DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Il film del regista inglese Mike Leigh, Peterloo, da poche settimane sugli schermi italiani, narra fatti realmente accaduti a Manchester, culla della rivoluzione industriale, il 16 agosto 1819: una strage di lavoratori durante una manifestazione – nota da allora come “il massacro di Peterloo”. Nella storia del movimento operaio (e non solo inglese!), quei fatti – preceduti da scioperi e dimostrazioni sempre più frequenti – si collocano fra l’estinguersi del “luddismo” (il sabotaggio, l’istintiva reazione, da parte dei lavoranti a domicilio del sistema manifatturiero, all’introduzione delle prime macchine che annunciavano l’avvento del sistema di fabbrica) e l’evolvere di quelle sparse lotte operaie verso il movimento organizzato che ebbe il nome di “cartismo” (dalla “Carta” di rivendicazioni intorno a cui si coagulò): quindi, fra i primissimi anni dell’800 e gli anni ’40 – esperienze decisive che, insieme ad altre sul piano sia economico che politico e filosofico, concorreranno a formare l’humus per l’affermarsi del materialismo dialettico, del comunismo (La situazione della classe operaia in Inghilterra è del 1844, il Manifesto del partito comunista del 1848). Ma torniamo a Manchester.

Peterloo non esiste e non esisteva, sulla mappa della città. Esistevano allora i St. Peter’s Fields, un ampio spiazzo libero, nel quale era usanza riunirsi e indire comizi e riunioni all’aperto. Quel giorno d’agosto, tra le 60 e le 80mila persone si radunarono in quel luogo, per ascoltare le parole dei più noti agitatori del momento: la futura cartista Mary Fildes, il giornalista Richard Carlile, il tessitore-poeta Samuel Bamford, l’oratore radical Henry Hunt… La mobilitazione era stata indetta per protestare contro la diffusa corruzione parlamentare (sono passati due secoli…) e rivendicare il suffragio universale e ampie, profonde riforme sociali, in un’epoca – come s’è detto – di tremende condizioni di vita e di lavoro, oltre che di acute lotte operaie. I manifestanti venivano da tutta Manchester, da Salford, dalle città e cittadine di un Lancashire in piena rivoluzione industriale: uomini, donne, bambini. Di fronte a loro, un impressionante schieramento poliziesco e militare: polizie locali, agenti speciali, reparti di ussari e la Reale Artiglieria a Cavallo. A un certo punto del comizio di Hunt, dopo la rituale lettura del Riot Act, gli ussari e la cavalleria entrarono in azione con tremenda violenza: i morti accertati furono 15, fra cui un bambino di due anni e una madre di sette bimbi piccoli, i feriti fra i 400 e i 700 – cifre con ogni probabilità inferiori alla realtà. La “felice vecchia Inghilterra”… L’indignazione fu enorme, alimentata anche dai resoconti accesi del “Guardian” e di altri giornali importanti: il direttore di uno di questi coniò allora l’espressione “Peterloo”, con sarcastico riferimento alla battaglia di Waterloo di quattro anni prima, quando proprio la cavalleria e gli ussari erano stati protagonisti della vittoria sulle armate francesi di Napoleone.

Primo Ministro era allora l’odiato Lord Castlereagh, responsabile di altri eventi repressivi in Inghilterra e in Irlanda, e a tenergli bordone era l’altrettanto odiato Ministro degli Interni Lord Sidmouth. Il giovane poeta ribelle, Percy Bisshe Shelley, che si trovava in quel momento in Italia, saputo dell’eccidio, scrisse subito, di getto, un lungo poema in cui immagina un corteo di tutti i componenti del governo nascosti dietro orribili maschere sanguinarie: Castlereagh con la maschera “Assassinio”, Sidmouth con quella “Ipocrisia”, seguiti “da molte altre distruzioni/ tutte travestite, fino agli occhi,/ da vescovi, avvocati, nobili e spie”. Scandiva il poema una stanza rivolta al popolo inglese, per troppo tempo soggetto agli arbitri del potere: “Levatevi come leoni dopo il sonno/ in numero invincibile,/ gettate a terra come rugiada le catene/ che vi son cadute addosso mentre dormivate./ Siete in molti – e loro son pochi”.

Da parte sua, quando tre anni dopo Castlereagh morì pazzo e suicida, il poeta Byron scrisse un esplicito epitaffio che suonava così: “I posteri mai vedranno/ tomba più nobile di questa./ Qui giacciono le ossa di Castlereagh./ Fermati, viandante, e piscia”.

Più chiaro di così…

Partito comunista internazionale

                                                                           (il programma comunista)

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