e dei capitoli, il che si deve alla diffi­coltà della ricostruzione del testo originario. I testi in tedesco, inglese, francese ed italiano di cui si dispone non solo non sono concordi per alcuni passi particolarmente importanti, ma non presentano tutti lo stesso materiale.
Nella utilizzazione di esso, tutto di esso, tutto di grande si­gnificato, ci te­nemmo non ad una ripresentazione teorica e nemmeno ad un commento a pié di pagine, ma cogliemmo al­cuni punti che si mettono in evidenza nelle questioni che oggi, ancora e soprattutto, travagliano il movimento della classe pro­le­taria, e ciò sempre a sostegno della tesi che il partito di questa non avrebbe deviato ed errato se, invece di andare alla sterile ricerca di nuovi veri, nuovi corsi, e nuovi corpi di dottrina e di programma, si fosse riportato alle tavole lapidarie su cui fu fondato. A differenza dalla comune opinione, nel sistema coe­rente di esse non va annoverata con peso minore del Manife­sto dei Comunisti e del Capitale questa opera con cui il nascente partito co­munista scolpì la sua antitesi di principio con la filo­sofia critica borghese e le sue grandi costruzioni tedesche della prima parte del secolo XIX. Tra questa prima azione di assalto dottrinario alla ideologia della classe capitalistica e quelle che seguirono nel campo della critica della economia e della storia contemporanea non esiste alcuna soluzione di continuità, ed è leggenda creata dai travisatori del marxismo quella che tra que­ste tappe si inserisca una romanzata conversione di Carlo Marx, che dall'idealismo hegeliano in gio­ventù professato sarebbe pas­sato alla dottrina, da lui scoperta o fondata, del materialismo storico. La nostra ricerca mira a stabilire che questo svolto non si è mai verificato, ma che in Marx, ossia nella voce per cui si esprimeva il na­scere della nuova dottrina storica di classe, l'ap­prendimento la critica e la con­futazione del sistema hegeliano furono simultaneo processo. Tale coerenza ed unità di costru­zione furono rivendicate dalla grande scuola per tutta la vita di Marx e di Engels, come per tutta quella di Lenin e dei leninisti non adulte­rati; e per noi, ultimi allievi e cocciuti credenti nei testi medesimi, che ad ogni passo difendiamo quali vere posi­zioni di combattimento, lo sono ininterrotta­mente fino ad oggi e lo dovranno essere fino a quando la rivoluzione comu­nista avrà vinto.
Poiché appunto la nostra rivendicazione e agitazione non è di docenti scolastici ma di uomini di parte, e non si ordina in tesi di programmi a stile ac­cademico, sarà utile ricordare al let­tore lo schema del resoconto della Spezia che si fermò per que­ste chiare ragioni su punti di vivente controversia con i disgu­stevoli odierni traditori del marxismo; proprio quelli che, ri­vendicandolo come proprio credo, turpemente lo bestemmiano.
Dalla proprietà al comunismo
Poiché è stato merito indiscusso di Hegel, come di tutta la moderna critica che è il riflesso ideologico della rivoluzione li­berale borghese, di rompere la immobilità delle contrapposizioni metafisiche dei contrari proprie degli antichi regimi feudali (Dio e Diavolo, Bene e Male) e introdurre nella vita del pen­siero, e quasi senza saperlo e volerlo nella storia dell'umanità, la luce vitale del movimento, la Battaglia che Marx inizia contro il maestro come contro gli allievi più o meno degeneri (fatta gra­zia al solo Feuerbach) si imposta riz­zando le stesse macchine di offesa della scuola da sfatare, quali armi conqui­state a un ne­mico.
La esercitazione classica della manovra, che aveva intuito la luce della dialettica ma purtroppo senza uscire dall'inganno idealistico e mistico, consi­steva in un primo movimento in cui il soggetto, la coscienza, esce di sé stessa.
Marx, al fine proprio di annientare la inconcludenza del si­stema indivi­duale e soggettivistico delle parti essenziali della costruzione hegeliana (Logica e Fenomenologia), adotta per un momento lo schema stesso del dop­pio movimento. Ma non è più un soggetto pensante e cosciente di tutti i tempi che sul piano astratto si dedica allo sport di uscire da sé stesso (alienazione, esteriorizzazione) al fine di guardarsi di lì fuori, e verificare: io davvero esi­sto! - e poi rientrare nello stesso personale ricettacolo di cervello per salire questo scalino delle certezze, che al vertice della mistica piramide sarà, chi sa come e perché, il sapere "Assoluto". È invece un essere fisico, palpabile e reale, il lavo­ra­tore del tempo capitalistico, che compie questo esperi­mento tragico di estraniarsi da sé stesso. E Marx pone il pro­blema del secondo mo­vimento, del vero ritorno, domandando­sene la meta.
Perciò mostrammo che lo schema hegeliano sembra accettato ed appli­cato, ma è in effetti da Marx radicalmente trasposto, ri­voluzionariamente, al fine di distruggere la applicazione che Hegel ne fece. La metamorfosi che l'uomo del tempo moderno, il proletario salariato, subisce nella economia della proprietà pri­vata, è una uscita dalla essenza umana, cui furono più vicini i membri di società primitive. Alienato dalla mercede per cui ha venduto sé stesso, il suo tempo e il suo lavoro, il proletario si è estraniato da uomo; è una pura merce, un oggetto fisico senza vita. Noi diamo questa chiave, per il rivo­luzionario scioglimento da Marx la prima volta in queste pagine descritto. Per ridiven­tare da non sé stesso, sé stesso; da non uomo, uomo; il lavora­tore estraniato non tenderà a riconquistare la sua persona, il suo individuo di prima, chiudendo un ciclo inutile e stupido che non avrebbe altra prospettiva che una seconda ed eterna auto­vendita per schiavo, ma riconquisterà, con la sua classe, e per tutta la società e la specie umana, la qualità di uomo, non più come individuo singolo, ma come parte della nuova umanità, del comunismo. Il quadro della società nuova è da questo momento tracciato, e questo mo­dello è valido fino al tempo storico della sua attuazione futura.
Tutto il ciclo viene descritto nel suo termine ultimo di cui sarà bene ripe­tere la formula insuperata. La vittoria, sulla subìta estraniazione che dell'uomo vivo fece l'infamia della proprietà privata, così è formulata:
"Il comunismo, positiva abolizione di quella estraniazione dell'uomo da sé stesso che è la proprietà privata, quindi effet­tiva conquista dell'essenza umana da parte dell'uomo e per l'uomo; quindi ritorno completo, cosciente, raggiunto attraverso la intera ricchezza dello sviluppo passato, dell'uomo per sé quale uomo sociale, ossia quale uomo umano.
"Questo comunismo è come completo naturalismo = umani­smo, come completo umanismo = naturalismo; esso è il vero sciogli­mento del completo umanismo = la natura e tra uomini ed uomini, la vera soluzione del contrasto tra esistenza ed es­senza, tra re­altà oggettiva e coscienza soggettiva, tra libertà e necessità, tra individuo e specie. Il comunismo è il risolto enigma della storia, e si considera come tale soluzione".
Abbiamo riportato questi passi in una migliore traduzione perché in essi incorsero errori, anche di stampa. Nella loro po­tenza di sintesi essi conten­gono le innumeri tesi che vanno op­poste alle infamie dei revisionismi; ma non in questo momento vogliamo sviluppare queste tesi una ad una.
La tesi centrale della invarianza opposta alla eresia dell'ar­ricchi­mento del comunismo marxista esce trionfante. I balzi della conoscenza umana sono scioglimenti rivoluzionari di storici enigmi. Un qualunque pro­blema può essere risolto per tentativi tappe e gradi. Di problemi si pasce la imbecillità riformista. Ma l'enigma una volta per sempre sciolto da una rivolu­zionaria il­luminazione, non si richiude più in un mistero.
In questa concezione del corso della storia il passato non fu un errare nella tenebra; è attraverso tutta la ricchezza delle sue rivoluzioni che la via al comunismo si è aperta.

