DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Tra i provvedimenti adottati dal governo rivoluzionario della Comune, sorto a Parigi il 18 marzo 1871, figurò quello sulla abolizione del lavoro notturno dei fornai. A qualcuno può sembrare si tratti di episodio senza importanza. In realtà, la liberazione di una categoria di lavoratori salariati, oltremodo oppressi dalla tecnica produttiva e dagli ordinamenti sociali della produzione, traduceva in pratica il senso della rivoluzione del proletariato parigino.

Ciò che il riformismo, di vecchio o nuovo conio, di confessione socialdemocratica o staliniana, non sa concepire, è che la liberazione delle masse lavoratrici avviene al di fuori e contro il meccanismo salariale. Solo chi è schiavizzato dall’esigenze spietate di un modo di produzione che si fonda sullo sperpero pazzesco della forza di lavoro sociale, solo chi deve stare rinchiuso almeno otto ore nell’ergastolo dell’azienda essendo forzato a produrre merci che nove volte su dieci non rispondono ad alcuna utilità sociale, ma solo all’interesse della speculazione, può comprendere come persino il miglioramento salariale più alto lasci intatta la schiavitù del lavoro salariato. Il lavoratore salariato rimane un oppresso anche quando riesce a possedere il micromotore o la Ford, un oppresso dell’officina, della ’na, dell’orario di lavoro. E chi più oppresso del lavoratore del pane, del fornaio, costretto a lavorare sempre di notte ?

Abolendo il lavoro notturno dei fornai, la Comune volle significare che la rivoluzione dei lavoratori non è miserabile questione di centesimi, di aumenti di paga, di più quattrini da spendere; ma, al contrario, è radicale sovvertimento dei rapporti di produzione e delle condizioni di lavoro imposte dal feroce parassitismo capitalista. Sotto il capitalismo, il lavoro vivente è dominato e soggiogato dalla tecnica produttiva e dai rapporti di produzione. Il socialismo non potrà liquidare la macchina statale borghese se non spezzando la macchina produttiva capitalistica, se non distruggendone il malefico potere di dilapidazione della forza-lavoro sociale, sulla quale la divisione in classi si regge. Ogni ingranaggio della macchina produttiva dovrà girare, sotto il socialismo, in vista di alleviare la fatica dei produttori, fino a trasformare il lavoro in bisogno fisico, non più schiavitù economica, degli uomini. E quando, rifiutandosi di sperperare la forza-lavoro in oggetti inutili o dannosi, che oggi costituiscono la grande maggioranza delle merci capitalistiche, i produttori potranno lavorare sei, quattro, due ore, un’ora al giorno, verrà a cessare la maledizione del lavoro notturno.

Ma, ottant’anni fa, all’epoca cioè della Comune, l’abolizione del lavoro notturno dei fornai veniva a creare, ovviamente, degli inconvenienti ai consumatori. Ora non più. Oggi si confeziona negli Stati Uniti il pane congelato. Con un sistema molto semplice, il pane e prodotti affini sono congelati non appena escono dal forno. Il sapore e la freschezza restano intatti e possono essere conservati per anni interi. La stampa americana, da cui ricaviamo questa importante notizia, narra che i componenti la spedizione polare dell’Ammiraglio Byrd, tornando nell’accampamento lasciato quattro anni prima, trovarono in una baracca del pane naturalmente congelato. Fatto sgelare, il pane risultò ottimo. Oggi, a venti anni di distanza dalla scoperta, un migliaio di negozi alimentari nelle regioni orientali degli Stati Uniti vende il pane congelato, che viene spedito anche in paesi lontani come l’Italia, l’Inghilterra, la Germania e la zona del Canale di Panama.

Nelle mani dei capitalisti e dei bottegai, la nuova confezione del pane mirerà unicamente a ridurre il prezzo di produzione, eliminando lo spreco del pane raffermo. Soprattutto, sarà possibile impiantare grandissimi panifici ad alto potenziale produttivo, non più sconsigliati dalla necessità del rapido smercio del pane. Il pane invenduto potrà conservarsi in frigorifero. Ma siffatta innovazione tecnica non migliorerà le condizioni di lavoro dei fornai, i quali continueranno a lavorare otto ore difilato di giorno e di notte. D’altra parte, per molti di loro, la nuova tecnica panificatoria significherà disoccupazione e miseria.

L’invenzione della congelazione del pane arreca un altra conferma dell’assoluta razionalità del programma comunista. Quando sosteniamo che la produzione socialista permetterà di ridurre la giornata di lavoro ad un paio d’ore, i soliti fessi, che sanno tutto degli scandali del giorno o delle delizie malenkoviane, sono soliti ridere idiotamente. Poter congelare il pane e conservarlo indefinitamente, significa che è possibile non dover confezionare pane ogni giorno, ma poniamo, una volta per tutto l’anno. Non è detto che il capitalismo non vi potrà arrivare, ma lo potrà fare solo nell’ambito dei rapporti vigenti, per cui gli operai addetti alla confezione del pane continueranno a lavorare otto ore al giorno, per tutto il tempo occorrente alla fabbricazione. Nei mesi e nei giorni rimanenti o rimarranno disoccupati oppure saranno ingaggiati a produrre, giorno e notte, per un turno di almeno otto ore, in altro ramo della produzione, merci che potranno essere indifferentemente cannoni atomici, automobili di lusso, o, perché no ?, sigarette alla marijuana.
 

Da: “Il Programma Comunista” - n.7/1954

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