DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Il 15 gennaio 2019 ricorre il centenario dell’uccisione dei nostri compagni Rosa e Karl a Berlino. Sono passati cent’anni da quando la “controrivoluzione preventiva borghese”, per mano della socialdemocrazia e dei suoi sgherri, si è abbattuta su di loro e sulla massa anonima che li seguiva – il primo atto della sconfitta, non solo del proletariato tedesco, ma di quello mondiale. Quella sanguinaria azione premeditata favorì il risveglio della violenza politica del trionfante bestione borghese appena uscito dai massacri di guerra, e si consumò così il sacrificio di milioni di proletari. La strada era aperta, nel quinquennio successivo, verso lo stalinismo e la sua bastarda teoria del “socialismo in un solo paese”: la mancata rivoluzione proletaria nell’Europa occidentale e lo sviluppo del capitalismo in Russia, la vittoria dell’opportunismo all’interno del partito bolscevico e dell’Internazionale Comunista e infine lo strangolamento dei partiti rivoluzionari nel mondo furono le tremende tappe di un processo controrivoluzionario che giunge fino ai nostri giorni.

Oggi, nessuna processione democratica, nessuna lacrimosa commemorazione funebre, può ricordare Rosa, Karl e gli altri militanti e proletari uccisi! Lo possono fare soltanto l’impegno rivoluzionario di noi comunisti in difesa della nostra prospettiva futura, lo schierarsi netto e senza esitazione: da una parte, il “fetido cadavere” del riformismo e dell’opportunismo e, dall’altra, la via che porta alla dittatura del proletariato come passaggio obbligato verso il futuro della nostra specie; da una parte, il riformismo e il nostalgico stalinismo di oggi e, dall’altra, il duro lavoro quotidiano perché domani s’affermi la società senza classi, il Comunismo.

In ricordo dei compagni massacrati, riportiamo alcuni degli scritti che ricordano gli avvenimenti terribili di quei giorni. Il primo, dal titolo: “Nonostante tutto!”, è dello stesso Liebknecht e fu pubblicato su Die Rote Fahne (n. 15, del 15/1/1919), il giorno stesso del massacro suo e di Rosa; il secondo, dal titolo “Nella rossa luce del sacrificio”, comparve una settimana dopo sulle pagine de Il Soviet (n. 6 del 26/1/1919); il terzo, dal titolo: “La tragedia del primo dopo guerra proletario tedesco”, è tratto dal “Rapporto alla Riunione Generale del 12-13 febbraio 1972” pubblicato su Il Programma Comunista (nn.13, 14, 15, 16, 17, 20 del 1972). Nelle rispettive note a piè di pagina i necessari chiarimenti e riferimenti storici.

Nonostante tutto! [1]

Tutti contro Spartaco! “Facciamo fuori gli spartachisti”, si grida nelle strade. “Arrestateli, picchiateli, sgozzateli, fucilateli, trafiggeteli, calpestateli, fateli a pezzi”! Le atrocità commesse fanno persino dimenticare quelle delle truppe tedesche in Belgio.

“Spartaco è stato sconfitto”! Questo è il grido di trionfo dei giornali, dal Post al Vorwärts. “Spartaco è stato sconfitto”! e a suggellare la sua sconfitta stanno da un lato le sciabole, le pistole, i fucili della vecchia polizia tedesca ricostituita, dall’altro gli operai disarmati. “Spartaco è stato battuto!” Le elezioni per l’Assemblea nazionale – vero plebiscito per Napoleone-Ebert – si terranno tra lo scintillio delle baionette del colonnello Reinhard o sotto il tiro delle mitragliatrici e dei cannoni del generale Lüttwitz.

“Spartaco è vinto”. E’ vero! Ma vinti sono stati gli operai rivoluzionari di Berlino! Centinaia tra i migliori assassinati, centinaia tra i più fedeli incarcerati, questa l’amara verità!

 “Spartaco è vinto”. E’ vero! Ma vinti sono stati gli operai rivoluzionari di Berlino! Centinaia tra i migliori assassinati, centinaia tra i più fedeli incarcerati, questa l’amara verità!

Essi sono stati sconfitti, certo, ma perché sono stati abbandonati dai marinai, dai soldati, dalle truppe di sicurezza, dalla milizia popolare, sull’aiuto dei quali avevano fortemente contato. E la loro forza è stata paralizzata dall’indecisione e dalla codardia dei loro capi. E infine, a sommergerli, è venuta l’immane, mostruosa marea controrivoluzionaria formata dai residui strati del popolo e dalle classi dominanti.

