DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Un po' meno di un anno fa, la tragedia si abbatteva sulla miniera toscana di Ribolla; oggi siamo a quella di Spoleto. Poiché - a dispetto dei cercatori di novità - le situazioni non temono di ripetersi periodicamente, non temiamo di ripeterci neppure noi, riproducendo l'articolo che allora pubblicammo - mentre la demagogia si gettava sui cadaveri degli operai -, per denunziare le responsabilità non di singoli individui o ditte, ma del sistema che tutti i nostri «uomini politici» concordano nel difendere. Con le prime notizie della sciagura che ha ucciso quaranta due lavoratori nella tenebra, nel soffoco e nel fango del lavoro estrattivo, si sono diffuse le descrizioni della miniera di lignite toscana. Nelle prime notizie, nelle primissime date senza ancora pensare ad effetti spregevoli di partito, tutti lo hanno detto: la vecchia miniera male attrezzata e ormai prossima ad esaurirsi e tale da non meritare la spesa di un modernamento di installazioni doveva andare in disarmo. Ma sarebbe stata la disoccupazione e la fame per il piccolo paese di Ribolla che non aveva alcuna altra risorsa economica. Quindi la miniera è rimasta aperta, e la soluzione degna dei principii che reggono il sistema capitalistico: è un fatto che i morti non mangiano. Un'altra fabbrica, ad esempio, che facesse per ogni unità lavorativa cento di prodotto invece di mille sarebbe stata chiusa da decenni, ma la miniera era aperta. I procedimenti erano quelli di secoli fa, e quelli che le descrizioni dell'ottocento attribuiscono alle miniere inglesi e francesi di combustibili fossili. Mentre queste si vanno liberando di tali procedimenti grazie a moderni impianti di sicurezza, i nostri impianti italiani invece peggiorano. Ma ciò è conseguenza diretta delle leggi economiche del capitalismo. Altri e più importanti paesi sono anzitutto ricchi nel sottosuolo di minerali di qualità e di potenza calorifica molto più alta: noi siamo ridotti alla lignite, e alla torba perfino, e ad adoperare miniere di fertilità deteriore. Esse regolano bene il prezzo internazionale, e tengono su quello dell'antracite, che ci farà passare il pool del carbone, il rentier della coltivazione europea dei combustibili e dei minerali, nido caldo del sopraprofitto capitalista sulle materie prime della morte militare e civile. I combustibili che si scavano dalle viscere della terra derivano dalla digestione geologica di vegetali, di savane e foreste. Sono più o meno ricchi di carbonio e di varia potenza calorifica. Si classificano all'ingrosso in torbe, ligniti, litantraci e antraciti. Gli ultimi sono i ricchi carboni fossili che in gran parte vengono da Inghilterra, Stati Uniti, Sud Africa, ecc. In Italia ve n'è poca dotazione: il fabbisogno totale è tra 12 e 15 milioni annui di tonnellate, la produzione, oggi, di appena due miliardi. La poca antracite si estrae in Val d'Aosta e nella sarda barbagia. Quantità ancora minori di litantrace nel Friuli e nell' Iglesiente. L'antracite delle ottime miniere istriane dell'Arsa è perduta dopo la guerra. Il grosso è lignite sarda, umbra del Valdarno e del grossetano; dei vari tipi, dai più ricchi (picea, xiloide) ai più magri (torbosa). Il carbone «Sulcis» si classificava già come una lignite ed è di basso valore. Si dice che la spesa di estrazione del carbone Sulcis, scadentissimo rispetto ai carboni fossili di importazione (in effetti, di massima, la spesa di estrazione dipende dalla massa del materiale e non dal suo potere calorifico, e deve sensibilmente essere la stessa: le difficoltà tecniche si compensano, e le miniere di combustibili più ricchi sono logicamente meglio attrezzate negli impianti di taglio, elevazione, sicurezza e quindi a lavorazione più produttiva) sia sulle 11.700 lire nette per tonnellata. Secondo le gazzette commerciali lo si esita solo a prezzi inferiori al listino e con una perdita di 4 mila lire alla tonnellata: una rendita al rovescio. Ma non vi è dubbio che alla spesa netta di capitale costante e salari (le maestranze minacciano continui scioperi vantando crediti verso le aziende) si aggiunge il profitto delle società esercenti ed anche una rendita «assoluta». E' Pantalone che la sborsa: il gioco costa allo stato italiano 4 miliardi annui. In queste assurde condizioni la produzione aumenta, l'azienda tiene scorte di montagne di questo pessimo carbone, come pare che altrettanto se ne ammonticchino nei docks di Genova di buon carbone importato in eccesso, pagato in valuta pregiata all'estero. In tutto questo quale è la bestialità potente, la demagogia economica più imbecille? Non il denunziare la rendita, il sopraprofitto, il profitto delle società capitalistiche, che si combattono solo sul terreno dell'organizzazione sociale e politica dell'intera Europa, e non con manovre mercantili e legislative, ma il reclamare che le miniere da disarmare siano tenute aperte; chiedere, pur sapendo bene che si tratta di un assurdo, che siano dotate, mentre stanno per esaurirsi, di costosi impianti di sicurezza. Questo lo chiedono i partiti «estremi» che devono fabbricare voti locali nelle elezioni, e non altro, col pagliaccesco merito della lotta contro «anche un licenziato solo». Questo lo chiedono a coro insultandosi con i primi solo per l'effetto sulla balorda platea, i capitalisti, lieti che al saldo passivo provveda a proprio carico lo Stato e naturalmente la classe lavoratrice italiana. In tutti questi movimenti balordi il mondo degli affaristi mangia soldi a palate e il mondo dei chiacchieroni parlamentari giustifica la coltivazione della più idiota delle miniere: quella della fessaggine umana. Quando il logico sviluppo delle leggi economiche del capitalismo aziendale - che sono anche in Russia matematicamente le stesse e con gli stessi fatali effetti - sbocca nella strage, non se ne trae l'occasione per svegliare nella classe proletaria il possesso della rivoluzionaria dottrina di classe, ma si cerca, con la mentalità più crassamente borghese, la «responsabilità», la colpa di questo dirigente capitalista meglio che di quello o di tutti, lo scandalo, ossigeno supremo di questa smidollata Italia postdonghiana, che nella sua sciagurata opera di amministrazione, comune nelle direttive a governi e opposizioni, ricalca dell'uomo di Dongo le istruzioni, colla sola differenza di ottenere risultati di gran lunga più coglioni. Se il capitale italiano, povera sottosezione del capitale mondiale, ma ricca di esperienza e di espedienti per storica eredità, ponesse a concorso il modo migliore per tenere la classe operaia lontana dal ritorno ad un potenziale rivoluzionario, vincerebbe da lontano il primissimo premio lo stalinismo locale, coi capilavoro delle sue manovre e del suo linguaggio, in ogni successiva occasione più platealmente, cafonescamente ruffiano. Deve credersi che glielo paghino già. E se questa fosse insinuazione, andrebbero disprezzati un poco di più.

 

Il Programma comunista, n. 6, 26 marzo - 8 aprile 1955

 

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