Il Nazismo trasformò il Primo Maggio in una festa della nazione e della razza. La democrazia l'ha trasformato in una festa statale, in un'appendice del 25 aprile in cui tutti i partiti danzano intorno all'albero della cuccagna dell'ordine costituito. Da festa dei lavoratori in ricordo di lavoratori caduti nella guerra fra le classi e a raccolta delle forze protese verso il rovesciamento di un regime grondante sangue, il Primo maggio rosso è stato capovolto in una pacifica festa di collaborazione fra le classi all'insegna del tricolore.
Mai come quest'anno, tuttavia, i termini tradizionali dell'impostazione di una giornata che per noi ha valore solo in quanto esprima e condensi una esperienza internazionale di lotta, appaiono rovesciati. Lasciando da parte le organizzazioni sindacali che partecipano alla celebrazione per dovere d'ufficio, la massima organizzazione operaia, la C.G.I.L. è impegnata più che mai nell'esecuzione di un piano di propaganda che è esplicitamente diretto al salvataggio dell'economia nazionale dalla crisi. La più aggiornata versione dell'opportunismo ha «scoperto» che l'industria nazionale è nostra, e che si difendono gli interessi proletari assicurando agli azionisti il flusso costante dei loro profitti. Dopo di aver fatto propri il più sfegatato nazionalismo e le parole più trite della difesa della «patria contro lo straniero», essa ha scoperto un nuovo... internazionalismo: quello dei mercanti, e annuncia un'era di pace basata sulla pacifica conquista dei mercati dell'Oriente (che proclama socialista) da parte degli industriali e dei commercianti onesti. Ha, seguendo l'insegnamento di Stalin, raccattato la bandiera caduta delle ideologie borghesi della «personalità umana», della costituzione, della legge, della democrazia, dell'uguaglianza di tutti i cittadini, della solidarietà nazionale. Perfino sul piano rivendicativo, a quella che Marx chiamò la rivendicazione rivoluzionaria: «abolizione del salariato!» ha sostituito una versione ancora peggiorata della parola d'ordine conservatrice: «Salario equo per giornata di lavoro equo!» trasformandola in: «Produttività massima per salario equo!». Mercanti della politica e ruffiani dell'ideologia essi adorano come unico dio la merce. Il loro Primo Maggio è il Primo Maggio degli industriali.
Frattanto, in questa democrazia da loro costruita sulle macerie di una guerra alla quale essi portarono una giustificazione ideologica e per la quale mobilitarono le migliori energie operaie, la situazione sociale smentisce tutte le parole d'ordine su cui è impiantata la propaganda ufficiale delle organizzazioni politiche e sindacali che, sfruttando un passato glorioso, raccolgono sotto le loro bandiere la maggioranza dei proletari. La ferrea legge dell' economia capitalista non perdona: nel morso della crisi, i licenziamenti seguono ai licenziamenti e le serrate alle serrate, gli orari di lavoro degli occupati si riducono, la disoccupazione dilaga con un ritmo che le affannose e grottesche manovre di tamponamento e di attenzione sviluppate dal governo non riescono a seguire. Sul piano internazionale, mentre i mercanti si dispongono ad allacciare nuovi rapporti di scambio, i proletari sono inviati a scannarsi su teatri di guerra coloniali. La collaborazione di classe è in realtà una lotta di classe a senso unico: nel senso del capitalismo contro il suo nemico ereditario incatenato.
Se, in questa atmosfera festaiola, ha per noi un senso commemorare il Primo Maggio, è proprio per ribadire la perennità della lotta di classe e l'inevitabilità che, nonostante l'opera dei pompieri al soldo della classe dominante, essa torni a fiammeggiare negli eserciti compatti del proletariato rivoluzionario: non per la difesa della Patria tricolore e dell'industria nazionale, ma per l'assalto a questi santuari della servitù del lavoro.
Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista, n. 9, 30 aprile - 13 maggio 1954)