Sono stati sconfitti, è vero. Ma è stata un a necessità storica. I tempi non erano ancora maturi. Eppure la lotta era inevitabile, poiché abbandonare senza lotta a Eugen Ernst e a Hirsch il presidio della polizia, questo palladio della rivoluzione, sarebbe stata una sconfitta vergognosa. La lotta è stata imposta al proletariato dalla banda di Ebert ed è sorta spontanea, al di là di ogni dubbio e di ogni indugio, dalle masse berlinesi. Sì! Gli operai rivoluzionari di Berlino sono stati sconfitti. E gli Ebert, Scheidemann, Noske hanno vinto, ma perché al loro fianco sono accorsi generali, burocrati, gli Junker delle ciminiere e degli aratri, la Chiesa e la Borsa, perché essi hanno fatto appello a tutto ciò che vi è di più retrivo, di più decadente e di più corrotto. E hanno vinto grazie alle mitragliatrici, alle bombe a gas e ai mortai di quella congrega. Ma vi sono sconfitte che sono vittorie e vittorie più disastrose delle sconfitte.

I vinti della settimana di gennaio si sono comportati gloriosamente; essi hanno lottato per la causa più grande e più nobile dell’umanità sofferente, per la liberazione morale e materiale delle masse diseredate; Hanno versato il loro sangue per tutto ciò che è sacro, e in questo modo lo hanno consacrato. E da ogni goccia di sangue di questa stirpe maledetta sorgerà un vendicatore per i caduti di oggi, da ogni membro straziato nuovi combattenti per la nobile causa, infinita come il firmamento.

I vinti di oggi saranno i vincitori di domani. […]

Il calvario della classe operaia tedesca non è ancora terminato ma già si avvicina l’ora della riscossa. E vicino è pure il giorno del giudizio per gli Ebert, Scheidemann, Noske, per i dominatori capitalisti che ancora oggi si nascondono alle loro spalle. La storia è fatta di flussi e riflussi. Seppur sbattuta dalle onde di un mare burrascoso, la nostra barca mantiene la sua rotta e si avvia fiera alla meta. E se noi non vivremo più quando questa sarà raggiunta, vivrà il nostro programma. Un mondo di uomini liberi reggerà le sorti della umanità. Nonostante tutto!

Die Rote Fahne, n.15 del 15/1/1919

***

Nella rossa luce del sacrificio [2]

Nel numero scorso noi non volemmo fare alcun accenno all'orrendo misfatto perpetrato in Germania dalla sogghignante reazione. Vi era ancora qualche elemento di dubbio nelle notizie, v'era ancora qualche possibilità che l'obbrobriosa tragedia fosse soltanto il parto della sinistra fantasia torquemadesca delle eleganti iene di giornalisti del capitalismo...

Purtroppo la realtà ha superato, nella sua atroce attuazione, ogni più raffinata e sadica fantasia di aguzzino. Carlo Liebknecht e Rosa Luxemburg sono stati esposti, con barbara gioia di vendetta, agli insulti della plebaglia incosciente, ubriacata di menzogne, probabilmente venduta; sono stati colpiti, martoriati, assassinati vilmente, i loro corpi esanimi oltraggiati, dati in balia all'odio torvo di abbrutiti delinquenti.

Che i proletari non dimentichino mai questo scempio! Che quella data, quei nomi, quei particolari raccapriccianti si figgano bene nella loro memoria e nel loro cuore, per il giorno augusto  della vendetta!

Il giornale dei rinnegati del social-nazionalismo tedesco, il degenere «Vorwärts!», aveva ben compiuto la sua opera infame di pervertimento sanguinario, di eccitamento delle più basse passioni plebee. Il foglio, che non aveva mai trovato niente da ridire quando il Kaiser, il Kronprinz [Principe ereditario – NdR] e Ludendorff, e Hindenburg, mandavano avanti al macello, negli insanguinati campi di Francia, milioni di proletari, ed essi stavano bene addietro, ben al riparo, nei loro comodi quartieri generali, a ubriacarsi di champagne rubato con femmine da conio [prostitute d’alto bordo – NdR]; aveva però subito trovato il motivo della satira e della sobillazione contro Carlo e Rosa, che non erano fra i cento morti proletari della settimana rossa, come i suoi redattori tirapiedi della reazione borghese e militarista avevano bramato.

