DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Eterno inciampare sull’individuo

Il mondo – si sa – è pieno di “buoni” e di “cattivi”. Il mondo – si sa pure questo – è pieno di “buoni” che diventano “cattivi”, e viceversa. Insomma, il mondo è pieno di... non si sa bene che cosa!

Lasciamo perdere le squallide pagliacciate del mondo politico italiano: è ormai più d'un secolo che il piano dell'idiozia è sempre più inclinato (e d’altra parte non è forse l’Italia, fin dall’Unità, la patria del trasformismo?). Diamo invece un'occhiata in giro per il mondo.

 

Qualche settimana fa, il presidente turco Erdogan s'incontra ad Ankara con i suoi compari, il russo Putin e l'iraniano Rohani, per discutere d'una “possibile prospettiva di pace in Siria”. Mesi prima, s'erano già incontrati a Sochi: la foto ufficiale ce li mostra mentre si stringono la mano, tutti sorridenti (viene subito in mente una foto simile, d'una settantina d'anni fa: a Yalta... ). Ma come! per tanti “sinceri democratici”, il primo non era il “cattivo” e l'ultimo l'“aggredito”? per tanti “nostalgici”, il secondo non era la “speranza” e il primo l'“assassino”? Ohimè, chi ci capisce più niente?!

Andiamo più a est: nell'Estremo Oriente, in quella penisola divisa in due che chiamasi Corea. Qui, a nord, com'è noto, c'è, secondo alcuni, un “cattivissimo” che minaccia le sorti dell'umanità: Kim Jong-un; e che invece, per altri, è uno degli ultimi baluardi del... “comunismo”, assediato e sempre sul punto d'essere aggredito dall'“imperialismo USA”. A sud, invece, comanda Moon Jae-in, che per alcuni è il difensore del “mondo libero” in quella regione e per altri niente più che un burattino nelle mani dei “cattivissimi” yankee. Bene, dopo mesi e mesi di tensioni internazionali, quando il mondo sembrava (ohibò!) sull'orlo di un'ennesima minacciata catastrofe militar-atomica, che cosa ti combinano quei due? S'incontrano come due innamoratini di Peynet (sapete, no? quelli eternamente seduti su una panchina a scambiarsi paroline dolci, mentre intorno svolazzano uccellini e turbinano foglie e fiorellini). E, mano nella mano, varcano la soglia fra le due Coree, promettendosi amore eterno – e un prossimo incontro con... con chi? Ma con Trump, chi altri?!

Salvo poi, magari, nel giro di pochi giorni, tornare tutti a litigare.

Insomma, che cosa diavolo sta succedendo, in questo mondo in cui non si può nemmeno esser certi che i “cattivi” sian davvero cattivi e i “buoni” buoni, e che gli uni stiano da una parte e gli altri dall'altra?!

Eh, già. L'ideologia dominante ci imbottisce il cranio di celebrazioni dell'individuo, dell'Io. E' l'Io che comanda di qua e di là, è l'Io che fa e disfa, è l'Io che minaccia o rassicura, è l'Io che è nemico o amico a seconda dei casi... In questa poltiglia cerebrale, poi, però, non ci si capisce più nulla: non si sa più a che Io raccomandarsi (forse solo all'Io Supremo, quello che per i beoti inizia con la D: ma, e se poi anche quello si mette a far capriole?). Come si può dormir tranquilli?

Allora. Buttiamo a mare una buona volta quest'ideologia per fessi. Riconosciamo una buona volta che non sono i burattini a “far la storia”, ma le ben più materiali e riconoscibili leggi del modo di produzione – le quali si trovano i loro burattini atti a recitare il copione e a imbottir crani, e li muovono a scatti sul palcoscenico mondiale. E, quando non servano più, li mandano in pensione (quando non li eliminano brutalmente!), per farne emergere altri che rispondano meglio alle esigenze di quell'imbottimento.

