DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Di tutte le classi che oggi fronteggiano la borghesia, solo il proletariato è una classe veramente rivoluzionaria. Le altre classi vanno in rovina e tramontano con la grande industria, il proletariato è il suo prodotto più autentico. I ceti medi, il piccolo industriale, il piccolo commerciante, l'artigiano, il contadino combattono tutti la borghesia per assicurare la loro esistenza di ceti medi contro la rovina. Non sono dunque rivoluzionari, ma conservatori. Di più, sono reazionari, tentano di far girare all’indietro la ruota della storia. Se sono rivoluzionari, lo sono in prospettiva del loro imminente passaggio al proletariato: cioè non difendono i loro interessi attuali, ma i loro interessi futuri, abbandonano il proprio punto di vista per adottare quello del proletariato”.

Manifesto del Partito Comunista (1848)

 

 

Oggi. Ha destato enorme sorpresa il cosiddetto “movimento dei gilet gialli”, sorto apparentemente dal nulla in Francia a metà novembre, che, raggiunto il suo apice nei primi di dicembre, ha poi perso energia e capacità di mobilitazione dopo le concessioni governative del 10 dicembre. La “novità” più appariscente è rappresentata dalle centinaia di migliaia di manifestanti che hanno bloccato le vie di comunicazione e il centro delle più importanti città del Paese, riuscendo a mettere in difficoltà il governo e le sue “forze dell’ordine”.

Facciamo dunque un passo indietro e ripercorriamo le vicende che hanno interessato la società francese negli ultimi anni fino all’“improvvisa” comparsa dei gilet gialli, per spiegare come essi siano l’esito di un processo ancora in atto. La prima tappa è stata la mobilitazione contro la Loi Travail, entrata in vigore nell’agosto 2016 nonostante le contestazioni dei mesi precedenti: dimostrazioni organizzate dai sindacati, scioperi generali, un movimento che nel mese di marzo 2016 ha coinvolto fra 390mila e 1,2 milioni di lavoratori nelle manifestazioni di piazza[1], di fronte al quale la borghesia francese non ha arretrato di un solo passo rispetto al peggioramento delle condizioni di lavoro. Poi, dopo l’elezione di  Macron nell’autunno 2017, una parte degli studenti si è mobilitata nelle università in opposizione alle barriere d’accesso imposte dalla borghesia francese: che, anche stavolta, non ha avuto un solo ripensamento. Infine, nella primavera 2018, c’è stata la lunga e sfiancante lotta dei ferrovieri (che abbiamo seguito e su cui abbiamo già scritto)[2], conclusasi con una sconfitta dei lavoratori.

 

Quali le classi in azione. Piuttosto che fare la cronaca degli avvenimenti recenti, reperibile sulla stampa borghese, ci interessa coglierne il significato politico e le prospettive rivoluzionarie. Il “popolo” è una massa indistinta di individui, ceti e strati sociali, con interessi contrastanti. Occorre dunque capire quali sono le classi coinvolte per cogliere le leggi storiche del movimento reale: questo è il metodo basilare del comunismo scientifico. Molti si sono chiesti chi siano i gilet gialli, ma pochi hanno dato una risposta chiara. Le analisi più approfondite sono quelle che studiano la condizione economica in Francia e la collocazione sociale dei manifestanti, nel quadro del sistema produttivo capitalistico. Leggiamo quanto scriveva al riguardo il quotidiano della Confindustria italiana:

