DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Contro l’ipocrisia democratica del “no alla violenza”

Quanto abbiamo affermato nel volantino diffuso alla manifestazione "Welcome to Hell" e trasformato in articolo per la nostra stampa ("Il vertice G20: gigantesco show di illusioni democratiche") 1 è stato pienamente confermato. Sullo sfondo della rottura, di dimensioni inattese, di quella pace cimiteriale che lo Stato aveva ordinato e di quella “bassa soglia di violenza” che la polizia avrebbe voluto imporre, il dibattito sulla valutazione degli avvenimenti riveste un'importanza da non sottovalutare per lo sviluppo del quadro politico di sinistra, non solo in Germania.

Al centro del dibattito è – e non poteva essere diversamente – la “questione della violenza”. E' ovvio che questa “questione”, anche 4 mesi dopo gli avvenimenti (e di pari passo con le prime, draconiane condanne agli attivisti arrestati), sia inscenata dal governo come una “minaccia per la democrazia” e venga utilizzata per l'ulteriore perfezionamento dell'apparato repressivo statale. E ciò non solo perché "cane colpito abbaia", ma perché la controrivoluzione preventiva è per l'appunto un compito centrale, con tutti i suoi aspetti apparentemente pacifici o apertamente violenti, dello Stato imperialistico. Ma anche la sinistra borghese, completamente integrata nell'apparato statale, prende posizione di fronte all´ipotetico salto di qualità della violenza degli autonomi e chiede con decisione che siano osservate le regole del dibattito democratico, allineandosi così alla posizione dello Stato nell’aperta denuncia dei militanti.

C'è per noi un effetto positivo nella difesa militante contro la repressione e dispersione della manifestazione "Welcome to Hell" e contro il marziale schieramento poliziesco al summit di Amburgo. E' chiaro che per noi non si tratta di fantasticare sulla potenzialità militare della lotta proletaria e neanche di dare una valutazione della rabbia e della militanza più o meno spontanee  e parzialmente indiscriminate, rivolte contro i rapporti capitalistici. Invece, gli eventi di Amburgo dimostrano per l'ennesima volta, per chi vuole realmente intendere, quali siano la natura dello Stato e la funzione della sua macchina repressiva: in quanto tali, potrebbero agire da catalizzatore di un processo di chiarimento politico fra quei militanti che non intendono farsi integrare nello Stato (in contrapposizione alla “sinistra” filogovernativa).

Piagnistei antifascisti e denunce staliniste

Sotto lo stendardo rossoverde del governo regionale, lo Stato democratico ha mostrato ad Amburgo la propria propensione allo stato d'eccezione, il cui punto culminante è stato l'impiego, per la prima volta, di unità "antiterroriste" provviste di armi pesanti e di proiettili di gomma contro i manifestanti. E' stato significativo udire, durante la fase di formazione della manifestazione,  l’altoparlante dei black bloc criticare il comportamento “illegale” (ovvero, “antidemocratico”!) della polizia che li stava accerchiando con un gigantesco schieramento, proprio mentre si volevano distinguere esplicitamente, in quanto black bloc, dal divenire "parte della messa in scena democratica”. Anche il gruppo “Interventionistische Linke”, memore della propria insicurezza di fronte alla forza degli eventi militanti (definiti “violenza adolescenziale, distruzioni in un quartiere solidale, pericoli corsi da persone non coinvolte”), è ricorsa all'àncora di salvezza democratica: "Contro una polizia che accerchia i nostri accampamenti in aperto spregio dei tribunali, ci siamo conquistati il nostro diritto di dormire" (da un contributo ospitato in “Neues Deutschland” del 26/7/2017).

