DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

La tesi che l’uso della violenza mascherato dietro l’esercizio della “democrazia” e l’uso della violenza non dissimulata e aperta, “alla fascista”, sono non già due metodi contrastanti che risalgano a due “diversi” strati sociali della classe dominante, uno progressista e l’altro reazionario e perfino “preborghese” (agrario e... semifeudale), ma due metodi alternativi usati dall’insieme della borghesia in fasi diverse dei suoi rapporti di forza con la classe dominata, è una nostra “vecchia” tesi, ripetutamente affermata in seno all’Internazionale Comunista a proposito del fascismo nascente e dilagante e di fronte al risorgere di nostalgie e preferenze per un “regime migliore”. Ma è necessario aggiungere che era la tesi classica di tutta la sinistra del movimento operaio, e non la “scoperta” o, viceversa, la “bizzarria” o il “para- dosso” di una particolare corrente “nazionale” (italiana nel caso specifico).

 

Nel dicembre 1910, in un articolo sulle “divergenze nel movimento operaio europeo”, Lenin scriveva: “Una causa straordinariamente importante delle divergenze insorte fra i militanti del movimento operaio è costituita dai mutamenti nella tattica delle classi dominanti in generale e della borghesia in particolare. Se la tattica della borghesia fosse sempre uniforme o perlomeno sempre dello stesso tipo, la classe operaia imparerebbe rapidamente a risponderle con una tattica altrettanto uniforme e omogenea. In realtà, la borghesia elabora necessariamente in tutti i paesi due sistemi di governo, due metodi di lotta per i suoi interessi e per la difesa del suo dominio, due metodi che ora si alternano, ora si intrecciano in multiformi combinazioni. Il primo è il metodo della violenza, del rifiuto di ogni concessione al movimento operaio, dell’appoggio a tutti gli istituti vecchi e superati, della inflessibile negazione di ogni riforma. E’ questa l’essenza della politica conservatrice che nell’Europa Occidentale cessa sempre più di essere la politica della classe dei proprietari fondiari e diventa sempre più uno degli espedienti della politica GENERALE borghese. Il secondo è il metodo del ‘liberalismo’, dei passi in direzione dell’ampliamento dei diritti politici, delle riforme, delle concessioni ecc. Non per cattivi propositi di persone singole, e non a caso, la borghesia passa da un metodo all’altro, ma a causa delle radicali antitesi interne della sua propria situazione”.

Dunque, per Lenin, già allora, i due metodi erano entrati nell’arsenale GENERALE della borghesia, e il non averlo capito provocava nel movimento operaio ondate opportunistiche nascenti dall’illusione che uno dei metodi, quello della violenza, rappresentasse un “ritorno indietro”, e che bisognasse appoggiare l’altro come “passo avanti”, lasciando cadere l’arma della lotta rivoluzionaria di classe. Di più, Lenin sottolinea che i due metodi alternativi sono complementari e non di rado si intrecciano. Proprio questo avviene oggi; proprio questo sosteniamo dalla fine della II guerra mondiale (anzi, dal 1924!): che cioè il fascismo diventa riformista e la democrazia diventa fascista, i due metodi intrecciandosi e scambiandosi a vicenda “utili” esperienze di lotta contro il proletariato. Tanto è vero che l’analisi marxista sa in anticipo quello che necessariamente avverrà!

 

Partito comunista internazionale

                                                                           (il programma comunista)

 

 

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