“[In Francia] le persone a rischio di povertà ed esclusione sociale sono il 17,1% del totale, meno del 19% della Germania e del 28,9% dell’Italia. Il numero delle famiglie che raggiunge fine mese ‘con grande difficoltà’ è pari al 4,1% del totale. Non è il 2,1% della Germania, ma è comunque uno dei migliori dati di Eurolandia. Passando alle persone che raggiungono invece fine mese ‘con difficoltà’, la quota aumenta al 14%, un po’ al di sopra della media di Eurolandia, ma in flessione costante dal 16% del 2013. Dove la Francia mostra qualche segnale di stress è quando si allarga l’indagine alle famiglie che incontrano almeno ‘qualche difficoltà’. In questo caso la percentuale (39,7%), pur restando inferiore al 47,8% italiano (il secondo peggior dato di tutta l’Unione europea), è piuttosto elevata, ma anche in questo caso è in flessione (in Italia, invece, è in drammatico aumento). In Germania, la percentuale è del 9,5%. […] in Francia i prezzi degli alimentari sono aumentati dal 2010 del 10,4%, contro il 13,4% di Eurolandia, gli affitti del 5,6% contro il 12,8%, l’elettricità del 10,8% contro il 15,8% di Eurolandia (e il +23% dell’Italia). […] Il reddito mediano francese, del resto, è aumentato dal 1999 al 2017 del 2,75% annuo, contro il 2,36% tedesco e il 3,53% italiano. La metà dei francesi guadagna meno di 22.077 euro l’anno, in Germania il livello “centrale” è del 21.920 euro, in Italia di 16.542 euro” [3].

Curioso! A volte, nel descrivere certi fenomeni, i borghesi sembrano più… materialisti di noi materialisti e, involontariamente, applicano il determinismo economico, proprio mentre raccontano la favola del “fallimento del comunismo scientifico”! Ma andiamo avanti.

Anche da questa sommaria analisi, si comprende come si tratti di strati di piccola borghesia e di aristocrazia operaia in via di proletarizzazione, a cui, com’è ovvio, visto il picchiare e perdurare della crisi economica, si aggiungono anche settori proletari, oltre a una forte presenza di piccola borghesia delle fasce suburbane, delle periferie e dei piccoli centri rurali attorno alle grandi città, come ricorda Il Manifesto:

“Tuttavia, la povertà è maggiormente presente nelle città che nelle campagne: ciò è particolarmente vero nelle città-centro, dove un abitante su cinque è povero. All’altro estremo territoriale, i comuni isolati che non appartengono a un’area urbana, hanno egualmente un tasso di povertà alto (17%), ma questi comuni riuniscono solo il 4% dell’insieme della popolazione. Però non sono i più poveri tra i francesi (che, ricordiamolo, vivono al 66%% nei grandi poli urbani) che hanno infilato il gilet giallo, anche se per il momento è difficile rappresentare sociologicamente questa popolazione. Nelle testimonianze si esprime la collera di una Francia dai redditi modesti, delle classi medie inferiori e delle classi popolari, che costituisce un’ampia parte della popolazione. Il 50% della popolazione ha un livello di vita compreso tra 1.139 e 2.125 euro al mese” [4].

Così, il salario minimo è in costante diffusione fin dal 2010, e, mentre negli anni sono cresciuti i salari medi, la percentuale di lavoratori a salario basso è passata dal 6 al 9 per cento del totale dei lavoratori (Dati Eurostat).

Ecco la miscela esplosiva: stagnazione del livello di vita, crescita delle spese indispensabili per le famiglie a reddito modesto... L’aumento del prezzo della benzina, fatto passare come un “provvedimento ambientale”, è stato solo la scintilla.

Ma conoscere la composizione per classi del movimento non è sufficiente per comprenderlo appieno. Bisogna anche capire come queste diverse componenti sociali agiscano secondo i propri interessi: ricordiamoci che stiamo parlando della sesta potenza industriale nel mondo, con un’attiva politica imperialista e una forte e numerosa aristocrazia operaia. Prima del movimento dei gilet gialli il governo francese era riuscito a far passare la Loi Travail senza subire nessuna seria opposizione da parte del proletariato, grazie anche all’ingabbiamento sindacale: si comprende allora meglio come i proletari coinvolti nel movimento abbiano agito sotto l’influenza dell’ideologia piccolo-borghese.

