DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Ogniqualvolta si parla di foibe, due fazioni si confrontano. La prima, nazionalista, fascista (o fascistoide), vede nelle foibe il prodotto della “ideologia comunista”: come sempre, il “male assoluto”. La seconda, democratica e figlia del partigianesimo stalinista e titino, cercando di ridimensionare quegli eventi, li riduce alla reazione slava alle nefandezze dell’Italia fascista. Entrambe borghesi e nazionaliste, utilizzando i morti e mistificando i fatti, si confronteranno all’infinito, a scadenze fisse.

Noi ricordiamo innanzitutto che entrambi i “contendenti” si sono distinti in quegli anni per una feroce politica anti-proletaria, che ha avuto il suo culmine proprio nell’“infoibare” i comunisti internazionalisti; e che la questione dei confini fra “latini” e “slavi” è ben più antica di questa tragedia, frutto diretto del dominio capitalista e delle sue contraddizioni interne.

Per sradicare l’origine di queste atrocità squisitamente capitalistiche, l’unica via è quella già indicata dal comunismo rivoluzionario. Infatti, già nel 1921, la prospettiva internazionalista animava le lotte dei proletari di quella regione. In un articolo uscito nel 1950 su quello che allora era il nostro giornale e intitolato “Il proletariato e Trieste”, ricordavamo che allora il Partito comunista d’Italia, diretto dalla Sinistra, “prese a Trieste la sezione politica, il giornale, la Camera del Lavoro. Compagni italiani e slavi vi lavoravano in tutto accordo. Gli stessi articoli, tradotti dal buon Srebrnic, andavano nelle due edizioni italiana e slovena. La generosa classe operaia di Trieste, non meno dei lavoratori agricoli del contado, vibrava di entusiasmo per la rivoluzione di Lenin, e per le stesse ragioni” (Battaglia comunista, n.8/1950).

Nel medesimo articolo, sottolineavamo che “Il ‘principio di nazionalità’ si presta bellamente a tutte le plastiche della arruffianata chirurgia diplomatica, specie nelle zone in cui, come nei disgraziati Balcani, non sono tracciabili sulla carta geografica i confini etnici linguistici e nazionali; i villaggi turco, greco, serbo e bulgaro, con i preti del caso, stanno a un passo tra loro, e mai l'odio, la guerra e la forza sistemeranno quei terreni sul piano della nazionalità. Queste zone abbondano in Europa: la democrazia oggi vincitrice le tratta col sistema ultra-liberale della deportazione forzata in massa. Al fantasma letterario della libertà di lingua e di unione razziale si aggiunge quello della libertà di residenza, e con essi dilegua in nebbia”.

E concludevamo: “E' in queste frange di incontro dei popoli, in queste zone bilingui, che l'internazionalismo proletario deve fare le sue prove rifiutando le bandiere di tutte le patrie per quella unica e rossa della rivoluzione sociale”.

Ieri, come oggi e domani!

Partito comunista internazionale

                                                                           (il programma comunista)

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