DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Subdoli consigli…

Una nostra assidua lettrice ci ha segnalato un inquietante comunicato affisso nel mese di marzo, a firma UIL, nella bacheca sindacale di una azienda emiliano-romagnola del settore logistica/trasporti, che pubblicizzava un incontro sul “Diritto sul lavoro”. Normale amministrazione sindacale, si direbbe… Eppure ecco la minacciosa presentazione (la riportiamo tale e quale, compresi… gli errori):

CARI COLLEGHI. L’adesione allo sciopero e su base Volontario. Chi obbliga un lavoratore a parteciparvi contro la propria Volontà compie un reato penalmente perseguibile: (Diritto Soggettivo, Art 40 della Costituzione Italiana). Inoltre il Decreto Sicurezza già in primo grado, la condanna porta l’espulsione dal territorio italiano se si è stranieri. MEDITATE GENTE”.

Come sappiamo, da una decina d’anni, buona parte dei lavoratori della logistica si è resa protagonista di vivaci e combattive lotte sindacali, risultate vittoriose proprio grazie al ricorso sistematico a scioperi che hanno costretto padroni e dirigenti a fare il conto delle perdite economiche e quindi a “concedere” quanto spettava ai lavoratori: scioperi difesi con i picchetti organizzati per ostacolare il transito dei prodotti dentro e fuori le aziende e per impedire che i lavoratori meno combattivi, quelli che fan fatica a comprendere le ragioni della lotta, siano utilizzati come crumiri. Dunque, scioperi veri e propri, sfuggiti al controllo di quelle UIL, CISL, CGIL che non solo firmano questo tipo di comunicati minacciosi aprendo così la strada ed avallando l’intervento di poliziotti e carabinieri per spezzare con la forza gli scioperi, ma sottoscrivono contratti infami e giustificano ogni provvedimento legislativo in materia di “Diritto sul lavoro”, a peggiorare ulteriormente le già pessime condizioni di lavoro. S’è trattato di lotte sindacali, sia pur minoritarie, ma durissime, che hanno reso necessaria un’organizzazione diversa e antagonista al monopolio CGIL-CISL-UIL, trovando una prima forma nel S.I. COBAS. Quest’organizzazione, però, certamente pugnace ma limitata, è ancora prigioniera ed espressione di un operaismo che fatica a considerare la necessità di una difesa economica la quale, pur partendo dalle condizioni di una (o più) azienda o di una categoria (certo combattiva, ma sempre una), si allarghi sul territorio e riunisca in un sol fascio tutti i lavoratori, sulla base di richieste e metodi comuni e unificanti.

Comunque, queste lotte hanno fatto paura e segnalato alla parte più intelligente della borghesia la forza che potrebbero sprigionare in questi tempi di crisi, quando si avvicina il momento in cui la borghesia “non è capace di dominare, perché non è capace di garantire l’esistenza al proprio schiavo neppure entro la propria schiavitù, perché è costretta a lasciarlo sprofondare in una situazione nella quale, invece di essere da lui nutrita, essa è costretta a nutrirlo“ (Manifesto del Partito Comunista) – momento in cui, dunque, le risorse si vanno sempre più esaurendo, con la conseguenza di generare tensioni sociali, potenzialmente suscettibili di divenire politiche. La borghesia, attraverso il suo principale strumento di dominio (lo Stato), reagisce individuando i punti deboli per aggredirli con tutti i suoi organi e apparati. Naturalmente, in prima linea, Questure e questurini, che dello Stato traducono in pratica il monopolio della violenza e con quella intervengono con le legnate (uguali per tutti) e i fermi (riservati invece ai lavoratori più combattivi), per rompere i picchetti, nostro unico strumento per difendere lo sciopero. Poi, le Prefetture, che si rendono garanti dell’opera di ragionevole mediazione e pretendono, come prima cosa, la sospensione dello sciopero, l’unico mezzo a nostra disposizione per trattare con ragionevole forza proprio mentre la controparte è costretta a “fare i conti”, con lo svantaggio di tener ferma produzione e movimentazione delle merci. A seguire, in applicazione delle democratiche leggi dello Stato, fioccano le denunce e i procedimenti penali che, nei casi che ci riguardano, ruotano intorno ai reati di violenza privata, blocco stradale, interruzione di pubblico servizio: fantastici reati tramandati di codice in codice, da quelli in vigore nel Regno d’Italia al fascistissimo Codice Rocco passato pressochè tal quale nella “Repubblica dalla Costituzione più democratica del mondo”, a cui si è affiancata, alla fine del secolo scorso, la Legge Reale, per finire con il più recente Decreto Sicurezza. A proposito di quest’ultimo, esso riassume e contiene un paio di “aggravanti”, sollecitate dal clima di guerra al terrorismo islamico e dal razzismo xenofobico abilmente coltivati: riguardano appunto le espulsioni dei lavoratori stranieri impegnati nelle azioni di lotta. È appunto la minaccia, richiamata dall’infame comunicato riportato sopra e volto proprio a intimidire i più combattivi lavoratori “stranieri”, l’ennesima conferma che quei sindacati (a ragione, li abbiamo chiamato nazionali o tricolori) non sono diventati altro che organi dello Stato borghese per imprigionare i lavoratori e soffocare ogni pur minima potenziale resistenza allo sfruttamento padronale.