Contro l'immediatismo

Potemmo mostrare che anche secondo questo testo viene battuto il dila­gante - oggi persino tra gruppi antistalinisti - im­mediatismo. La presentazione ossia falsificazione staliniana an­che di questo testo voleva farne uscire la condanna di Marx a Proudhon come una difesa della moderna indecente di­sugua­glianza dei salari in Russia. Con citazioni decisive mostrammo che Marx imputa a Proudhon non la eguaglianza dei salari come programma sociale ma la conservazione dei salari, che vanno nel comunismo soppressi.
Rimandiamo il lettore a quelle citazioni da cui risulta la fallacia sia della pretesa dei russi di vivere in socialismo - e an­dare verso il comunismo! - mentre la loro forma economica più avanzata è immersa nel salario monetario; sia di quei pretesi marxisti che sono rimasti alla richiesta operaistica di far sa­lire il tono pecuniario del salario a danno del profitto padronale.
Ci interessa far vedere che il nostro termine immediatismo - valido a bat­tere insieme stalin-krusciovisti e falsi sinistri co­munisti - è vecchio di cento anni. Esso è introdotto da Marx nella critica alla prima forma incompleta del "comunismo rozzo" su cui lungamente ci fermammo. In questa prima formu­lazione del programma della classe operaia la soppressione della pro­prietà privata appariva come la sua generalizzazione e il suo completamento. La giusta critica di Marx vuole mostrare come la formula: nessun proprietario e nessun proletario, appare prima ingenuamente come quella: tutti proprietari e tutti prole­tari. Questo è proprio l'errore dei russi con la loro "proprietà di tutto il popolo" nonché degli ouvriéristes de gauche tipo Sociali­sme ou Bar­barie con la loro rivendicazione: gestione della fab­brica agli operai, e tutti operai.
Il testo dice: "Il fisico, immediato, possesso, vale per il co­munismo rozzo quale solo scopo della vita e dell'esistenza; la determinazione dell'o­peraio non viene soppressa, ma estesa a tutti gli uomini, il rapporto della pro­prietà privata rimane come rapporto della società umana al mondo delle cose".

La confutazione è tanto chiara per russi e per sinistroidi piccolo-bor­ghesi, che va pensato che le loro tesi imbelli (e così è di fatto) esistevano cento anni fa, e il marxismo ne sciolse per sempre l'enigma. Ma sia gli uni che gli altri immediatisti si di­chiarano occupatissimi a costruire qualcosa di meglio del marxi­smo classico, con le lezioni, di cui sono in vantaggio sul giovane Carlo, in cui noi giuriamo, di un secolo di storia. Invece li ac­cieca ancora la fame del possesso immediato che generò le for­mule la terra ai contadini e le fabbriche agli operai, e simili vili parodie della grandiosità del programma del partito comunista rivoluzionario.