Ma l'odio di coloro che nella vita intemerata dei due grandi agitatori, nella coerenza ferrea della loro condotta, nella rigidità mai smentita dalle loro convinzioni e della loro azione, vedevano con rabbia una rampogna permanente al proprio subdolo asservimento passato al kaiserismo, fu finalmente soddisfatto.

Carlo e Rosa, gli assertori incrollabili del diritto integrale del proletariato, gli oppositori irreconciliabili di ogni patteggiamento degli sfruttati con gli sfruttatori, gli apostoli della nuova società comunista ed egualitaria caddero, idealmente consociati anche nel nobilissimo martirio come già nella vita d'azione.

E i profanatori del socialismo, gli Ebert, gli Scheidemann, i Noske, esultano, e la loro esultanza traspare dai contorcimenti ipocriti con cui cercano di ostentare dolore e riprovazione, e dietro loro esultano ancora più i militaristi, quei generali che ridiventano d'un tratto, come nell'agosto 1914, i salvatori della patria, quegli ufficiali che di nuovo spadroneggiano, chiodati e spallinati, per le vie di Berlino, come negli aurei tempi di Guglielmo e della Tavola Rotonda, a insultare e malmenare i passanti, a oltraggiare e... accarezzare le donne, a fucilare nelle caserme i proletari ribelli.

E, dietro loro, s'ode già il cachinno [sghignazzo – NdR] beffardo del capitalista, del junker che potrà ancora derubare e bastonare i contadini del suo latifondo, dell'industriale liberato dal pericolo di dover lasciare all'operaio l'intero frutto del lavoro, del commerciante abilitato a continuare la sua nobile operazione di rubare al produttore e al consumatore, del rentier esentato dall'obbligo di lavorare anch'egli per mangiare...

Il governo ha vinto, con le baionette della guardia bianca. Ma vi sono vittorie che disonorano, e sconfitte che preparano le vie dell'avvenire!

I maggioritari tedeschi non potranno godere con gioia il frutto della vittoria, pagata col sangue proletario e con la vita dei due più strenui e convinti difensori del diritto proletario in Germania. Essi, armando a difesa del loro potere, truffato alla Rivoluzione, i borghesi, gli ufficiali, gli studenti, i soldati reduci appena da quattro anni di stenti indicibili e desiderosi di riposo ad ogni costo, hanno segnato la sentenza della propria morte politica. Essi già sono prigionieri della reazione, e alla reazione borghese militare, capitalista dovranno cedere il posto e consegnare la direzione dello Stato.

Quel giorno, la colossale frode politica da loro commessa a danno della rivoluzione, del socialismo, del proletariato, diventerà evidente anche agli occhi di quella parte del proletariato tedesco che ancora non s'è risvegliato dagli effetti del narcotico patriottardo propinatogli profusamente dai borghesi e dai maggioritari nei quattro anni di guerra.

Quel giorno, il proletariato vedrà e saprà. E sarà il giorno dell'apoteosi immancabile di Carlo Liebknecht e di Rosa Luxemburg, sarà il trionfo di Spartaco!

Noi lo aspettiamo con sicura fiducia. Non passerà molto che il proletariato tedesco si accorgerà della stoltezza commessa cedendo, per il piatto di lenticchie dell'ordine e della generosità delle borghesie vittoriose, la primogenitura della sua totale e definitiva emancipazione dal capitalismo indigeno e straniero. Né sarà tardi, perché nessuna forza può ormai arrestare la rivoluzione proletaria nel mondo, e perché il proletariato tedesco è una forza troppo gigantesca perché, diventata conscia di sé, la si possa contenere con le pastoie parlamentari e costituenti.

Allora, Carlo Liebknecht e Rosa Luxemburg copriranno il mondo rinnovato colla loro ombra gigantesca e riceveranno il culto degli eroi e dei precursori dai cuori fedeli dei proletari di tutto il mondo.

Spartaco lo ha detto poco prima di morire: «La vittoria sarà nostra perché Spartacus significa fuoco e spirito, anima e cuore, violenta azione della Rivoluzione proletaria. Spartacus significa tutte le miserie, tutto il desiderio di felicità dei proletariato. Significa il socialismo, la rivoluzione mondiale».