Le rivendicazioni. Il carattere popolare, eterogeneo e interclassista risalta poi soprattutto se si considerano le rivendicazioni avanzate, espresse in tre tempi diversi, con lunghi elenchi di proposte, anche molto ambiziose e, nella loro confusione, imbevute di sentimenti patriottici e di concordia nazionale. Un primo “manifesto” con 42 richieste è stato inviato ai deputati francesi a metà novembre. Queste le voci più “qualificanti”:

  • Risolvere il problema dei senzacasa. Circa 200 mila persone vivono per strada in Francia
  • Imposta sul reddito fortemente progressiva
  • Paga minima mensile di riferimento SMIC a 1300 euro
  • Favorire i piccoli commercianti con la fine della costruzione dei grandi centri commerciali e con la concessione dei parcheggi gratuiti nelle città
  • Che i grandi (Macdonald, Amazon, Carrefours) paghino tanto e i piccoli paghino poco
  • Tutti abbiano la stessa pensione; fine della discriminazione per i lavoratori dipendenti (RSI)
  • Il sistema pensionistico deve essere socializzato ed essere solidale per tutti
  • Fine dell’aumento dei carburanti
  • Pensioni minime a 1200 euro mese
  • Per tutti gli eletti lo stipendio ottenibile sarà lo stipendio medio, con controllo per i rimborsi dei trasporti e gli altri trasporti ed il diritto alle ferie pagate
  • Tutti gli stipendi e le pensioni devono essere collegati all’inflazione
  • Difendere l’industria francese, combattere le delocalizzazioni e difendere il know-how specifico
  • Fine del lavoro in trasferta. Tutti coloro che lavorano sul territorio francese devono essere sottoposti alle norme fiscali, contrattuali e previdenziali dei cittadini francesi, senza possibilità di fare concorrenza sleale ai lavoratori nazionali
  • Lotta per la sicurezza del posto di lavoro contro i Contratti a tempo determinato (CDD) ed a favore dei contratti a tempo indeterminato
  • Che una vera politica dell’integrazione sia messa in atto, per cui immigrare in Francia significhi diventare francese, con corsi di lingua, di storia e di educazione civica, con un percorso certificato
  • Più mezzi per la giustizia, le forze dell’ordine e l’esercito a cui siano pagate le ore di straordinario

A queste proposte, ha fatto seguito, il 6 dicembre, un manifesto in 25 punti, nello stesso spirito popolare, chiamato “Proposte per uscire dalla crisi”: aumento dei salari minimi, costruzione di cinque milioni di case popolari, l’uscita della Francia dall’Unione Europea e dall’euro, offensive contro le grandi banche, le lobby, le case farmaceutiche, uscita immediata dalla Nato, blocco dei flussi migratori, cessazione di “saccheggi e ingerenze politiche e militari” in Africa.

Tutte queste proposte non hanno coinvolto fino in fondo i manifestanti, men che meno quelli che hanno espresso un consenso passivo, senza poi partecipare agli scontri e ai blocchi stradali. Il dibattito tanto strombazzato in rete con relativa raccolta di adesioni è rimasto molto al di sotto del numero di manifestanti in piazza. La vera forza del movimento è stata la capacità di bloccare le strade e mettere in difficoltà le forze dell’ordine, ma senza un programma chiaro, definito, condiviso. Tant’è che sono bastate le concessioni del 10 dicembre a indebolire notevolmente la partecipazione attiva. Il governo ha vinto con la messa in campo massiccia e organizzata della polizia e con le concessioni ai redditi più bassi e ai pensionati: dai 1.184 netti mensili di salario minimo si passa a quasi 1.300 e diminuiscono i prelievi sulle pensioni. Altra concessione di Macron è stata la detassazione dello straordinario: mossa molto intelligente, che rinsalda le catene della schiavitù salariale, rendendo momentaneamente più soddisfati gli schiavi salariati. Ultimamente, il governo ha ventilato la proposta di non eliminare la patrimoniale.