La soppressione del danaro
La tesi del comunismo integrale è che è forma di proprietà privata e quindi di disumanazione dell'uomo non solo quella che si ha quando il capita­lista spende il suo profitto e il terriero la sua rendita, ma anche quando il pro­letario spende il suo salario. Solo per tale via sono condannabili tutte le forme spurie in cui trionfa il possesso immediato, e che i falsi comunisti lurida­mente esaltano.
Ogni economia il cui mezzo è la moneta è economia di alie­nazione del­l'uomo e di spregio della sua umanità. Le pagine di questo testo, tratte da commenti e passi di massimi poeti come Goëthe e Shakespeare, da noi ripor­tate, sono pagine incendiarie. Il denaro degrada l'uomo ad essere peggio che bestia. Ma anche qui il falso stalinista ha imperversato. Il danaro è la concilia­zione degli impossibili, scrisse Marx commentando la frase del tragico inglese che il danaro costringe i contrari a baciarsi. È desso, noi dicevamo, che costringe Krusciov e Eisenhower a baciarsi...
La traduzione stalinista così riportò il passo: "Il danaro... scambia le carat­teristiche e gli oggetti gli uni con gli altri, an­che se si contraddicono a vi­cenda". In questa forma anodina la inesorabile condanna del danaro si riduce ad una vaga ripeti­zione della "legge del valore di scambio" che gli stalinisti pre­tendono regga la economia socialista, dato che regge certo l'eco­nomia russa. Ma Marx squalifica il danaro appunto in quanto squalifica la legge del valore. Il passo inizia con le parole: "Poiché il danaro, in quanto concetto esistente ed in atto del va­lore, permuta, scambia tutte le cose, così esso è la generale in­venzione e confusione di tutte le cose, e anche il mondo rove­sciato, la confusione ed inversione di tutte le qualità naturali ed umane". E così segue: "Colui che può comprare il coraggio, quegli è coraggioso anche se è un codardo. Poiché il danaro si scambia non con una determinata qualità, con una determinata cosa, o forza essenziale umana, ma con tutto il mondo umano e naturale oggettivo, così esso - dal punto di vista del suo posses­sore - scambia ogni caratteristica (come sopra la codardia) con ogni altra qualità ed oggetto anche ad essa contrari (come il co­raggio, o il ferro del sicario); quindi egli è il conciliatore degli impossibili; egli costringe i contrari a baciarsi".
A questo passo segue quello che mostra come nel pieno co­munismo si scambia solo fedeltà con fedeltà, amore con amore, gioia con gioia. E ad esso precede la serie di spietate antitesi: "Il danaro muta la fedeltà in infedeltà, l'a­more in odio, l'odio in amore, la virtù in vizio; il servo in padrone, il padrone in servo, la stupidità in intelligenza, l'intelligenza in stupidità".
Ne traemmo la tesi incontestabile che dove è danaro ivi non è socialismo e comunismo, come non ve ne è, di gran lontano, in Russia.
Svolgemmo lungamente lo squarcio di Marx che precede quello sul co­munismo integrale e riguarda la forma preliminare del comunismo "grossolano". Non sviluppiamo le nostre osserva­zioni sulla relazione con l'attività culturale sociale che potreb­bero fare equivocare senza i chiarimenti che demmo e torne­remo a dare circa il contenuto della conoscenza umana e sociale nel corso delle lotte rivoluzionarie storiche. Fondamento della nostra critica fu il ribadire che le pretese intellettuali della Russia di oggi non tol­gono che la sua ideologia sia ancora molto peggiore di quella che Marx ana­lizza nel comunismo rozzo.
Questo era, oltre un secolo addietro, un primo passo effet­tivo contro la alienazione dell'uomo dovuta alla forma capitali­stica; nella Russia di oggi è all'opposto un ritorno ed un appog­gio alla conserva­zione della forma capitalistica.
Soppressione della famiglia 
 
Meritò lungo commento questo squarcio sul comunismo gros­solano per quanto riguarda la condanna che Marx qui dà della prima affermazione di comunione delle donne, malamente intesa come indistinta proprietà del sesso maschile sul femmi­nile. Marx stabilisce qui che lo stesso rapporto, per cui l'uomo della classe lavoratrice è alienato nelle forme proprietarie, trova la sua misura storica nel grado di abiezione e di alienazione ses­suale della donna.
Sarebbe audacia suprema tentare di dedurre da questa tesi profonda una giustificazione, ad uso del Kremlino (è tempo di giubilare la vecchia frase ad usum delphini) della forma della famiglia monogama e perfino ereditaria, come forma socialista! Se non vi fosse altro immenso materiale per scolorare la Russia odierna di ogni residua tinta socialista, basterebbe l'episodio, che ricordammo come di atroce "attualità", del gioco delle cop­pie al vertice per cui, con decenza assai minore che nelle classi­che dinastie ereditarie, gli Stati moderni usciti con pretese di rinnovamento dalla Seconda Guerra Mondiale si fanno pubblici­tariamente rappresentare dalle famiglie... sovrane, con Pre­si­dente, Moglie o prole. L'umiliante spettacolo valeva allora per il binomio Stati Uniti-Russia; è valso poi più di recente e con strani sapori di gustosa pa­rodia per il binomio Russia-Italia.
Molteplici sono in questo testo di Marx i passi valevoli a mostrare che il programma della società comunista elimina la istituzione famiglia come le isti­tuzioni di Stato e di Religione, ben vive in Russia, con un completo sconvol­gimento della giu­stificazione che finisce col darne il sistema hegeliano. Il preteso mai esistito hegelianismo di Marx si è rifugiato proprio al Kremlino. La discussione teorica del punto è vasta e suggestiva. Abbiamo il diritto di far seguire alle tesi economiche secolari: non salario, non danaro, non scambio, non valore, le non meno secolari ed originali tesi sociali (ben diverse da quelle borghesi che sembrano orecchiarle): non Dio, non Stato, non famiglia.

