DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Sono risapute la rabbia e l’indignazione con cui Lenin, ancora a Zurigo e poi durante il viaggio che lo riportava a Pietrogrado (naturalmente, lasciamo stare tutto il folclore e clamore sul “treno piombato”), lesse gli articoli pubblicati sulla “Pravda”, diretta allora da Stalin e Kamenev, e l’autentica strigliata che, al suo arrivo, diede all’intera redazione, silenziosa e allibita. Il motivo era le posizioni assunte dal POSD(b)R, il partito bolscevico di Russia, nei confronti del governo uscito dalla Rivoluzione di febbraio: un governo borghese, fortemente legato agli interessi economici, finanziari e strategici anglo-francesi, ancora compromesso – più o meno sotto banco – con il caduto regime zarista e intenzionato comunque a continuare la guerra di rapina imperialista in corso da tre anni. Nella sostanza, le posizioni del partito s’avvicinavano molto alle classiche tesi mensceviche: non belligeranza nei confronti di quel governo, aspettative legate alla convocazione di un’Assemblea Costituente, ambiguità nei confronti della guerra… Le “Tesi” che Lenin elaborò allora, una prima volta in forma sintetica (“Sui compiti del proletariato nella rivoluzione attuale”, 4-5 aprile) e pochi giorni dopo in forma estesa (“I compiti del proletariato nella nostra rivoluzione – Progetto di piattaforma del partito proletario”, 10 aprile), sono note come “Tesi d’aprile” e costituirono un’autentica, drastica rimessa a punto e dunque la precondizione per gli sviluppi successivi della tattica del partito, fino alla presa del potere nell’ottobre. E’ anche risaputo che l’intero partito, dopo aver accolto quelle “tesi” con un inziale sconcerto, si rese conto che quella era, nella realtà dei fatti, la posizione di sempre: che il “parlar chiaro” di Lenin aveva “rivelato il partito a se stesso” – più banalmente, l’aveva rimesso in carreggiata dopo pericolosi tentennamenti.

Nessuna “novità”, e nessun “uomo della provvidenza”

Nessuna “novità”, dunque. Il “colpo di barra” di Lenin riportava il partito a quella che, fin dal Manifesto del Partito Comunista del 1848 e dall’“Indirizzo del Comitato Centrale della Lega dei Comunisti” del 1850, e attraverso le leniniane “Due tattiche della socialdemocrazia nella rivoluzione democratica” del 1905 (e l’esperienza, prima, della Comune parigina del 1871 e, poi, della rivoluzione russa del 1905, con la nascita e l’organizzazione dei Soviet), era la tattica, ormai “codificata”, della rivoluzione in permanenza. Vale a dire, la tattica del partito comunista in una rivoluzione doppia, avente come obiettivo l’abbattimento del vecchio potere feudale e la presa del potere da parte del proletariato guidato dal suo partito, con l’assunzione anche di compiti borghesi sul piano economico: appoggio indipendente e in armi alla borghesia rivoluzionaria anti-feudale, pressione incessante per spingere fino in fondo la rivoluzione democratica (riforma agraria radicale, armamento del popolo, scardinamento del “dualismo dei poteri”) 1, preparazione e attuazione dell’insurrezione contro la nuova classe dominante, con l’obiettivo della presa del potere e dell’introduzione di tutte le misure economiche atte a sviluppare al massimo le forze produttive capitalistiche, promuovendo al contempo la rivoluzione proletaria pura, anti-democratica, nei paesi già a capitalismo avanzato 2. Ecco ciò di cui, nel marasma di quei primi mesi del 1917, “ci si era dimenticati”…

