DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Regolarmente, ogni volta che le potenze di Europa hanno avuto a che fare nelle colonie con sudditi ribelli e hanno messo mano alle armi e alle forche, la puritana America è intervenuta a dissociare la propria responsabilità dall’operato repressivo degli Stati per altre ragioni suoi alleati. Noi sappiamo benissimo che la non “ingerenza” degli Stati Uniti nelle rivolte e nelle guerre coloniali, puntigliosamente riaffermata dal Congresso e dal Governo, mira esclusivamente a favorire, senza sembrarlo, la progressiva erosione degli imperi coloniali esistenti e a scardinare, quel che conta di più, le relative aree commerciali e finanziarie. A maggior gloria del dollaro, gli imperialisti di Wall Street sono altruisticamente disposti a perdere fin l’ultimo possedimento dei colonialisti europei.

Ma sul piano ideologico, ove gli interessi brutali dell’affarismo diventano “ideali”, l’anticolonialismo programmatico della borghesia americana si riveste di nobili paludamenti concettuali. Poggia soprattutto sul bugiardo principio che la “libera” America decantata dal Prezzolini, è organicamente nemica della dominazione di una nazione su di un’altra, di una razza su di un’altra ritenuta inferiore.

Ma la realtà sociale degli Stati Uniti sta lì a dimostrare che la peggiore dominazione coloniale che esista oggi al mondo si esercita proprio all’interno dei confini dello Stato-guida del “mondo libero”, cioè proprio nel paese più civile del mondo. Indubbiamente l’infame soggezione in cui sono tenuti milioni di negri americani – non occorre dire che ad essi alludevamo – supera in crudezza e în feroce bestialità è regimi dichiaratamente coloniali.

Le condizioni di inferiorità dei negri americani sono certamente più pesanti che quelle imposte alla più primitiva di quelle popolazioni coloniali che della civiltà capitalista conoscono solo l’amaro giogo dello sfruttamento economica, essendo ancora, al di qua dello stato selvaggio o della barbarie.

I dayachi del Borneo, i pigmei delle foreste del Congo, i canachi degli arcipelaghi dell’Oceania che vivono tuttora al margine della civiltà, per le condizioni stesse della loro esistenza debbono lottare duramente contro il mondo fisico per sopravvivere.

Ma sono troppo lontani dalla “civiltà” dei bianchi per conoscerne le infamie. I lavoratori negri degli Stati Uniti, invece, che nascono e vivono nel cuore della civiltà, che poi si è edificata sul loro sudore di schiavi, non solo debbono penare in quella ripugnante forma di oppressione e di sfruttamento sociale che è il lavoro salariato, per cui le condizioni di vita del lavoratore da sole sono peggiori di quelle del selvaggio della foresta vergine; ma debbono sopportare sulle loro spalle un’altra non meno abominevole tortura: la “segregation”.

La “segregation” è l’equivalente americano del razzismo di Hitler.

Che dico!

II razzisti della esasperata borghesia tedesca, i teorici hitleriani alla Rosenberg, i ributtanti predicatori dell’odio di razza alla Streicher, gli stessi istigatori dei pogrom antiebraici che fino a quarant’anni fa insanguinarono i ghetti della Russia zarista, tutti costoro non erano, al loro tempo, che maldestri imitatori dei razzisti americani.

Diamo agli americani, cioè i borghesi americani, i primati che sono americani. Il Ku Klux Klan, la società segreta dai riti tanto mentecatti quanto feroci, che prese a terrorizzare i negri fin dalla conclusione della guerra di secessione, e tuttora mena una esistenza semi‑legale, non è seconda a nessuna organizzazione consimile né per età né per fanatica intransigenza. Le S.S. di Hitler appendevano per la gola gli ebrei ad uncini di ferro: era un genere di morte pur sempre meno straziante che il supplizio della pece e delle piume in cui gli sgherri del Ku Klux Kan invischiavano i negri ribelli al predominio bianco. La discriminazione razziale esercitata contro i negri negli Stati Uniti si chiama appunto “segregation”.

Il razzismo americano non arriva a rinchiudere i quindici milioni di negri in residenze obbligate come lo erano i ghetti del medioevo, sebbene i quartieri negri di New York e di Chicago ne tramandino onorevolmente le caratteristiche di super-affollamento e di sporcizia. Ma in un certo senso va ancora oltre: vieta ai negri l’accesso nei locali pubblici, nei mezzi di trasporto, nei teatri frequentati dai bianchi. Imprigiona i negri in un enorme ghetto dalle sbarre invisibili.

Chi tenta di evadere finisce in galera, come avviene negli Stati del Sud, in cui la discriminazione razziale, la “segregation”, è codificata in norme di legge. Senza dubbio, di tutte le condizioni di vita che il capitalismo impone ai popoli di colore soggetti, quella più amara tocca ai negri americani.

Il selvaggio della foresta equatoriale deve temere il morso del serpente velenoso o gli artigli dei felini, non conosce la prepotenza della “segregation”. Per farne l’esperienza dovrebbe chiedere ed ottenere la cittadinanza statunitense.

Nel mappamondo dominato dal capitalismo le zone della prepotenza e dell’oppressione coincidono proprio con le sfarzose metropoli della civiltà. Qualche settimana fa, la Corte suprema degli U.S.A., composta di nove membri di cui uno fu in gioventù un affiliato del Ku Klux Klan, su istanza di un gruppo di negri, ha deciso di dichiarare anti‑costituzionale la “segregation” nelle scuole. La costituzione americana concede ai negri il diritto alla istruzione scolastica, ma le prevenzioni politiche e il costume sociale vietano che scolari bianchi e negri siedano sullo stesso banco.

La sentenza della Corte suprema pone fine in linea di principio alla discriminazione razziale nelle scuole. Perché la sentenza dell’alto consesso sia applicata passeranno anni su anni, ammesso che non rimanga nel limbo delle enunciazioni ideologiche. Ma anche se la “segregation” nelle scuole cessasse di esistere oggi, ciò non cancellerebbe le infamie della borghesia capitalista americana che pretende di dirigere il mondo intero nel nome degli “immortali principi” della libertà e dell’uguaglianza, quando essa stessa tratta i negri come mai osarono fare i più feroci colonialisti della vecchia Europa.

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