Invidia ed emulazione
  

Un altro punto che valse a ribadire la nostra rampogna alle sinistre invo­luzioni strutturali russe è quello della invidia che Marx rimproverava al primo ingenuo comunismo rozzo, per cui il povero appetisce i beni del ricco e di­pinge il suo fine come un frammento della proprietà di quello, conseguito at­traverso un generale livellamento. Questa invidia Marx la dimostra una espressione della concorrenza economica motrice del mondo borghese. Ma che altra origine ha mai la recente ammissione sovietica dell'incentivo del guadagno personale, trasformabile in peculio accumulato individuale e fami­liare, specie nelle campa­gne? Tale motore è, alla fine, alla base della formula interna­zionale di gara tra gli Stati, di emulazione pacifica, nella quale sono vilmente naufragati gli ultimi avanzi della concezione co­munista dello svolgi­mento del brigantesco mondo contempora­neo. La lotta di classe, la visione ri­voluzionaria, la dittatura del proletariato, la descrizione programmatica di una società tanto radicalmente diversa da quella borghese, naufragano in una li­vida e miserabile invidia di poteri, che tutti parimenti si co­struiscono sulla alienazione dell'uomo.

Marx ed Hegel

 
Il primo scritto edito di Marx è la sua lettera al padre del 10 novembre 1837. Studente a Berlino all'età di appena 19 anni il giovane mostra di avere nella testa un vulcano rivoluzionario e si rovescia nel suo studio da un settore sull'altro: materie di di­ritto, poesia, letteratura, filosofia, ed in una lettera che occupa nella stampa sedici pagine mostra al padre tutto sé stesso, parla di nottate bianche ed agitate e chiude quando gli occhi gli bru­ciano e la candela è consumata fino alla base.
Sarebbe ridicolo presentare Carlo Marx come un enfant prodige e un sapiente mostruosamente precoce; sarebbe nello stile stupefattore che oggi sempre più dilaga. La gioventù della sua generazione si trova su di una trama storica incandescente, specie in Germania dove la rivoluzione borghese, grandiosa­mente svoltasi in Inghilterra e in Francia, urta in resistenze esa­spe­rate del vecchio regime e nell'impotenza della borghesia libe­rale. Nella mente del giovanissimo studente, figlio di una fa­miglia agiata e che ancora di­scute se dopo la laurea sarà un impiegato amministrativo o un magistrato, si in­crociano le on­date mosse da una sottostruttura di doppia rivoluzione. Non è con la frase banale che siamo in presenza del Genio, quello che "viene ogni cinquecento anni", e nemmeno di una mente ecce­zionale per acume e cul­tura scolastica profonda, incrociata con una formidabile potenza critica, che si risponde all'impressione che nelle fasi di mefitico paludismo storico come quella pre­sente i giovani di quella età, anche forniti di mezzi economici fami­liari che li pongono in grado di studiare con tutte le più facili risorse, al con­fronto sono appena arrivati ad imparare a nuotare nella pipì.
Secondo la dottrina che oggi prende il nome di Marx, e di cui siamo se­guaci per ragioni di schieramento di parte che ci ha schiaffati come doveva, noi vediamo nella tormentata lettera non il riflesso di un sapere o di una po­tenza di ingegno mo­struosamente sopra la media, ma una intuizione che senza ancora sussidio pieno di informazione culturale e di allenamento cri­tico, e ad uno stato di quasi subcoscienza, esprime la determi­nazione di un ambiente.
Il brano della fremente lettera, ultima, tra centinaia di fasci­coli che si con­fessano bruciati e centinaia di altri scritti pen­sando giovanilmente alla pubbli­cazione, che l'autore avrebbe potuto immaginare stampata per essere di­scussa dopo centoventi anni, che interessa la quistione del rapporto con He­gel, è questo. "Partendo dall'idealismo che, sia detto di passaggio, io avevo confrontato coi dati di Kant e di Fichte ed avevo con quelli alimentato, ero giunto a cercare l'idea nel reale stesso. (Si può già osservare che quelli, Kant e Fichte, ed Hegel che viene ora, avevano cercato la chiave del reale nell'i­dea. La spallata sovver­siva del giovanile vigore è subito dopo espressa con foga reto­rica). Se gli dei avevano un tempo 'planato' al disopra della terra, essi ne erano ora divenuti il centro".
"Io avevo letto dei frammenti della filosofia di Hegel, di cui la grottesca rocciosa melodia non mi garbava troppo. Volli an­cora una volta tuffarmi nel mare, ma col progetto ben stabilito di trovare la natura spirituale tanto neces­saria, concreta e ben fondata quanto la natura fisica; di non più esercitarmi a giochi di scherma, ma di portare alla luce la perla preziosa".
Marx racconta di avere dopo digerito e riscritto per suo conto il sistema di Hegel, affrontando "infiniti rompimenti di testa" ma che un tale lavoro a cui teneva immensamente lo aveva "gettato, come una falsa sirena, nelle braccia del nemico". Segue un periodo di rabbia e nervosismo e la necessità di una cura all'esaurimento. Marx penetra allora in un "club di dottori" che erano al­lievi della scuola hegeliana, ove traverso discussioni violente e contradditto­rie "si attaccò sempre più solidamente a quella filosofia a cui aveva pensato di sfuggire"... "Ma tutto quello che era sonoro vi era taciuto; "io fui preso allora da un vero furore di ironia, il che d'altra parte doveva facilmente prodursi dopo che avevo rinnegato tante cose".