Perciò noi, sebbene addolorati e frementi dello scempio fatto dei due apostoli dei comunismo, accettiamo il loro destino. Ogni idea, prima di trionfare, deve essere nobilitata dal sacrificio dei suoi primi e più generosi assertori; ogni religione – e il socialismo è la religione dell'età nuova – vuole i suoi martiri.

Ieri essi si chiamavano Cristo, Huss, Giordano Bruno. Oggi si chiamano Jaurès, Liebknecht, Luxemburg. Gli uni e gli altri caddero per la loro fede. Ma passarono i carnefici e trionfò il cristianesimo, la riforma protestante, il libero pensiero. E passeranno gli assassini di oggi, cedendo il passo alle nuove genti, libere, eguali, affratellate in tutto il mondo, che in ogni ora della loro vita divenuta finalmente lieta ed amata leveranno un commosso pensiero di memoria di riconoscenza alle due grandi figure, il cui sacrificio avrà preparata la loro felicità, a Carlo Liebknecht e Rosa Luxemburg.

          Il Soviet, n.6 del 26/1/1919

***

 

Da “La tragedia del primo dopoguerra proletario tedesco” [3]

In rapporti tenuti nel corso di precedenti riunioni generali di cui è stato purtroppo impossibile pubblicare il resoconto esteso, si è cercato di ripercorrere il drammatico ciclo storico attraverso il quale la socialdemocrazia tedesca – non in quanto “tedesca” ma in quanto parte della socialdemocrazia internazionale – esercitò nell’epicentro europeo della lotta fra le classi la funzione di “aguzzino del proletariato rivoluzionario”: nella sua ala maggioritaria, come esecutore diretto; nella sua ala indipendente come “aiutante del boia”, tanto più infame quanto più gesuitico e ammantato di presunta “ortodossia” marxista.

Lo si è fatto non per lusso storiografico, ma per trarre dagli avvenimenti stessi la decisiva conferma di una tesi che ha sempre guidato la Sinistra, alla direzione del PC d’Italia come in seno all’Internazionale, nella sua lotta contro i cedimenti al feticcio dell’“unità operaia”, e, prima ancora, contro le fallaci manovre tattiche esperite nell’illusione di guadagnare alla causa del comunismo l’apporto numerico di forze meno esigue di quelle che la situazione creata dalla fine del primo  massacro mondiale permetteva di spostare sul terreno, magnificamente preparato dall’Ottobre bolscevico, della preparazione alla conquista rivoluzionaria del potere e dell’esercizio ad opera del partito della dittatura proletaria nel lungo e tormentato percorso della guerra civile, del terrore, degli interventi dispotici nell’economia, verso la società socialista.

Questa tesi, abbiamo più volte ricordato, trovò la sua più lucida espressione in un articolo del febbraio 1921 intitolato appunto La funzione della socialdemocrazia, il cui nocciolo centrale è contenuto in questo brano scultoreo: “La socialdemocrazia ha una funzione specifica nel senso che vi sarà probabilmente nei paesi dell’Occidente un periodo in cui i partiti socialdemocratici saranno al governo, da soli o in collaborazione coi partiti borghesi. Ma tale intermezzo, ove il proletariato non avrà la forza di evitarlo, non rappresenterà una condizione positiva, una condizione necessaria, per l’avvento delle forme e degli istituti rivoluzionari, non sarà una utile preparazione a questi, ma costituirà un deliberato tentativo borghese per diminuire e stornare la forza di attacco del proletariato, e per batterlo spietatamente sotto la reazione bianca [fascista – NdR] se gli resterà tanta energia da osare la rivolta contro il legittimo, l’umanitario, il civile governo della socialdemocrazia”. Esortando il proletariato italiano ad accogliere ogni possibile esperimento di governo socialdemocratico – sia di “puri” riformisti, sia di coalizione tra questi ed altri partiti dichiaratamente e costituzionalmente borghesi, come fu tante volte il caso della Germania 1919-22 – “come una dichiarazione di guerra, non come il segno che una tregua si apra nella lotta di classe, che si inizi un esperimento di risoluzione pacifica dei problemi della rivoluzione”, l’articolo concludeva con il monito diretto ai proletari non di un singolo paese, ma di tutto il mondo: “E’ per questo che noi diciamo che la tattica rivoluzionaria deve basarsi su esperienze internazionali e non solo nazionali: che deve bastare lo strazio dei proletari di Ungheria, di Finlandia e di altri paesi, per risparmiare […] ai proletariati dell’Occidente la necessità di apprendere con i propri occhi, di imparare a costo del proprio sangue che cosa significhi il compito della socialdemocrazia nella storia: questa intraprenderà fatalmente la sua strada, ma i comunisti devono proporsi di sbarrargliela al più presto, e prima che essa pervenga a piantare il pugnale del tradimento nelle reni del proletariato”.