Degno di nota, questo ricorso al “diritto di dormire” (non hanno insegnato niente i fatti alla scuola Diaz di Genova 2001!) da parte di una sedicente “sinistra radicale” di fronte al carattere e al funzionamento della democrazia: lo si spiega con il suo punto di vista, che si vuole a-classista e che d'altronde riproduce solo la propria interpretazione della società borghese dedita al “diritto” e della sua classe dominante. Quest’ultima – ricordiamolo! – presentò l'introduzione dei principi della libertà, uguaglianza e fraternità, espressi soprattutto negli istituti elettivi, [come] una conquista tanto universale quanto insuperabile: in primo luogo, migliorò radicalmente le condizioni di tutti i membri della società liberandoli dalle antiche oppressioni […] schiudendo loro le gioie di un mondo nuovo; ed in secondo luogo eliminò la eventualità storica di ogni ulteriore grande conflitto sociale avente un carattere di infrangimento violento delle istituzioni e dei rapporti sociali” (dal nostro testo “Forza, violenza, dittatura nella lotta di classe”, 1946) 2.

Se lo Stato non viene riconosciuto come Stato del capitale e la democrazia come espressione politica del dominio capitalistico, resta solo la capitolazione di fronte al monopolio della violenza statale. Se la storia non è (più) storia di lotte di classe, resta solo la subordinazione dei cittadini in quanto individui allo “Stato che riassume la società”. L’alternativa sarebbe la minaccia di “decadenza e barbarie”. Eloquente è la puntualizzazione di un commentatore della liberal-borghese “Neue Zuericher Zeitung” (del 26/8) a proposito della proibizione della pagina internet "linksunten.indymedia" (tra l'altro, giustificata proprio in relazione alla mobilitazione violenta anti-G20) che, sotto il titolo “La critica è benvenuta, la violenza no”, osserva: "Il divieto doveva esserci. Chi predica violenza perde il diritto alla partecipazione sociale. La violenza è il tabù che deve continuare a valere, perché altrimenti si spalancano le porte alla barbarie".

Che beffa queste parole di fronte alla realtà della barbarie capitalistica, dove è onnipresente la miseria, mentre la violenza dello Stato non solo agisce da lungo tempo in modo potenziale, ma si scatena sempre più in maniera effettiva (con interventi militari, ai confini e fuori dai confini patri e, non ultimo, ad Amburgo): una violenza che provano su di sé soprattutto coloro che, in numero sempre maggiore, sono in un grado particolare vittime dei rapporti di valorizzazione capitalistici, specialmente se osano opporvisi.  E' la violenza di un sistema le cui promesse di salvezza franano di fronte a crisi e guerre che si cerca di far dimenticare soltanto con la “ancor peggiore” rappresentazione del terrorismo e della barbarie. Cosa che si esprime anche nelle ricorrenti manifestazioni della destra radicale contro una presunta islamizzazione. 

I rapporti economici e le loro forme d'espressione politiche vengono poi offuscati nelle nebbie del complottismo. E in teorie del complotto sono particolarmente ferrati gli stalinisti in tutte le salse e le sfumature. Stravolti dalla rabbia, per esempio, alcuni opinion leaders del quotidiano “Junge Welt”, di solito molto affaccendato in azioni di “solidarietà di sinistra”, hanno scritto, a proposito dei fatti di Amburgo: “Ma chi si nasconde dietro un tale travestimento? Attivisti autonomi di sinistra? Funzionari statali con incarichi speciali? Fasci o ‘hooligans’ o criminali?” (Dietmar Koschmieder, il 15-16/7); oppure: “Quanto del casino criminale sia da attribuire a poliziotti travestiti può solo essere supposto” (Arnold  Schoelzel, il 19/7). Queste denunce di aspetti della protesta, basate solo su oscure allusioni, dimostrano la nullità politica e di analisi di chi le sostiene e sono tanto ripugnanti quanto sono miserevoli le prove addotte: una (!) t-shirt con bandiera tedesca sotto un pullover con cappuccio calato, gli "aha" come grido di battaglia nelle contestazioni… Che si pongono poi sullo stesso piano della sciatteria ideologica della “Neues Deutschland”, l'ex-organo centrale della SED, che nel 1989, in occasione della fuga in massa verso ovest scrisse, in tutta serietà, di… sigarette al mentolo per ipnotizzare gli ignari cittadini delle RDT, che infine si risvegliavano in Occidente!