Determinismo che opera 


La spiegazione che si tratta del giovane studioso che si forma sui libri è quella stupida e convenzionale. Il buttarsi sui libri di qua e di là non è che un pericolo a cui sfuggono solo uomini dotati di una salute fisica (come l'adole­scente Carlo in­tuiva, essa coincide col vigore del muscolo cervello) a tutta prova, e guidati da circostanze esterne di cui non si possono ac­corgere. Nel cenacolo della sinistra hegeliana si conduce una lotta tra le influenze del po­tere dinastico feudale prussiano che vuol fare del cavaliere Hegel un suo funzionario, anche dopo morto, e la giovane borghesia che di quel patrimo­nio culturale tanto copioso tenta di fare la bandiera rivoluzionaria del libera­li­smo tedesco. Marx è determinato, senza ancora essere stato uomo di partito, tanto a partecipare all'assalto contro lo Stato tradizionale prussiano, quanto a sferzare e svergognare una bor­ghesia impotente nel suo conato di imitare Cromwell o Robe­spierre; la sua mente non si è meno alimentata di storia che di filosofia e letteratura - si è anche nutrita di scienze naturali, ma non sa an­cora che il suo cammino sarà di "imparare" la econo­mia, frutto vivo di bor­ghesie che avevano saputo vincere una rivoluzione.
La nostra ricostruzione è semplice ed ingenua. Marx era nato, come avrebbe potuto nascere il suo coetaneo della porta accanto, materialista e nemico degli idealisti. Per adempiere il compito in cui era gettato di demolire l'idealismo borghese, una prima esigenza era di conoscerlo. D'altra parte ogni tanto la de­stra dispotica prussiana dubitava del suo Hegel e lo trattava da "cane morto". In queste ondate, che riempiranno i decenni della maturità di Marx, la sinistra dei dottori si vede colpita dalla censura e dalla reazione di polizia. Marx non rinunzierà, dopo avere rotto con essa clamorosamente, a fustigarla a sangue. Ma non solo userà per frustarla la sua più alta compren­sione del misterioso ed oscuro maestro, rabbiosamente conquistata nella notte di rompicapo, quanto eviterà di unirsi ai demolitori di Hegel davanti ai quali il vecchio ispiratore della Germania bor­ghese e l'ala sinistra dei suoi allievi sono almeno fino al 1848 un fronte unico.
Non è posizione personale e tanto meno intellettuale, ma chiara linea politica del partito proletario che frattanto si sarà formato e che nel Manifesto dei Comunisti invoca la caduta del regime feudale e dinastico tedesco prus­siano come prepara la battaglia di classe anticapitalista del giovane proleta­riato tede­sco, giovane quanto Marx e non meno tormentato dal multiplo fronte dei suoi nemici naturali, al cui abbraccio di sirene sarà ancora per un secolo ed oltre tanto difficile sottrarsi.
La nostra formulazione, ostica a molti, che Marx non faceva da solo il suo sforzo mentale, ma per effetto di fattori sociali, la troviamo nello stesso testo dei manoscritti verso la fine del capi­tolo su "proprietà privata e comunismo". Valga il vero. "Anche quando io svolgo da solo una attività scientifica, che ra­ramente posso adempiere in immediata comunità con altri, io pure sono attivo socialmente, poiché sono attivo come uomo so­ciale. Non soltanto il materiale della mia attività mi è dato come prodotto sociale - come la stessa lingua nella quale lo studioso è attivo - ma la mia stessa esistenza è una attività sociale, perché quello che io faccio da me stesso, lo faccio per la società, e avendo di me la coscienza che sono un essere sociale".