Dopo le concessioni e la notevole riduzione delle forze in piazza, il movimento è passato alla richiesta di “democrazia diretta”, “potere ai cittadini attraverso lo strumento del referendum”.

Il carattere del movimento è confermato poi anche da tutti i sondaggi, che parlano del 60% -70 % di consenso verso i gilet gialli, senza che questo si trasformi in una presenza reale nelle strade. I gilet gialli speculano dunque sul malcontento e disagio economico-sociale dei lavoratori dipendenti e lo subordinano comunque agli interessi della nazione – lo fanno coincidere con l’interesse comune dei "bravi imprenditori" e dei… “lavoratori che fanno il loro dovere”.

Insomma, una popolare maggioranza silenziosa.

I metodi di lotta. Le modalità di mobilitazione e l’utilizzo della tecnologia informatica non fanno che sottolineare il fatto che gli strumenti di comunicazione non sono solo uno strumento utile al capitale, ma possono servire per organizzare una risposta di opposizione. Inoltre, gli strumenti di comunicazione hanno permesso, con maggiore facilità e velocità rispetto al passato, di dare corpo e voce alla necessità del superamento della dimensione puramente individuale, in cui quei ceti e quegli strati sociali erano rimasti impantanati e rinchiusi fino ad ora. Ma non è lo strumento comunicativo che ha determinato il fenomeno: i gilet gialli sono nati dalla crisi e dalle condizioni materiali di vita e di lavoro, non dalla rete! Rete di comunicazione e tecnologia informatica hanno solo fornito uno strumento: per di più, le loro potenzialità vanno perdute a causa dei pregiudizi democratici, popolari e piccolo-borghesi, nei confronti dell’organizzazione – pregiudizi che sono figli della sfiducia nella politica borghese e nella decennale attività antiproletaria condotta dai sindacati tricolori e che spingono il movimento a negare la necessità di qualsiasi forma di partito e di organizzazione stabile e strutturata, anche solo per dare continuità alle rivendicazioni economiche… salvo poi ricadere nell’illusione parlamentare e referendaria e tentare di costruire l’ennesimo carrozzone elettorale! Per noi, al contrario, l’organizzazione dovrà essere contemporaneamente l’obiettivo e il risultato principale dello svolgimento delle lotte: nell’immediato, per sostenere le rivendicazioni economiche e di miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro; in prospettiva, per consolidare e indirizzare una solida opposizione sociale sul piano politico.

Il carattere popolare del movimento si è poi svelato anche per l’assenza di metodi di lotta proletari, il più possibile indipendenti e radicati innanzi tutto nei territori dove si vive e si lavora: scioperi tendenzialmente duraturi, picchetti decisi ed estesi, blocco delle merci in entrata e in uscita – insomma, tutto ciò che non si esaurisce certo nelle dimostrazioni e negli scontri del sabato pomeriggio. I gilet gialli hanno solo bloccato le strade, prevalentemente, per l’appunto, il sabato, volendo così dimostrare che non si può vivere nella "provincia" francese senza girare in automobile: ma, di conseguenza, il traffico commerciale è stato bloccato soltanto in giorni di relativa tranquillità…

Altro aspetto su cui riflettere è l’utilizzo della violenza. Anche questa purtroppo, senza organizzazione, si disperde e non permette di ottenere conquiste durature. Eppure, la capacità della mobilitazione di mettere in difficoltà le “forze dell’ordine” può contribuire a scalfire il mito della potenza invincibile dello Stato borghese: è già un buon risultato mostrare che è possibile reagire alla violenza degli sbirri! La frustrante apologia dell’inattaccabile potenza del Capitale è stata incrinata e questo servirà comunque, in futuro, al morale del proletariato. D’altra parte, il fenomeno della reazione piccolo-borghese alla proletarizzazione non è solo francese e l’esempio della Francia potrebbe servire a dare coraggio a chi subisce analoghe condizioni materiali. Ma lo ripetiamo: senza organizzazione, lo stesso movimento dei gilet gialli è destinato a esaurirsi senza lasciare traccia. Questo è dimostrato anche in senso negativo: lo Stato, infatti, è riuscito a contenere e assorbire la rivolta, grazie alla propria maggiore capacità di organizzarsi e utilizzare l’esperienza storica maturata come classe dominante.

