DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Sul fronte sindacale, con riferimento soprattutto al settore scuola, da queste parti grava il silenzio. L’attività della locale sede della Cub scuola cesserà con giugno, in concomitanza col pensionamento del coordinatore. D’altra parte in questi anni, nonostante un certo attivismo comunicativo, non si è creato nulla e la frequenza alla sede è stata a dir poco scarsa. Le lotte (se così possiamo chiamarle) contro la “buona scuola” sono prontamente rifluite, anestetizzate dalla normale gestione dei sindacatoni, lasciando il posto ad una normalizzazione ancora più pesante. Se può insegnare qualcosa, l’esperienza conferma il fallimento della formula del sindacalismo di base, presunta versione “radicale” della vecchia Cgil sul piano organizzativo (organizzazione categoriale, tesseramento, trattenute in busta paga…) e delle parole d’ordine (difesa della scuola pubblica, del servizio pubblico, della democrazia, della Costituzione). L’ultima figuraccia alcuni di questi sindacatini (Cobas in testa) l’hanno fatta dissociandosi, o non prendendo una posizione apertamente solidale, in occasione della montatura ai danni del SiCobas, a chiusura di una parabola di ormi trent’anni segnati da qualche sporadica lotta significativa (quella del 2001 contro il “concorsone”), ma dall’assenza di un percorso di crescita classista. Un obiettivo, questo, che il sindacalismo di base nel suo insieme non si è mai posto realmente, privilegiando una gestione burocratica dell’organizzazione, segnata dal conflitto tra ridicoli “gruppi dirigenti” interni in lotta per “conquistare il controllo” di organizzazioni che al massimo tesseravano qualche migliaio di iscritti. Ne sono nate innumerevoli scissioni, l’ultima delle quali potrebbe riguardare la stessa Cub, se non fosse che il vecchio Scarinzi, forse perché legato affettivamente alla sigla di cui è stato un fondatore, non se la sente di pretendere un chiarimento dopo le meschine manovre che hanno segnato l’ultimo congresso.

Sulla deriva delle maggiori organizzazioni sindacali di base, riporto un passo di un articolo dei ferrovieri Cub:“una delle maggiori trappole padronali, elaborata da Confindustria e accolta con entusiasmo Cgil, Cisl, Uil, è rappresentata dal Testo Unico sulla rappresentanza, per ora attivo solo nel settore privato, impone alle organizzazioni sindacali che vogliono partecipare alle forme di rappresentanza riconosciute dalle aziende (RSU, RSA, RLS), di rinunciare alla propria conflittualità (a partire dalla autolimitazione del diritto di sciopero) e in generale eliminare ogni forma di difformità/dissenso/discussione lungo l’impalcatura organizzativa, per lasciare solo le posizioni prese dai vertici. Tale patto segna sicuramente un guado nel sindacalismo tutto, più di quanto molti abbiano capito. Va intanto detto che alcune delle maggiori organizzazioni del sindacalismo di base hanno accettato questo accordo, infatti prima Cobas e poi Usb seppur con toni diversi, si sono piegate al ricatto padronale pur di mantenere pur di mantenere le rappresentanze ufficiali, percepite come unico modo possibile per organizzare i lavoratori, dimostrando di fatto una preoccupante deriva normalizzante” 1.

La fine di un ciclo potrebbe segnare però l’inizio di una fase nuova. La lotta dei facchini, con tutti i limiti dell’azione sindacale più volte da noi sottolineati, rappresenta al momento la forma di lotta più vicina a quella che auspichiamo e l’inizio di una strada lunga e difficile verso una ripresa generale dell’iniziativa operaia. A muoversi per ora sono gli ultimi, i facchini o i fattorini urbani, quando trovano una struttura sindacale in grado di organizzarli. Proprio perché il futuro del capitalismo non promette alcun miglioramento della condizione operaia, le lotte a venire nasceranno e si svilupperanno con sempre maggiore difficoltà, non solo per l’ingabbiamento legislativo e il collaborazionismo dei grandi (e piccoli) sindacati di regime, quanto perché la posta in gioco già oggi non è più un generico miglioramento o anche solo la conservazione dello status quo, ma la difesa da condizioni di volta in volta peggiorative e, in ultimo, la stessa possibilità di campare. Sarà la natura radicale di queste lotte a spingere le organizzazioni di difesa operaia a radicalizzarsi a loro volta, spezzando la camicia di forza delle compatibilità economiche e normative attuali. Quelle lotte, quando troveranno il modo di svilupparsi, anche se riusciranno a strappare solo piccole conquiste parziali saranno, nei metodi e negli obiettivi, di chiaro segno classista.

Per queste ragioni il silenzio assordante di oggi non è quello dei cimiteri e non sorprende. Il gioco vede gli attori capitalistici impegnati a scaricare i costi della crisi sul proletariato e possibilmente, quando appartengono a potenti aggregati nazionali, su quello delle nazioni più deboli, chiamati a pagare più degli altri per la sopravvivenza del capitale. Il proletariato delle nazioni più forti è indotto ad assecondarne la politica di potenza, vuoi per il peso dell’inerzia storica (come rilevava già Trotsky) vuoi per la paura delle sue componenti minacciate dalla crisi di perdere le poche garanzie rimaste e per la speranza di quelle più colpite di riconquistarle. In gioco non c’è più la posta di un salario decente, di migliori condizioni di lavoro… C’è piuttosto la paura di perdere quel poco che rimane sotto la pressione crescente della disoccupazione e dell’immigrazione. Il “sovranismo” è una manifestazione distorta della lotta di classe, che non porterà alcun vantaggio stabile al proletariato nel suo insieme, ma che per il momento ha la capacità di assorbire le tensioni sociali e convogliarle verso la sopravvivenza di questo modo di produzione. In un simile contesto, ci sarebbe proprio da stupirsi se una categoria come gli insegnanti, tutto sommato garantita nonostante i peggioramenti subiti nella condizione salariale e normativa, fosse protagonista di lotte significative. In queste fasi, vale il confronto con “chi sta peggio”: ma al peggio, si sa, non v’è limite. L’eterna logica della divisione tra “sommersi” e “salvati” (o “speranzosi di esserlo”…) funziona sempre alla grande.

1 http://www.frontedilottanoausterity.org//index.php?Action=viewnews&news=1487272378

 

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