Appunto in questo spirito, e rivolgendoci soprattutto ai giovani militanti che lunghi anni separavano da quelle “esperienze” decisive, abbiamo voluto rievocare, documenti alla mano – e sono documenti che grondano sangue – , il ruolo esercitato dalla socialdemocrazia nel trascinare l’eroico proletariato centro-europeo nella carneficina mondiale, per poi – finita la guerra e instaurata la “repubblica dei consigli” con socialisti maggioritari e indipendenti al governo – , nei mesi di autentica tregenda durante i quali gli Scheidemann e i Noske sguinzagliarono i “corpi franchi” della più bieca reazione contro i “criminali spartachisti”, decapitarlo della sua avanguardia, privarlo dei suoi più combattivi militanti, gettarlo nello smarrimento e nel panico, e poggiare infine sulla “terra bruciata” di Berlino e Monaco, Amburgo e Dresda, Essen e Brema, il regno della democrazia borghese nella sua operettistica versione weimariana, senza tuttavia riuscire – sia detto a gloria del proletariato tedesco – a far sì che in lunghi mesi ed anni di battaglie ardenti lo spettro odiato della rivoluzione comunista non risollevasse ogni volta la testa, come traendo dal sangue versato energie sempre nuove.

La storia di questa “funzione storica della socialdemocrazia” è scritta a lettere di fuoco nelle vicende di quegli anni e non deve essere consentito a nessun militante rivoluzionario di ignorarla e di eluderne i terribili insegnamenti. Essa ci ricorda che proprio nell’Europa centrale del primo dopoguerra la “lezione dell’Ottobre” trovò la sua grandiosa conferma, una conferma purtroppo soltanto oggettiva, non divenuta parte integrante della coscienza del Partito e bussola del suo orientamento nel “cammino di Golgotha” (per dirla con parole della Luxemburg) lungo il quale la storia l’aveva condannato a marciare verso una vittoria che sembrava vicina ed era invece terribilmente lontana.

Ma ricordare questo bilancio storico e additarlo come bilancio definitivo per tutti i proletari di qualunque paese significa compiere solo una metà dell’opera da noi giudicata necessaria perché il partito mondiale unico del proletariato, non soltanto risorga, ma possieda fin dall’inizio le armi teoriche e pratiche indispensabili per non trovarsi impreparato al gigantesco compito, che forse ancora una volta, nell’epicentro mitteleuropeo e particolarmente tedesco, gli sarà chiesto di assolvere. Si deve cioè guardare l’altra faccia della medaglia, non più quella contrassegnata dal grugno suino di Noske-Scheidemann, ma quella che porta l’effigie eroicamente sublime di Liebknecht-Luxemburg, per capire l’altro aspetto della tragedia del primo dopoguerra proletario in Germania: il ritardo pauroso in cui non il proletariato ma la sua guida politica si trovò di fronte al maturare delle condizioni materiali e oggettive di una poderosa convulsione rivoluzionaria dalla quale i bolscevichi per primi si attendevano la salvezza delle conquiste di Ottobre e che invece passò tra terribili lutti senza nemmeno lasciare il solido filo di una tradizione cui potessero riallacciarsi le generazioni successive. Si deve insomma – e il compito è infinitamente più penoso e difficile – registrare, non per archiviarlo ma per farne carne e sangue della carne e del sangue delle generazioni rivoluzionarie presenti e venture, il bilancio delle immaturità, delle indecisioni, degli smarrimenti, da cui purtroppo nessuna delle forze politiche confluite nel Partito Comunista di Germania (Lega di Spartaco) negli ultimi giorni di dicembre 1918 e nei primi del 1919 andò esente, e che permisero alla controrivoluzione guidata dai socialdemocratici di scatenarsi con rabbia selvaggia prima ancorache una rivoluzione fosse non diciamo anche solo lontanamente “fatta”, ma “preparata” e “diretta”, nel preciso intento di prevenirla finché si era ancora in tempo, di stroncare fin dal nascere gli sforzi generosi di una classe operaia pronta a battersi per le vie e nelle piazze dal primo all’ultimo giorno non di uno ma di tre mesi, e di mettere la parola fine alle “pazzie” dei “ragazzacci Carlo e Rosa” – come diceva Kautsky scrollando la professorale testa di “sapiente” – e dei milioni di proletari anonimi che si riconoscevano istintivamente in loro.