Sessantacinque anni fa, riprendendo per l’ennesima volta il tema del “culto dei capi”, e comunque dell’attribuzione all’individuo di specifiche potenzialità storiche, scrivevamo: “Perché abbiamo chiamata la teoria del grand'uomo teoria del battilocchio? ‘Battilocchio’ è un tipo che richiama l'attenzione e nello stesso tempo rivela la sua assoluta vuotaggine. Lungo, dinoccolato, curvo per celare un poco la testa ciondolante ed attonita, l'andatura incerta ed oscillante. A Napoli gli dicono ‘battilocchio’ con riferimento allo sbattito di palpebre del disorientato e del filisteo; a Bologna, tanto per sfuggire alla taccia di localismo, gli griderebbero ‘dì ben so, fantesma. La storia e la politica contemporanea di questa data 1953 (in cui tutto risente del fatto generale e non accidentale che una forma semiputrefatta non riesce a crepare: il capitalismo) ne circondano di costellazioni di battilocchi. Il marasma proprio di tale fase diffonde a masse ammiranti e lucidanti la convinzione assoluta che ad essi, e ad essi solo, guardar si debba, che si tratta da ogni lato dei battilocchi del destino, e che soprattutto il cambio della guardia nel corpo battilocchiale sia il momento (poveri noi, o Federico!) che determina la storia. Tra i capi di Stato, per l'assoluta mancanza di ogni nuova parola e perfino di ogni originale posa, ve ne è un terzetto ineffabile: Franco, Tito, Peron. Questi campioni, questi Oscar di bellezza storica, hanno spinto al nec plus ultra l'arte suprema: togliersi tutti i connotati. Altro che dinastici nasi; che occhi d'aquila! Quanto ad Hitler e Mussolini buonanime, il primo fa pensare ad uno stato maggiore formidabile di non-battilocchi che lo attorniava, elevati per tanto grado di criminali, che non solo facevano storia, ma usavano violenza carnale su di essa a piacer loro! Il secondo si fa perdonare per lo strato ineffabile di sotto-battilocchi che lo inguaiava, e che ha dato cambio della guardia, in quel del 1944-45, ad uno stuolo di equipollenti sodali, oggi nostra delizia. Una terna bellissima che si schiera non nello spazio ma nel tempo, con la prova provata che ogni successione per morto o per elezione produce effetto storico misurato da zero via zero, è quella Delano [Roosevelt], Harry [Truman], Ike [Eisenhower]. Le forze americane che occupano il mondo giustificherebbero la definizione di questo periodo come la calata dei battilocchi”.

E poi ancora, in chiusura (ma ne raccomandiamo la lettura integrale): “Lenin prese da Marx la definizione, da molti combattuta come banale, che la religione è l'oppio del popolo. Il culto dell'entità divina è dunque la morfina della rivoluzione, di cui addormenta le forze agenti; e non per niente nel lutto recente [la morte di Stalin – NdR] si è pregato in tutte le chiese dell'U.R.S.S. Il culto del capo, dell'entità e persona non più divina, ma umana, è uno stupefacente sociale ancora peggiore, e noi lo definiremo la cocaina del proletariato. L'attesa dell'eroe che infiammi e travolga alla lotta è come l'iniezione di simpamina: i farmacologi hanno trovato il termine adatto: eroina. Dopo una breve esaltazione patologica di energie, sopravviene la prostrazione cronica e il collasso. Non vi sono iniezioni da fare alla rivoluzione che esita, ad una società turpemente gravida da diciotto mesi, e tuttora infeconda. Buttiamo via la volgare risorsa di trarre successo dal nome dell'uomo di eccezione, e gridiamo un'altra formula del comunismo: esso è la società che ha fatto a meno di battilocchi”.

Torniamo lì, e freghiamocene dunque di questi idioti.

Chicche da un bicentenario

Lo confessiamo: c’eravamo illusi. C’eravamo illusi che, archiviato il 2017, si potesse infine tirare il fiato dopo le mestolate di puzzolenti idiozie propinateci da intellettuali di mezzo mondo, da giornalisti e opinionisti di vario genere e origine, riguardo all’Ottobre 1917 e al comunismo. Eh, no! Non avevamo fatto i conti con un altro anniversario: i duecento anni dalla nascita di Karl Marx. Ed ecco che, puntuali, gli scribacchini del potere ci hanno strappati all’illusione, con altre mestolate del medesimo pastone, vecchio e rancido. Tanto per cominciare, e limitandoci per ora ai mezzi di disinformazione di massa (ma c’è da aspettarsi ben altro: vagonate di libri, e poi tavole rotonde, interviste, polemiche, salotti televisivi, ecc.), Il Sole-24 Ore del 29 aprile u. s. ha dedicato a Marx un’intera pagina del suo inserto domenicale. Occupiamocene brevemente, e poi passiamo ad altro.

