DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

In una breve nota nel numero scorso di questo giornale, riferivamo della recente proposta che la società di consegne a domicilio Deliveroo ha fatto ai propri collaboratori: in poche parole, chiedeva loro di scegliere (!) se continuare a percepire una paga formata da una componente oraria e da un bonus per ogni consegna, oppure passare al salario interamente a consegna. Proposta che, è bene sottolinearlo, a fine anno si trasformerà in obbligo per tutti.

D’altra parte e sempre recentemente, a Torino si è tenuta la prima causa civile che sei rider hanno intentato contro Foodora, un’altra società tedesca che fornisce consegne a domicilio: i sei erano stati licenziati per aver partecipato ad alcune mobilitazioni, rivendicando un miglioramento nelle condizioni di lavoro. Il primo grado della causa ha però dato ragione alla società: i rider – si è stabilito – non sono lavoratori subordinati ma collaboratori autonomi, pertanto il ricorso non sussiste.

 

È questo, infatti, il punto nodale delle attuali polemiche e della direzione che questo tipo di rapporti di lavoro sta prendendo. Da un lato, c’è un esercito di fattorini che lavora fornendo una prestazione ben definita e che della condizione di lavoratore sta rivendicando i diritti. Dall’altro, ci sono le società che non hanno alcun interesse ad avere fra i piedi dei “lavoratori”, ma preferiscono sguinzagliare per le vie delle città centinaia di “collaboratori autonomi”, alcuni dei quali, quelli che lavorano di più, hanno anche l’onere di sostenere una partita IVA. Questo perché “collaboratore autonomo” significa, per la ditta, non dover pagare contributi e assicurazione; significa non dover garantire una durata del contratto né un minimo di ore lavorative; significa, infine, non avere un vincolo all’abbassamento del salario o alla sostituzione di quello orario con il pagamento a cottimo. Insomma, lo schiavismo dei freelance.

In seguito, dunque, ai più recenti sviluppi e al fatto che le società, in barba a ogni richiesta che i lavoratori hanno presentato durante questi mesi, hanno proseguito per la loro strada, si è tenuta in un centro sociale di Bologna, il 15 aprile, la prima riunione aperta a tutti i fattorini, indetta da Riders Union Bologna, un collettivo autonomo nato tra i ragazzi che riunisce rider in bicicletta, in motorino e alcuni attivisti sociali. Oggetto di questa riunione era la discussione di una “Carta dei lavoratori”, da sottoporre ai sindacati confederali e al comune di Bologna, nella quale rivendicare un miglioramento nelle condizioni di lavoro. Si chiede, come lo si chiede ormai da mesi, una copertura assicurativa, un monte-ore garantito per tutti, l’abolizione del salario a cottimo. Oltre a questo, si sono presentate le richieste per l’indennità in caso di maltempo o di lavoro durante i giorni festivi e un budget minimo per la manutenzione dell’attrezzatura necessaria al lavoro. Oggi, lo ricordiamo, se un rider buca la ruota della bicicletta mentre lavora, se la deve aggiustare a sue spese. Non solo: oggi le società, attraverso i loro algoritmi di valutazione della produttività, assegnano meno consegne ai fattorini più lenti, costringendoli a svicolare nel traffico tra sensi unici, marciapiede e semafori rossi mettendo a rischio la propria incolumità, salvo poi invitarli cordialmente a rispettare il codice della strada!

È questo un primo segnale che la lotta dei fattorini, seppure ancora embrionale, comincia a prendere forma e che i lavoratori cominciano a darsi delle strutture organizzate tramite le quali portare avanti le rivendicazioni in maniera più efficace e proteggersi da un peggioramento delle condizioni che diventerà sempre più inevitabile, perché inevitabile è la risposta che il modo di produzione capitalistico dà all’incedere della crisi economica e perché inevitabile è la crisi economica del modo di produzione capitalistico.

La Gig Economy, ultima “tendenza” del capitalismo nella sua fase di piena crisi sistematica, è l’“economia della flessibilità”, dicono. Flessibilità perché il lavoratore è “libero di scegliere” quando, quanto e come lavorare; perché il lavoratore non è vincolato da un contratto e può andarsene “quando vuole”; perché, “se vuole”, può contemporaneamente lavorare per altre società o fare altri lavori. Sì, flessibilità perché il lavoratore è libero di essere sfruttato a condizioni paragonabili a quelle di metà ’800, diciamo noi. E, contro ogni falsa coscienza che la società nella sua interezza sta mettendo in campo per legittimare ideologicamente questa forma di sfruttamento decantandone gli effimeri pregi, ai lavoratori non resta che la lotta. La lotta unitaria, contro ogni divisione di categoria e contro ogni inquadramento legalitario. La strada è lunga, ma noi non possiamo fare altro che seguirne gli sviluppi, salutando con entusiasmo anche questi primi piccoli passi.

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