Non ci fu una “rivoluzione tedesca” – come troppo spesso si dice – e come ripetono gli storici incapaci di vedere al di là della superficie: ci fu una sanguinosa controrivoluzione preventiva, pienamente giustificata agli occhi della classe dominante dalle eruzioni vulcaniche degli operai in tuta di lavoro o in casacca militare e resa urgente dalla sensazione, fin troppo giusta anche se irrazionale e semiconscia, che a quell’esercito in armi mancava una guida politica – o, se v’era si offriva ai colpi dell’avversario nuda e inerme. Certo, sarebbe antimarxista pretendere di spiegare con sole cause “soggettive” una tragedia di questa portata: sarebbe per lo più ingeneroso, di fronte alla luce di un martirologio che, per ampiezza e gravità, non ha forse l’eguale nella storia del movimento operaio. Ma non è una “spiegazione” che qui si tenta: è piuttosto una constatazione dolorosa – la prima può interessare gli storici, la seconda deve servire ai militanti. Anche una direzione rivoluzionaria splendidamente preparata può fallire al suo compito, se non concorrono circostanze sulle quali nessuna forza sociale, di per sé, ha un potere di controllo: quello che la storia non perdona ai partiti e alle loro dirigenze non è di essere caduti in una lotta impari, ma di essersi battuti su una trincea sbagliata, o almeno non completamente loro propria, e di non aver quindi trasmesso all’avvenire il punto d’appoggio (non diciamo il “seme”, che sa di evangelismo) di una vigorosa riscossa. Forse che l’appassionato omaggio ai comunardi vinti ha impedito a Marx di trarre dai loro errori riconosciuti e denunziati una lezione feconda per i proletari chiamati a riprendere la bandiera e condurla alla vittoria in futuro? Poiché, d’altra parte, troppi giovani in cerca di un faro nel buio della controrivoluzione stalinista frugano nella “rivoluzione mancata” del 1919-20 a Berlino per tirarne alla luce proprio gli insegnamenti negativi, portati al parossismo dai Gorter e dai Pannekoek, dal loro KAPD e dalle loro Unionen, è parte inseparabile della nostra battaglia per la riproposizione integrale del marxismo rivoluzionario la critica più spietata, ma la più obiettiva, di quell’immediatismo, di quello spontaneismo, di quell’operaismo, di quell’aziendismo, di quel “consiglismo”, che furono se non la causa prima, certo la manifestazione esteriore, l’“epifenomeno”, e in questi limiti anche una delle concause, della “tragedia proletaria tedesca”.

Il programma comunista, n° 13/1972

 

[1] “Spartakusbund” (“Lega di Spartaco”) era il nome datosi dall’organizzazione fondata già nel 1914 da Luxemburg e Liebknecht, nucleo originario del Partito Comunista di Germania, aderente alla Terza Internazionale; Ebert, Scheidemann, Noske sono i nomi dei principali leader e aguzzini politici socialdemocratici, mandanti del bagno di sangue; il Vorwärts era l’organo della socialdemocrazia tedesca.

[2] Torquemada fu il Grande Inquisitore di Spagna, nella seconda metà del ‘400; Ludendorff e Hindenburg erano alti ufficiali dell’esercito tedesco nella Prima Guerra Mondiale; Hus, teologo e professore, fu mandato al rogo dalla Chiesa nel 1415 per le sue posizioni riformatrici e la stessa fine fece, nel 1600, Giordano Bruno, filoso e matematico; Jaurès, leader socialista e antimilitarista francese, fu assassinato nel luglio 1914 da un fanatico nazionalista.

[3] Il KAPD (Partito comunista operaio di Germania) si staccò dal KPD nel 1920, su posizioni operaiste e consigliste. Suoi teorici furono Herman Gorter e Anton Pannekoek. Su KAPD, Gorter e Pannekoek vedi la nostra Storia della sinistra comunista, Vol.II.

 

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