Nessuna “novità”, dunque. Ma anche nessun “uomo della provvidenza”. E’ il partito-Lenin a essere in azione in quell’aprile di cent’anni fa: non un individuo, sia pure straordinariamente dotato. E’ l’integrale del lavoro di partito al di sopra delle generazioni ad affermarsi. E’ il filo rosso, allontanandosi dal quale si butta a mare la teoria e l’esperienza collettiva, a essere riannodato. Non c’è “personalità” che tenga: c’è il lavoro collettivo di partito che va difeso con unghie e denti da ogni deformazione, inquinamento, rottura di continuità. L’individuo-Lenin fu colui che, sotto la pressione di determinazioni materiali storiche, meglio seppe difendere, in quel torno di tempo decisivo, quel patrimonio che è teorico e pratico insieme, fatto di analisi come di esperienze (quand’era ancora un marxista e “maestro” di Lenin, Plechanov scrisse appropriatamente sulla “Funzione della personalità nella storia”). Ecco perché parliamo di partito-Lenin e respingiamo con scherno ogni interpretazione metafisica dei fatti storici, ogni concezione individualistica della storia umana. Sia chiaro quindi che, se usiamo il nome “Lenin”, è soltanto in questo senso.

Teoria e prassi ristabilite

Dunque, nelle “Tesi di aprile” cogliamo non solo il ristabilimento della corretta teoria dopo gli equivoci tentennamenti dei bolscevichi rimasti in Russia e della “Pravda” in particolare. Cogliamo anche l’imperativo di tradurre in prassi quella teoria ristabilita, l’urgenza di uscire dai semplici proclami e rivolgersi alle masse di proletari e contadini poveri con obiettivi rispondenti ai loro bisogni non contingenti ma storici. Lenin striglia i compagni non solo perché avevano “dimenticato” la teoria, ma anche perché, dimenticando la teoria, stavano applicando la prassi scorretta. Di più: perché rischiavano di dimenticare che teoria e prassi sono un tutt’uno, che “tattica e organizzazione sono inscindibili dai principi”. Le “Tesi di aprile” sono dunque un ennesimo “richiamo all’ordine” teorico-pratico, nella più chiara continuità del materialismo dialettico e della storia del movimento comunista internazionale 3.

Lenin parte infatti dalla questione più scottante del momento: la guerra. E dichiara: no a ogni pratica e prospettiva di “difensismo rivoluzionario”. Va apertamente combattuto l’atteggiamento di tutti coloro che sostengono che, visto che lo zarismo è caduto e al suo posto s’è insediato un governo borghese-democratico, il carattere della guerra sarebbe mutato e compito del proletariato e dei contadini poveri sarebbe quello di appoggiarla contro il nemico tedesco. La guerra – dice Lenin – è e rimane una guerra imperialista, e come tale va considerata e combattuta. Noi non siamo “contro tutte le guerre”: questa è una posizione da estremismo semplicista. Ma soltanto quando il potere passerà al proletariato, si potrà parlare di “difensismo rivoluzionario” e “guerra rivoluzionaria”: e comunque, allora, quella posizione comporterà anche la rinuncia a ogni annessione e la rottura completa con tutti gli interessi del capitalismo (ciò si verificherà per l’appunto dall’Ottobre in avanti, grazie all’Armata Rossa organizzata e guidata da Trotski, nella difesa/offesa da parte del potere proletario contro l’aggressione di tutti i Paesi capitalisti coalizzati). Bisogna “spiegare con particolare cura, con perseveranza e pazienza” alle masse che la guerra si addice alla democrazia ancor più che al dispotismo. Bisogna condurre una propaganda sistematica nell’esercito e praticare la fraternizzazione fra i proletari in divisa su ogni lato dei fronti. Bisogna approfittare della situazione creatasi con il crollo dello zarismo (“fra tutti i paesi belligeranti, la Russia è oggi il paese più libero del mondo”, e attenzione: quell’“oggi” è in corsivo nell’originale!) per sviluppare, per il momento, un lavoro paziente fra le masse, ben sapendo che questo lavoro alla luce del sole ben presto dovrà accompagnarsi necessariamente al lavoro illegale. Nessun appoggio, dunque, al Governo Provvisorio di Lvov o a qualunque altro governo uscito dalla rivoluzione di febbraio: bisogna anzi smascherarlo agli occhi delle masse, mostrarne il carattere borghese e controrivoluzionario.