Dunque. In primis, Marx è sempre un “filosofo”, un “pensatore”, anche se poi si ammette (da tal Mario Ricciardi, autore di uno degli articoli) che “Marx è […] filosofo, economista, attivista politico”, ammettendo che “ciascuna di queste attività aveva nel diciannovesimo secolo [ma, ohibò, si sa: il tempo passa!] confini meno definiti di quelli che le attribuiremmo oggi in base alle nostre convenzioni accademiche”. Per carità! riconoscere che quelle “attività” sono invece un tutt’uno, rappresentano un’unica militanza rivoluzionaria, sarebbe uno sforzo eccessivo per il cervello di questi intellettuali.

Ma andiamo avanti. Da parte sua, David Bidussa, in una breve noterella a introduzione di uno stralcio dai Manoscritti economico-filosofici del 1844, ci regala un’altra perla. Sparlando del “feticismo della merce” e dell’economia “come disciplina chiave per spiegare l’essenza dell’agire umano”, egli scrive che questo passaggio, in Marx, dalla filosofia all’economia, è “Una dinamica affascinante e terribile al tempo stesso dove l’economia si manifesta atraverso l’indicazione della sua patologia: sono le merci a impadronirsi degli uomini fino a ridurli a cose”. Patologia? Eh, no, caro Bidussa! Non di patologia si tratta, ma di fisiologia: non di un malanno che si può curare con qualche dose di antibiotico (liberista? protezionista? welfariano? generico-riformista?), ma di una caratteristica organica, strutturale, del modo di produzione capitalistico (dal Dizionario Zingarelli: “Fisiologia=Scienza che studia le strutture e le funzioni organiche dei vegetali e degli animali”). Bidussa: le diamo un 4, torni al suo banco!

Il medesimo Ricciardi di cui sopra s’arrampica sui vetri del suo pezzo, spiegandoci (!!!) che: “La rivoluzione intellettuale avviata dai marginalisti a partire dalla fine del diciannovesimo secolo ha eroso i pilastri su cui si ergeva, in equilibrio precario [bum!], l’edificio incompiuto del Capitale [ari-bum! che a “completarlo” ci avesse pensato Engels, in quanto compagno-militante, sfugge a tutti costoro, innamorati come sono dell’autorialità!]. La teoria del valore, come aveva visto con lucidità Vilfredo Pareto già al volgere del secolo, sembra [che pudore!] resa obsoleta dal nuovo paradigma che finirà per dominare il Novecento”. Eccetera eccetera.

Nell’articolo a lato, gli fa eco Sebastiano Maffettone, “filosofo politico” (e dunque… convenzional-accademico), che… aumenta la dose di oppiacei: c’informa che Marx s’è occupato solo marginalmente del comunismo, ma ha scritto “più di 30mila pagine” (contate di persona, nei ritagli di tempo dal filosofare?) sul capitalismo; che questa sua indagine ha lati interessanti e stimolanti (bontà sua), ma poi non regge alla verifica della realtà (e qui casca l’asino!); che il materialismo storico è “tramontato” e non si possono più comprendere tesi come la “corrispondenza necessaria tra forze produttive e relazioni di produzione” [sic!]; che è sbagliata la sua “idea che gli individui non possano scegliere nulla autenticamente perché tutto è pre-determinato dalla logica implicita nella storia” (anche lei, Maffettone: se ne torni al banco con un 4!); e via discorrendo, con il solito bagaglio d’ignoranza che costoro si trascinano dietro da almeno un secolo e mezzo. Poi, l’impennata: “La stessa teoria economica complessiva di Marx può essere considerata nella sostanza un parziale fallimento, anche se vi sono alcune periferiche [?!] eccezioni e alcune intuizioni formidabili [di nuovo: bontà sua!]. In generale, è proprio la teoria del valore-lavoro – con gli addentellati della merce e del plusvalore – che non sembra [meglio metter le mani avanti: non si sa mai!] al passo della scienza economica contemporanea…”. E via di seguito.