Filosofia ed economia
 
Al testo del 1844 i vari editori premettono un brano che può servire di presentazione storica. Marx spiega che prima di ad­dentrarsi nello studio della economia politica, che egli in queste pagine contrappone apertamente ad ogni attività puramente fi­lo­sofica, di cui la rivoluzione proletaria e comunista vale il de­finitivo superamento, egli aveva già stese seppure non pubbli­cate due opere critiche del sistema di Hegel, che si sanno scritte nel 1841-42, sulla Filosofia dello Stato e sulla Filosofia del Diritto. Il contenuto di queste opere che non possiamo qui ri­chiamare è apertamente demolitore di queste parti es­senziali dell'opera del filosofo. Ad esempio è in esse che viene abbattuta la illusione della eternità ed immanenza dello Stato e del Diritto, propria del pensiero borghese moderno, e soprattutto la identifi­cazione dello Stato come universale assoluto davanti alle forme particolari e dipendenti della società civile, della chiesa, della famiglia. Marx getta qui le basi del suo sistema sto­rico che culminerà nella teoria della dittatura proletaria e della morte dello Stato nella società senza classi, in quanto distrugge il co­lossale errore hege­liano e mostra che lo Stato è forma derivata secondaria e transeunte della storia.
Marx rinvia la pubblicazione di questi suoi lavori ritenendo urgente inta­volare il dialogo tra gli economisti e i filosofi. Egli dall'altro lato tiene da parte i lavori di critica alla sinistra hege­liana che vedranno la luce in seguito, come quello monumentale sulla Ideologia tedesca scritto con Engels ed Hess e destinato, come è noto, alla critica dei topi.
Questa premessa di Marx è nello stato di un appunto quasi informe ed occorre leggervi con sagacia. Egli ha questa frase: non vuole confondere la critica diretta contro la speculazione con la critica dei diversi argomenti. Nella seconda categoria al­lude evidentemente ad esposizioni di fatti economici so­ciali e storici cui procederà come lavoro della sua nuova nascente scuola, nella prima alle fiere rampogne rivolte ai Bauer, Stirner, Vogt e simili contro le presuntuose derisioni dei quali difende il solo successore serio di Hegel che per lui era Feuerbach, che compie il passo dall'idealismo al materialismo, facendo, solo, più e meglio di Hegel, sebbene in forma ancora incompleta.
Per chiarire questo passaggio storico teorico ricorriamo al paragone con la polemica, che abbiamo citata in altro campo re­centemente, tra Galileo ed i peripatetici. Innovatore quanto Marx, e quanto lui polemista formidabile, Gali­leo tiene di fronte ai suoi contraddittori una posizione duplice. Da una parte si sforza di spianare ad essi la via verso nuovi argomenti di cui li sa di­giuni, come l'astronomia la cinematica e la dinamica. Nel dialogo (peccato che Marx abbia bruciato il suo Cleantes in cui narra di avere trattato di scienza della natura e del pensiero) l'autore è Salviati, il buon apprenditore delle nuove scienze Sa­gredo, il timido rimasticatore del verbo aristotelico Simpli­cio. Quando Salviati si rivolge a Sagredo gli apre le vie del nuovo metodo sperimentale. Ma quando si rivolge a Simplicio che sa solo speculare, ossia masticare i sacri testi, gli fa quel tale di­scorso che lo mette a terra. Tu non sai fare la critica della os­servazione sensoriale del mondo esterno, e credi di ar­rivare prima col logo che credi di avere nella testa. Ebbene io accetto di ma­neggiare non l'esperienza ma la ginnastica mentale del tuo logos e ti dimostro lo stesso che tu leggi in Aristotile - che fesso non fu - una piramidale fesseria.
Marx, questo boxeur del muscolo cervello, si offre lo stesso sollazzo, ma non vuole confondere i due piani dell'argomentare. Per noi, suoi seguaci proletari e comunisti, tratta gli argomenti del mondo reale fisico, naturale umano, avendo per sempre de­posto ogni misticismo idealistico. Per i Simplicii che stavano ad Aristotile come Bauer e soci ad Hegel egli accetta la loro arma. Questa è la "speculazione", il lavoro nella testa sapiente, la cecità al vero fisico e la introspezione nelle profondità tenebrose del cerebro cogi­tante. Ebbene, dirà il nerboruto Carlo, accetto la sfida con l'arma scelta da voi, e sul terreno della speculazione, del metodo di Hegel e anche del fraseg­giare hegeliano, non mi sarà difficile ridurvi a fantocci spagliati. Ma questa esercita­zione in cui per necessità polemica il lazzo satiresco sarà fre­quente e acerbo, la voglio tenere distinta dal lavoro della dot­trina del partito, a cui nulla preme se seguitate a spremervi nel­l'onanismo speculativo.
Una sola citazione, dall'Ideologia tedesca, Parte Terza, con­tro Sancio (Max Stirner): "La filosofia e lo studio del mondo reale stanno tra loro come l'onanismo e l'amore sessuale". Anche nelle parolacce, non siamo arricchitori!
I manoscritti economico-filosofici tuttavia si chiudono col capitolo "Critica della dialettica hegeliana". Esso va letto con circospezione e vi si troverà sotto la specie di un impiego intel­ligente del formulario di Hegel, la definitiva ed inappellabile condanna del suo sistema.
Gli eterni enigmi