***

Oggi ci troviamo dunque in questo punto della traiettoria storica: con un proletariato influenzato dalla piccola borghesia e con tutto il peso di un secolo di controrivoluzione che pesa sulle spalle come un macigno. Scriveva Marx, in Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte:

“La tradizione di tutte le generazioni scomparse pesa come un incubo sul cervello dei viventi e proprio quando sembra ch’essi lavorino a trasformare se stessi e le cose, a creare ciò che non è mai esistito, proprio in tali epoche di crisi rivoluzionaria essi evocano con angoscia gli spiriti del passato per prenderli al loro servizio; ne prendono a prestito i nomi, le parole d’ordine per la battaglia, i costumi, per rappresentare sotto questo vecchio e venerabile travestimento e con queste frasi prese a prestito la nuova scena della storia. Così Lutero si travestì da apostolo Paolo; la rivoluzione del 1789-1814 indossò successivamente i panni della Repubblica romana e dell’Impero romano; e la rivoluzione del 1848 non seppe fare di meglio che la parodia, ora del 1789, ora della tradizione rivoluzionaria del 1793-1795. Così il principiante che ha imparato una lingua nuova la ritraduce continuamente nella sua lingua materna, ma non riesce a possederne lo spirito e a esprimersi liberamente se non quando si muove in essa senza reminiscenze, e dimenticando in essa la propria lingua d’origine”.

Siamo ben lungi dal trovarci oggi in un’epoca di crisi rivoluzionaria, e dunque a maggior ragione il peso della tradizione si fa sentire in maniera opprimente. Ma noi comunisti abbiamo sempre ripetuto che non ci possiamo aspettare riprese classiste pure: al contrario, oltre al suo carattere eruttivo, ogni ripresa sarà caratterizzata da una mescolanza inevitabile di posizioni, specie per l’inevitabile presenza nel “movimento” delle mezze classi in via di proletarizzazione e delle loro “mezze ideologie”. In quanto partito, noi però non possiamo dare patenti politiche di “sinistra”, di “proletarie” e tanto meno di “classiste” a eruzioni come quella dei gilets gialli, in maniera indifferenziata: dobbiamo invece ribadire e riaffermare il ruolo autonomo del movimento proletario, operare perché esso si faccia strada e si affermi nel corso delle inevitabili lotte presenti e future.

Sarà quindi molto interessante vedere come partiti, partitelli, movimenti e movimentucoli si faranno trascinare ed esaltare da questa rivolta popolare e interclassista.

 

[1] Cfr. www.lemonde.fr/economie-francaise/article/2016/05/26/huitieme-journee-nationale-d-action-contre-le-projet-de-loi-travail_4926537_1656968.html.

[2] Cfr. “Dalla Francia. Lo sciopero dei ferrovieri: cronaca di un’ennesima sconfitta annunciata”, Il programma comunista, n.4/2018. www.partitocomunistainternazionale.org/index.php/it/296-il-programma-comunista-2018/n-04-luglio-agosto-2018/2270-dalla-francia-realta-e-mistificazioni-dello-sciopero-dei-ferrovieri.

[3] “Gilet gialli, i numeri dell’economia raccontano un’altra Francia”, Il Sole 24 Ore, 18/12/2018. I dati sono da fonte Eurostat.

[4] “Stagnazione e spese, l’origine della protesta dei gilet gialli”, Il Manifesto, 5/12/2018.

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                                                                           (il programma comunista)

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