Questo lavoro paziente fra le masse riguarda poi soprattutto l’attitudine del partito nei riguardi dei soviet. Lì – ricorda Lenin – noi siamo oggi in minoranza: a maggior ragione, ripete, “il nostro compito potrà consistere soltanto nello spiegare alle masse in modo paziente, sistematico, perseverante, conforme ai loro bisogni pratici, gli errori della loro [dei soviet ancora dominati da altre forze politiche - NdR] tattica. Fino a che saremo in minoranza, svolgeremo un’opera di critica e di spiegazione degli errori, sostenendo in pari tempo la necessità del passaggio di tutto il potere statale al Soviet dei deputati operai, perché le masse possano liberarsi dei loro errori sulla base dell’esperienza” 4. Spiegare con pazienza e aiutare le masse a liberarsi degli errori sulla base dell’esperienza. Ecco che la dialettica materialista diviene dinamica storica, la teoria si traduce in prassi: quella del partito rivoluzionario e del suo lavoro all’interno degli organismi spontanei proletari, anche quelli più politici come i soviet.

Noi non rivendichiamo la repubblica parlamentare, perché sappiamo bene che la forma democratico-parlamentare è quella più adatta al dominio borghese. Noi rivendichiamo la Repubblica dei Soviet dei deputati operai, salariati agricoli e contadini, nell’intero paese, dal basso in alto: e ciò vuol dire prendere il potere. Sono le classiche parole d’ordine del 1848, verificate e praticate nel vivo dell’esperienza della Comune di Parigi. Commenta la nostra Struttura:

Qui si scorge la grandezza di Lenin. I Soviet sono non l’organo di lotta della rivoluzione, ma molto di più: la forma del potere statale rivoluzionario. Essi sono quello che era contenuto nelle parole: dittatura democratica. Il proletariato assume il potere nel corso della rivoluzione antifeudale, attua la trasformazione sociale che in sostanza è creazione di capitalismo, ma in questo tempo non toglie solo il potere alla borghesia e ai grandi terrieri, ma lo organizza in una forma che li esclude del tutto anche dal diritto di rappresentanza.

Sola delegazione politica sarà quella nel seno della rete dei Soviet dalla periferia al centro; su questa trama poggerà lo Stato; la borghesia non solo non avrà il potere ma non figurerà nemmeno come un partito di opposizione.

[…] La forma propria della rivoluzione antifeudale russa non sarà un’assemblea parlamentare come nella rivoluzione francese, ma un organo diverso, fondato solo sulla classe dei lavoratori della città e della campagna.

Non solo cade il pretesto di aspettare le elezioni della Costituente, ma cade la necessità di questa: il ciclo si chiuderà a suo tempo con la dissoluzione coatta. Si tratta di una tutta diversa strada: conquistare nel Soviet una maggioranza bolscevica, lavorando legalmente (1848: organizzare il proletariato in partito politico), poi conquistare tutto il potere al Soviet (organizzare il proletariato in classe dominante), evidentemente abbattendo con la forza il potere del governo provvisorio.

Nella rivoluzione socialista [aggiungiamo: pura, anti-democratica – NdR], il proletariato abbatterà il potere del governo stabile parlamentare e comunque borghese e organizzerà la dittatura dei soli salariati condotta dal partito comunista.