Per rafforzare le energie, le capacità e le speranze della necessaria ripresa organizzativa della lotta economica della nostra classe, riproponiamo una definizione operativa dello sciopero, tratta dal nostro opuscolo “Per la difesa intransigenza delle condizioni di vita e di lavoro dei proletari” (2008):

“‘lo sciopero è un mezzo di lotta e non un diritto’ graziosamente concesso e regolamentato dalla legge borghese: dunque, come mezzo di lotta va usato. Esso è anzi il principale mezzo di lotta che, bloccando la produzione e la distribuzione delle merci e dei servizi, paralizza la vita economica borghese e colpisce direttamente l’unica cosa cara ai padroni e ai dirigenti d’azienda: il guadagno immediato. Lo sciopero deve quindi mirare a estendersi sul territorio e durare nel tempo: deve cioè porsi l’obiettivo di causare il più pesante danno economico alla controparte e, al fine di colpire la maggior parte delle aziende (e, possibilmente, lo stato borghese) deve coinvolgere inevitabilmente i più diversi settori dei lavoratori, superando tutte le artificiose divisioni create al loro interno. Poiché lo sciopero è l’arma principale nella lotta economica del proletariato, la borghesia, conoscendone gli effetti tremendi, ha sempre tentato di bloccarne l’incisività trasformandolo in un ‘diritto civile’, che può essere regolamentato per legge o addirittura ‘temporaneamente’ sospeso, ma soprattutto introducendo una pratica di autoregolamentazione gestita dagli stessi sindacati di regime. E’ evidente che il proletariato dovrà rompere questa convivenza e collaborazione di classe con la borghesia e il suo Stato, se vorrà (e dovrà farlo) esprimere fino in fondo la sua volontà di difesa e di lotta. Organizzazione, estensione, durata e conclusione della lotta non sono contrattabili a priori con la classe avversa, ma si articolano soltanto sulla base della forza che si riesce a dispiegare. No, dunque, ad ogni limitazione imposta per legge, ma soprattutto no a una autoregolamentazione sindacale che pretenda preavvisi e informazioni sullo sciopero, la sua propaganda, la sua durata, la sua articolazione. Lo sciopero è un atto di guerra economica da cui dipendono le sorti immediate e future dei lavoratori. Non ha bisogno di ‘avvisi’: parte e si ferma solo in funzione dei risultati della lotta e del rapporto di forza esistente”.

Per concludere, riportiamo dal medesimo opuscolo un’ultima considerazione sui metodi decisionali necessari per condurre lo sciopero:

“‘la democrazia operaia’ può essere tutt’al più utilizzata come un espediente attraverso il quale una minoranza d’avanguardia può ratificare il successo di una lotta. Ben altri sono gli strumenti attraverso i quali i contenuti e i metodi della lotta rivendicativa si fanno organizzazione e azione collettiva, capaci di trascinare e coinvolgere il grosso dell’insieme dei lavoratori: sono i picchetti, il blocco delle merci, le ‘spazzolate dei crumiri’ - strumenti tutti che esulano da maggioranze quantitative, ma dimostrano, con la scienza dell’azione di classe, la qualità operativa di una ‘maggioranza’ in lotta; la forza dei lavoratori non può aspettare l’unanimità dei lavoratori, ma il suo dispiegamento organizza i lavoratori stessi in ‘maggioranza’,  trascinando i riottosi e i titubanti e perfino quelli che di lotta proprio non vorrebbero neppure sentir parlare”.