Tuttavia anche nella parte economico-sociale, dopo la de­scrizione del comunismo pieno, prima della fine del capitolo su Proprietà privata e comuni­smo, vi sono brani che si riferiscono al problema filosofico, o meglio alla uscita dalla problematica tradizionale del filosofare.
Siamo nei passi che fanno seguito a quello sulla scienza non personale ma sociale. E siamo già in piena demolizione dell'he­gelismo. Per Hegel dopo una tortuosa deduzione dall'autoco­scienza del singolo si giungerebbe alla "coscienza universale". Tutto il capitolo finale sarà diretto a smantellare il vertice della iridescente piramide idealista e chiuderà con due citazioni della Enciclopedia perché ne risalti l'assurdità, fino al famoso afori­sma: "L'Assoluto è lo spirito, questa è la suprema definizione dell'Assoluto". Che vuol dire as­soluto? Vuol dire sciolto da, o quell'aggettivo sostantivato dice che la pretesa suprema conqui­sta è sciolta da ogni base fisica e naturale. La intuizione ge­niale fece dire ad Hegel, come rivoluzionario del pensiero, che ogni reale è razionale e ogni razionale è reale, ma il conformista pro­fessore prussiano finì nello spiritualismo più mistico ed irreale. Invece di intendere che l'uomo non cerca l'assoluto perché non è rintracciabile "allacciabile", pretese che nella sua persona pro­fessionale lo aveva trovato una volta per sempre, e la ricerca era finita!
Qui Marx contrappone alla coscienza universale nel senso di Hegel, che "al giorno d'oggi è un'astrazione della vita reale e come tale si contrappone in forma ostile alla vita", la conquista che l'uomo fa col suo ritorno ad uomo sociale che lo riscatta dalla alienazione infame dovuta alla proprietà privata. "La mia coscienza universale non è altro che la forma teoretica di ciò di cui la comunità reale, l'essere sociale, è la forma vivente". La pa­rola teoretica non ha nulla più di mistico e metafisico. La realtà e la vita della natura e della umana specie sono fatti fisici, e la loro impronta, fatto anche fisico, nel cer­vello non più indivi­duale ma sociale, è la teoria.
L'idea pretende di essere stata data prima del fatto. La teo­ria si dà dopo i fatti, come soprastruttura di essi. Ecco il mate­rialismo storico.
Segue nel testo la tesi che non vi sarà più motivo di distin­guere tra la vita individuale dell'uomo e la sua vita generica, ossia di specie. La coscienza del singolo, antico filosofema, è stata tolta di mezzo. "Con la coscienza di specie (Gattungsbewusstsein va tradotto così e non coscienza del genere, che è una stalinata del genere...) l'uomo constata la sua reale vita di società, e non fa altro che ripetere la sua esistenza nel suo pensiero, come inversamente l'es­sere di specie si constata nella coscienza di specie, e nella sua generalità, come essere che pensa; ha esistenza reale" (così traduciamo fuer sich ist).
Si svolge la completa abolizione della persona singola, so­prattutto come soggetto di attività pensante. L'Uomo, per quanto sia un individuo partico­lare... è tuttavia la totalità, la ideale totalità, la soggettiva esistenza della società che essa stessa pensa e sente".
Siamo sulla soglia della caduta degli eterni enigmi e contra­sti. "Pensiero ed essere sono dunque distinti, ma nello stesso tempo, sono in Unità tra di loro (in Einheit è molto più forte che uniti, come nella versione a.u.k.).
Una millenaria contraddizione è sciolta. Si deve ipotizzare prima la re­altà, l'essere, o prima il pensiero? Se vi era realtà senza pensiero, chi ne sa­peva nulla? Vecchio trucco che appro­dava a detronizzare l'uomo ed intro­durre sua santità il Padre­terno, o il professore Assoluto Spirito; che ne resta ormai?
Oggi vi si rimedia colle popolazioni di esseri astrali che avrebbero pen­sato prima della nostra umanità, che forse non ne captò i radiomessaggi...
Sembra venuto il momento di togliere di mezzo un altro im­broglio duali­sta, che tormentava il buon Simplicio, quello tra il nous e l'aistesis greci, la mente e il senso. Ricordate? L'occhio mi dice che il bastone nell'acqua è spezzato, ma dico che non lo è perché la mente me lo chiarisce. Il senso in­ganna, il pensiero trova la verità. Ma era il pensiero, o il senso di un altro uomo che guarda nell'acqua o il mio stesso altro senso, il tatto? Ora vedremo che dopo avere stabilito che la ragione non è dote per­sonale ma sociale, fa­remo lo stesso anche del senso e dell'espe­rienza.
Che il senso fosse individuale era una illusione stupida de­terminata dal rapporto storico della proprietà privata. Ecco che economia e storia ci ser­vono ad uscire dai vecchi trucchi filoso­fici!
 "La proprietà privata ci ha resi così ottusi ed unilaterali che un oggetto è considerato nostro solo quando lo abbiamo (non quando lo sentiamo) e quindi quando esso esiste per noi come capitale o è da noi immediatamente (oh di­sgraziati immediatisti) posseduto, mangiato, bevuto, portato sul nostro corpo, abitato etc., in breve quando viene da noi utilizzato... Al posto di tutti i sensi fisici e spirituali è quindi subentrata la semplice aliena­zione di tutti questi sensi, il senso dell'avere". Marx potrebbe ri­chiamare il suo termometro ses­suale e dire che per la psicologia borghese non è gioia quando si ama una donna ma quando la si possiede!
Ma dopo la soppressione della proprietà privata, nel comuni­smo, "l'uomo si appropria del suo essere onnilaterale in maniera onnilaterale, e quindi come uomo totale. Tutti i rapporti umani che l'uomo ha col mondo, e quindi vedere, udire, odorare, gu­stare, toccare, pensare, intuire, sentire, volere, agire, amare, in breve tutti gli organi che costituiscono la sua individualità, come gli organi che sono nella loro forma immediatamente or­gani comuni, sono nel loro oggettivo comportarsi, ovvero nel loro comportarsi verso l'og­getto, l'appropriazione di questo, per la effettualità umana; il loro rapporto con l'oggetto è la consta­tazione della effettualità umana. Questa manifesta­zione è tanto multipla quanto le determinazioni e le attività umane, l'agire ed il patire (altro classico contrasto) dell'uomo, perché le soffe­renze prese nel senso umano sono un godimento proprio del­l'uomo.
Giù la personalità: ecco la chiave

 