Qui [Russia, aprile 1917 – NdR] – non dimenticarlo mai – la storia cerca ancora le forme del potere proletario nella tardiva rivoluzione democratica. 5

Verso il socialismo. Ma solo “verso”

E le “Tesi”, sia nella forma sintetica del 4-5 aprile sia in quella estesa e più organica del 10 aprile, vanno avanti. Polizia, esercito, corpo dei funzionari (vale a dire, l’apparato statale borghese) vanno soppressi e sostituiti con il popolo armato, cosa che equivale a ridurre in frantumi quell’apparato. Non solo: sull’esempio ormai noto della Comune di Parigi, eleggibilità e revocabilità, in ogni momento, di tutti i funzionari e loro stipendio che non superi il salario medio di un buon operaio – passo questo che elimina ogni tentazione di carrierismo e va verso il superamento della divisione sociale del lavoro. Ma citiamo per intero la tesi in questione, perché è importante per mostrare come sia qui davvero in atto la traduzione della teoria in prassi, e come questo processo s’innalzi ben al di sopra di ogni visione timidamente piccolo-borghese della trasformazione sociale. Dice il partito-Lenin al punto 12 de “I compiti del proletariato nella nostra rivoluzione” (la versione estesa del 10 aprile):

La sostituzione della polizia con una milizia popolare è una riforma che scaturisce da tutto lo svolgimento della rivoluzione e che si sta oggi realizzando nella maggior parte delle località della Russia. Noi dobbiamo spiegare alle masse che questa riforma è stata del tutto effimera nella maggior parte delle rivoluzioni borghesi di tipo ordinario e che la borghesia, anche la più democratica e repubblicana, ha sempre ricostituito la polizia di vecchio tipo, zarista, separata dal popolo, comandata dalla borghesia, capace solo di opprimere il popolo in mille modi. Per impedire la ricostituzione della polizia c’è un solo mezzo: creare una milizia di tutto il popolo e fonderla con l’esercito (sostituire l’esercito permanente con l’armamento generale del popolo). Di questa milizia dovranno far parte tutti i cittadini e le cittadine senza eccezioni, da 15 a 65 anni (se con questi limiti d’età è possibile circoscrivere, in modo approssimativo, la partecipazione alla milizia degli adolescenti e dei vecchi). I capitalisti dovranno pagare agli operai salariati, ai domestici, ecc., le giornate dedicate al servizio civile nella milizia. Fino a quando le donne non saranno chiamate a partecipare autonomamente non solo alla vita politica nel suo insieme, ma anche al servizio civile permanente e generale, non si potrà parlare non solo di socialismo, ma nemmeno di democrazia integrale e durevole. Funzioni di ‘polizia’ come l’assistenza agli infermi e all’infanzia abbandonata, il controllo igienico sull’alimentazione, ecc., non possono essere garantite in modo soddisfacente fino a che le donne non avranno ottenuto di fatto, e non sulla carta, l’uguaglianza giuridica.

Impedire la ricostituzione della polizia, mobilitare le capacità organizzative di tutto il popolo per la creazione di una milizia di tutti, ecco gli obiettivi che il proletariato deve indicare alle masse per difendere, consolidare e sviluppare la rivoluzione. 6