… e concrete minacce

Sempre nell’area emiliano-romagnola, a seguito della durissima vertenza (non ancora definitivamente conclusa) aperta dalle lavoratrici e dai lavoratori di Italpizza, assunti come addetti alle pulizie con i soliti sistemi di lavoro “appaltato” e “sub-appaltato”, e reclamanti – viste le effettive mansioni svolte – il sacrosanto inquadramento nella categoria degli alimentaristi e i conseguenti adeguamenti salariali e normativi, la controparte ha fatto circolare questo comunicato (vedi www.lapressa.it):

Italpizza non siede né mai siederà al tavolo con rappresentanti di organizzazioni che agiscono al di fuori della legalità. Ribadiamo l'assoluta contrarietà a dialogare con soggetti che non possono essere riconosciuti perché riuniti in un'organizzazione che non risulta firmataria di alcun contratto nazionale, oltretutto autrice di azioni prepotenti e illegali e contraria, per proprio stesso statuto, ai principi della libera impresa e del sistema economico di cui Italpizza è espressione”.

Questo comunicato parla da solo e fa il paio con quello UIL riportato sopra. Da un lato, in entrambi si invocano leggi, regolamenti, accordi, emanati e garantiti da quello Stato che, anche e proprio in queste “minuzie” di ordinaria lotta economica (accordi e vertenze che, in fin dei conti, coinvolgono al massimo – ogni volta – un paio di centinaia di lavoratori e lavoratrici), si dimostra garante e strumento dei “principi della libera impresa e del sistema economica di cui Italpizza è espressione”. Dall’altro, traspare comunque da essi la paura di una (per ora solo potenziale) “ripresa su vasta scala di un grande movimento di associazioni a contenuto economico che non solo comprenda una imponente parte del proletariato, ma che si sia scrollato di dosso la nefasta esperienza di tutta la gamma di misure riformiste di assistenza e previdenza” (dal nostro “Partito rivoluzionario e azione economica”, 1951).

Il lavoro di noi comunisti a contatto con la nostra classe, nell’azione delle sue lotte e nella durissima critica di ogni riformismo, è anche e soprattutto quello di trasformare questa ancora potenziale paura della borghesia in un vero e proprio terrore dinamico.

 

Dopo le parole, i fatti

Apprendiamo dal comunicato del SICOBAS di Modena del 9 maggio 2019 che, mentre la davvero esemplare determinazione alla lotta e nella lotta delle lavoratrici e dei lavoratori “Italpizza” ha costretto il Ministero del Lavoro a convocare a Roma quegli stessi dirigenti aziendali che ostinatamente cercavano di non riconoscere come controparte il loro combattivo sindacato, puntuali sono scoccate le saette dell’intimidazione e della provocazione mafiosa.

Nella notte tra l’8 e il 9 maggio un ”commando” misterioso e vile appicca il fuoco all’automobile parcheggiata a ridosso della porta di casa di un delegato “Italpizza” e quella stessa mattina la Procura di Modena “emette” oltre trenta denunce a carico delle lavoratrici e dei lavoratori, impegnati in quella lotta, con accuse più gravi confezionate “su misura” proprio per quelle e quelli più combattive/i.

Come sempre siamo vicini e solidali con questi/e e tutti/e i lavoratori e le lavoratrici che con coraggio lottano per loro stessi, per i loro compagni di lavoro e indirettamente, e spesso, senza essere consapevoli, per tutti i loro fratelli di classe.

Anche da questi ancor piccoli e marginali primi episodi di tenace lotta proletaria risulta evidente che ai padroni e al loro Stato si può e si deve resistere solo con la forza e l’organizzazione

 

Partito comunista internazionale

                                                                           (il programma comunista)

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