Tutti questi mirabili risultati, che apporterà la rivoluzione comunista e che sono intuiti nella dottrina del comunismo, per­fetta dal 1844, tutti questi sciogli­menti di enigmi "esplosi nella storia una volta per sempre", si rendono possi­bili nel loro me­raviglioso effetto per la uscita dal millenario inganno dell'indi­viduo solo di faccia al mondo naturale, stupidamente detto dai filosofi esterno. Esterno a che? Esterno all'Io, questo supremo deficiente; ma esterno alla specie umana non è più lecito dire, perché l'Uomo specie è interno alla na­tura stessa, è parte del mondo fisico.
Testé nella splendida espressione che una manifestazione massima del­l'uomo, la più alta, è il patire, ché se non soffrisse non conoscerebbe la gioia a cui è proteso nella vita e nella sto­ria, è stata tolta di mezzo la base stessa di tutte le "grammatiche", ossia l'attivo e il passivo, il soggetto e il com­plemento oggetto. Altrove dice Marx che i filosofi hanno per­fino fatto soggetti di tutti i predicati. La filosofia da migliaia di anni sgrammatica, accecata dalla follia di tutto riferire all'Ego, questo stolto fantasma.
In questo testo possente l'oggetto e il soggetto divengono, come l'uomo e la natura, una cosa stessa. Anzi tutto è natura, tutto è oggetto; l'uomo sog­getto, l'uomo "contro natura" sparisce, con la illusione dell'io singolo.
Questo è dato leggere in queste pagine, tanto più grandi in quanto è evi­dente la frettolosità rivelatrice (per noi non vi è più creazione se non la pas­sione) con cui una forza determinatrice ha costretto a stenderle.
Abbiamo visto che quando da singolo diventa di specie, lo spirito, povero assoluto, si va a dissolvere nella natura oggettiva. Ai cervelli singoli, misere macchinette passive, abbiamo sosti­tuito il cervello sociale. Di più, Marx ha superato i sensi corpo­rali, singoli, nel senso umano, collettivo.
"La soppressione della proprietà privata rappresenta quindi la completa emancipazione di tutti i sensi e di tutte le facoltà umane; ed è una tale emanci­pazione, proprio in quanto quei sensi e quelle facoltà, sia soggettivamente che oggettivamente, sono divenuti umani. L'occhio è divenuto occhio umano, come il suo oggetto è diventato un oggetto sociale, umano, svolgentesi dal­l'uomo per l'uomo". Non occorre più notare che questo uomo grammatical­mente singolare sta per la unitaria pluralità degli uomini, la umanità, la specie sociale (quando libera dalla peste proprietaria). Anche il singolare e il plurale dei grammatici sono travolti dall'onda rivoluzionaria.
"Perciò i sensi sono diventati immediatamente, nella loro prassi, dei teo­rici". Perciò, perché non più sensi soggettivi, per­sonali. O peripatetico Sim­plicio, eccoti il ponte che ha colmato l'aristotelico abisso tra il senso e la mente!
"Il bisogno e il godimento hanno perciò perduta la loro na­tura egoistica (corsivo di Marx, che ogni tanto ci scavalca), e la natura ha perduta la sua mera utilità, da quando l'utile (del pri­vato singolo ceffo) è divenuto l'utile umano".
"Parimenti i sensi e lo spirito degli altri uomini (nel testo: dell'altro uomo) sono diventati la mia propria appropriazione. Oltre questi organi immediati (immediato vale individuale; per­ciò immediatismo vale anticomunismo) si formano quindi organi sociali, nella forma della società". Leggi: impersonali.
"S'intende che l'occhio umano (collettivo) gode in modo di­verso dall'oc­chio rozzo, inumano, l'orecchio umano in modo di­verso dall'orecchio rozzo, etc.".
Come può godere da occhio umano quello soggettivo dell'o­peraio che si vede gettare in mano poca moneta, l'orecchio che ne ode il suono schiaviz­zante? Salario e moneta inchiodano l'oc­chio e l'orecchio, perciò lo spirito, alla disumana rozzezza, che vige in Russia. Il testo con il suo eccetera è volato su altre sommità; noi abbiamo concluso come l'oggi determina.

Altri ponti su abissi
 

 

"Si vede come il soggettivismo e l'oggettivismo, lo spirituali­smo e il mate­rialismo, l'agire ed il patire, per la prima volta nello stato sociale (il comunismo: programma della società co­munista) perdano la loro opposizione, e quindi perdano la loro esistenza fatta solo di tale contrapposizione. Si vede come lo scioglimento delle opposizioni teoretiche sia possibile soltanto in una maniera pratica, solo a mezzo della energia pratica degli uomini (solo con la rivolu­zione), e come questa soluzione non sia per nulla un compito della cono­scenza sola, ma sia anche un compito effettivo della vita, che la filosofia non poté sciogliere, proprio perché essa intendeva questo compito soltanto come compito teoretico".
Il miracolo non avviene ogni qual volta un soggettivo indivi­duo, la cui sterilità isolata è fuori di dubbio (si chiamasse egli Marx Carlo) svolge la prassi di far vibrare le proprie natiche (sus valientes pasadoras di Sancho Max Stir­ner, l'Unico). La tesi si può scrivere così: una sola pratica umana è immedia­tamente teoria: la rivoluzione. La conoscenza umana avanza per rivolu­zione. La conoscenza umana avanza per rivoluzioni sociali. Il resto è silenzio.
Si tratta infine di togliere di mezzo Dio, ma non per accen­dere i moccoli, che erano sui suoi altari, dentro l'ignobile ricet­tacolo della scatola cranica del pensatore. La saldatura unitaria tra uomo e natura ha abolito ogni dualismo, ogni inessenzialità tra uomo e natura, tra spirito e mondo. Per effetto della tradi­zione del passato proprietario, non è facile liberarsi della do­manda: poi­ché la natura ha avuto un corso prima dell'uomo, la sua origine non si può spiegare senza un Creatore.
Il nostro ateismo non ha nulla di comune con quello a cui pervennero gli idealisti borghesi immanentisti, che noi ridu­ciamo a vuoti trascendenti.
"Dal momento che la essenzialità dell'uomo e della natura è diventata praticamente sensibile e visibile (col superare l'in­ganno dualista di due es­senze non comparabili, quella dello spirito e del mondo materiale), dal mo­mento che è diventato praticamente visibile e sensibile l'uomo per l'uomo, come esi­stenza della natura, e la natura per l'uomo, come esistenza del­l'uomo, è diventato praticamente improponibile il problema di un essere estraneo, superiore alla natura e all'uomo, dato che questo problema implica la inessenzialità della natura e del­l'uomo".
Nella proprietà privata, occorse dirsi atei per assumere che esisteva l'uomo, affare diverso dalla materia naturale. Rimesso l'uomo nella natura come sua parte integrante, ci sono diventati tanto inutili la religione, che af­ferma Dio, quanto l'ateismo che lo nega. In pensione Dio, e la sua Nega­zione!
Con entrambi, dal 1844, in pensione Hegel.

 

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°15-16-17-18 - 1959)

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