Questo è un assaggio dei metodi con i quali la sinistra borghese affronterà una vera lotta di classe, di cui, comunque, gli autonomi non sono certo un annuncio, non da ultimo per via della loro insufficiente rottura con l'ideologia borghese, democratica e antifascista. A fronte di ciò, nulla cambiano le prese di distanza dai pretesi alleati del campo borghese di sinistra che i militanti autonomi presentano come ostacolo principale per la loro politica (“la ‘sinistra mosaico’ deve porsi la domanda se possa lottare con successo contro la politica neo-liberale, all'ombra di una tale simbolica guerra civile”, Michael Brie, in “ND” del 31/7).

Per noi non c’è alcuna “questione della violenza”

Sempre dal nostro testo del 1946: “Si accusarono i marxisti di sinistra di un culto della violenza che la elevava da mezzo a fine e la invocava quasi sadicamente anche laddove si poteva risparmiarla e raggiungere lo stesso risultato per via pacifica. Ma dinanzi alla eloquenza degli sviluppi storici tale polemica svelò presto il suo contenuto, che era quello di una mistica non tanto dell'antiviolenza quanto proprio dei principii apologetici dell'ordine borghese”.

In altre parole, la "questione della violenza" è soltanto un pretesto: si tratta in realtà della questione dello Stato e del potere di classe espresso in esso. Per noi, non si tratta di mitizzare la violenza (né in senso positivo né in quello negativo). Esattamente come conosciamo la storia come storia di lotte di classe materialisticamente determinate, così spieghiamo il ruolo della violenza in esse. La concezione del ruolo della violenza in Marx, come levatrice di una nuova società, aveva un significato centrale non solo per la lotta antifeudale della borghesia, ma anche, oggi e domani, per la lotta di liberazione del proletariato dalla schiavitù salariale. Nel corso del XX secolo, il capitalismo ha posto le premesse oggettive del socialismo e non può impedire il proprio tramonto storico, neanche con l'integrazione di elementi di “socializzazione” nello Stato. Con l'aiuto di un apparato elefantiaco, lo Stato imperialista cerca tuttavia di conservare il potere, usando tutti i mezzi a propria disposizione: politici, ideologici, polizieschi, militari. All’interno di questo campo di forze, si è sviluppata una barbarie di dimensioni inaudite: dalle due guerre mondiali del secolo scorso fino alla guerra permanente attuale, con milioni di morti e un gigantesco movimento migratorio di uomini, le cui condizioni di vita nei paesi d'origine sono contrassegnate da sofferenze incommensurabili. E, a tutto ciò, la sinistra borghese ha “opposto” un controcanto ideologico fatto tanto di socialsciovinismo quanto di pacifismo.

Contro entrambi, la Sinistra comunista conduce da tempo una lotta senza quartiere. Esattamente come Lenin applicò e difese il programma comunista contro il revisionismo socialdemocratico, così la Sinistra comunista “italiana” difese il programma comunista contro lo stalinismo. E' posizione fondamentale del marxismo che la questione della violenza è in realtà la questione dello Stato (e del potere). Ancora dal nostro testo: “Nella ricostruzione leninista la definizione dello Stato è rimessa a posto come quella di una macchina che una classe sociale adopera per opprimerne altre, e tale definizione vige in pieno e soprattutto per il moderno Stato borghese, democratico e parlamentare.[…] La lotta proletaria non è lotta nell'interno dello Stato e dei suoi organismi, ma lotta dall'esterno dello Stato contro di esso e contro tutte le sue manifestazioni e forme. La lotta proletaria non si prefigge di prendere o di conquistare lo Stato, come una piazzaforte in cui voglia sistemarsi a presidio l'esercito vincitore, ma si propone di distruggerlo radendo al suolo le difese e le fortificazioni superate”.

Questo è l'orientamento che il Partito Comunista Internazionale darà alla lotta di classe, destinata ineluttabilmente a risorgere.

1 Vedi l’articolo “Dalla Germania. Il summit G20 di Amburgo: gigantesco show di illusioni democratiche”, Il programma comunista, n.5-6/2017.

2 Ora in Partito e classe, Edizioni Il programma comunista, Milano 1972.

 

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