Marx aveva già colto il germinare di apologeti del capitalismo nelle vesti ingannevoli di “economisti” e “scienziati” (o di quell’altra analoga genia che si propone di “revisionare” l’analisi materialista del reale). Nel “Poscritto alla seconda edizione” del Capitale (1873), scriveva infatti: “In quanto è borghese, cioè in quanto concepisce l’ordine capitalistico non come stadio di sviluppo storicamente transitorio, ma al contrario come forma assoluta e definitiva della produzione sociale, l’economia politica può rimanere scienza solo finché la lotta di classe resta latente, o non si rivela che in fenomeni isolati”. E più avanti: “La borghesia aveva conquistato il potere in Francia e Inghilterra. Da quel momento la lotta di classe, sul piano pratico come sul piano teorico, assunse forme sempre più nette e minacciose. Essa suonò la campana a morto per l’economia scientifica borghese. Il problema non era più se questo o quel teorema fosse vero, o se fosse utile o dannoso, comodo o scomodo per il capitale, lecito o illecito dal punto di vista poliziesco. Alla ricerca disinteressata subentrò la rissa a pagamento, alla indagine scientifica obiettiva subentrarono la coscienza inquieta e le cattive intenzioni dell’apologetica” (K. Marx, Il capitale, Libro Primo, UTET, pp. 80 e 81).

Da allora, le coscienze inquiete e le cattive intenzioni si sono moltiplicate in proporzione non aritmetica ma geometrica, di pari passo con l’esplodere del parassitismo, fisiologicamente intrinseco alla fase imperialista del capitalismo. A quelle coscienze inquiete e a quelle cattive intenzioni, noi rispondiamo con un passo tratto da un nostro testo del 1924, “La teoria del plusvalore di Carlo Marx, base viva e vitale del comunismo” (cfr. L’Ordine Nuovo, Serie III, Anno I, 1924, pp.3-4, 5, 6), scritto in polemica con Graziadei, che pure allora militava – sia pure con molte incertezze – nelle file del PCd’I e si adoperava a fare dei distinguo fra il “Marx politico” e quello “storico” o “economico”, ecc.: “La critica economica di Marx stabilisce dunque in modo completo il legame tra le dottrine della economia liberale e gli interessi di classe dei capitalisti: anzi spiega tutta la filosofia borghese come una traduzione della immaginaria eguaglianza sul mercato dell’individuo borghese, della finzione che ogni cittadino sia una ‘ditta’ e una azienda economica, mentre in realtà la massa dei liberi cittadini resta sempre più diseredata e sfruttata. Di più, nella prefazione al Capitale, Marx, nel fare la storia della economia classica, dice che dal momento in cui il contrasto tra gli interessi borghesi e quelli proletari si delinea, non vi può più essere per borghesi una vera scienza economica, ma solo la difesa ufficiale del sistema capitalistico. Solo il proletariato è libero dai legami che impediscono alla verità scientifica di farsi strada nel campo arroventato della economia […]. Per un marxista i tentativi di revisione come quello di Graziadei non significano che una concessione, se non un ritorno, aIle esigenze dell’antiscientifica economia ufficiale; concessioni in tanto più pericolose in quanto recano la firma di militanti comunisti. Il riavvicinamento alla maniera borghese di affrontare l’indagine economico-sociale, in contrasto a quanto ha il marxismo di più rivoluzionariamente fecondo, crediamo di averlo mostrato in modo indubbio. E’ deplorevole che vi siano compagni che valutano i pretesi portati della moderna scienza economica universitaria e accademica dimenticando l’elementare avvertimento del nostro Maestro, e che si lasciano ingannare dalla ostentata imparzialità e fredda obiettività scientifica nel lavoro pettegolo di registrazione statistica, che non è che l’ultima truccatura del tentativo di chiudere la via alle conclusioni rivoluzionarie della vera scienza economica, trattate, ad esempio da Pareto, come apriorismi sentimentali o metafisici. Chi cade in simile tranello non è degno di essere considerato un marxista comunista più del povero nostro Berti [poi finito, non a caso, fedelissimo staliniano – NdR], che si entusiasma alle pagine di Graziadei, e arriva a parlare dei nuovi orizzonti del ‘criticismo marxista’, cresciuto a scuola dei trattatisti borghesi in voga, e tenuto a battesimo da Graziadei... e non si accorge che si tratta dei soliti orizzonti, dal raggio notoriamente assai limitato, del vecchio e repugnante... onanismo antimarxista”.

Mentre raccomandiamo ai nostri lettori la lettura dell’intero testo come sano antidoto alle idiozie circolanti, rimandiamo ai prossimi numeri di questo giornale il commento alle altre “chicche” che di certo, ahinoi!, questo 2018 ci riserverà.

 

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