Chiaro? Nessuna illusione di poter “instaurare immediatamente il socialismo” 7: le classi esistono ancora, così come esiste ancora il salario, e si parla ancora di “democrazia integrale e durevole”. Il “passaggio al socialismo” (passaggio e non “instaurazione”, con tutto ciò che di volontaristico e non materialista il sostantivo possiede) sarà possibile, come si vedrà in seguito, solo in connessione con la rivoluzione proletaria pura almeno nei paesi capitalisti avanzati, Germania in primo luogo. Su questo tema, Lenin continuerà a battere, in quei giorni e in quelle settimane. Vi ritornerà su, per esempio, alla VII Conferenza Panrussa del POSD(b)R, nel “Rapporto sul momento attuale” del 24 aprile, volto a “esaminare il momento attuale e darne una valutazione”, tema, questo “molto vasto”, da articolare in tre punti: “primo, la valutazione della situazione propriamente politica da noi, in Russia, e l’atteggiamento verso il governo e verso il dualismo del potere; secondo, l’atteggiamento verso la guerra; terzo, la situazione determinatasi nel movimento operaio internazionale, che lo colloca, su scala mondiale, di fronte alla rivoluzione socialista” 8. Di nuovo, la sua preoccupazione è chiarire ai compagni di partito come si deve agire nel e con il proletariato, come il partito deve esercitare la propria funzione dirigente partendo dalle contraddizioni che colpiscono i proletari e i contadini poveri e poverissimi, come sviluppare in pratica e portare fino in fondo la rivoluzione doppia, la rivoluzione in permanenza, in un paese arretrato come la Russia. Ancora una volta, Lenin batte e ribatte i chiodi fondamentali di una strategia e di una tattica che dovrebbero essere ben note a tutti i compagni, perché non sono nuove: sono codificate fin dal 1848 e precisate ulteriormente nelle “Due tattiche”. Dice, sempre nel “Rapporto”: “Non possiamo essere per l’‘introduzione’ del socialismo. Sarebbe la più grave delle assurdità. Noi dobbiamo propugnare il socialismo [spiegare con pazienza! NdR]. La maggioranza della popolazione è composta in Russia di contadini, di piccoli proprietari, che non possono nemmeno pensare al socialismo. Ma che cosa potrebbero obiettare alla creazione di una banca in ogni villaggio che desse loro la possibilità di migliorare l’azienda? A questo non potrebbero obiettare niente. Noi dobbiamo divulgare queste misure pratiche fra i contadini e rafforzare in loro la coscienza di questa necessità” (pp.241-242). Banca, azienda – cioè, capitalismo.

Ma torniamo a “I compiti del proletariato nella nostra rivoluzione”, dove, per l’appunto, si parla di compiti che sono ancora del tutto interni a una situazione in cui si tratta di sviluppare il capitalismo in una Russia economicamente e socialmente arretrata. Al punto 13, si dice che “Noi dobbiamo esigere la nazionalizzazione di tutte le terre, cioè il passaggio di tutte le terre del paese in proprietà del potere statale centrale”, facendo “di ogni grande proprietà fondiaria confiscata una grande azienda modello, sotto il controllo dei Soviet dei deputati dei salariati agricoli9. E, al punto 15 (p.66), fra “le misure rivoluzionarie urgenti, praticamente mature, spesso realizzate durante la guerra da vari Stati borghesi, soprattutto indispensabili per combattere il totale dissesto economico e la fame” (corsivo nell’originale), si dice che è “assolutamente necessario propugnare e, nei limiti del possibile, realizzare per via rivoluzionaria misure come la nazionalizzazione della terra, di tutte le banche e dei sindacati [trust, cartelli, ecc. – NdR] capitalistici o, quanto meno, la istituzione di un controllo immediato dei Soviet dei deputati operai, ecc., su questi istituti, anche se tali misure non significano l’‘introduzione’ del socialismo. Senza queste misure, che sono soltanto il primo passo verso il socialismo e che sono perfettamente realizzabili sul piano economico, è impossibile guarire le ferite causate dalla guerra e prevenire la catastrofe che ci minaccia”.

E il secondo passo?

Il secondo passo potrà solo venire dalla rivoluzione proletaria pura nei paesi avanzati. E difatti, i punti successivi toccheranno la questione dell’Internazionale e del nome del partito. Nella versione sintetica del 4-5 aprile, ecco le ultime tre tesi, riprese poi in maniera più articolata nella versione del 10 aprile:

  1. Il nostro compito immediato non è l’‘instaurazione’ del socialismo, ma, per ora, soltanto il passaggio al controllo della produzione sociale e della ripartizione dei prodotti da parte dei Soviet dei deputati operai.
  2. Compiti del partito:
  3. a) convocare immediatamente il congresso del partito;
  4. b) modificare il programma del partito, principalmente: 1) sull’imperialismo e sulla guerra imperialistica; 2) sull’atteggiamento verso lo Stato e sulla nostra rivendicazione dello ‘Stato-Comune’; 3) emendare il programma minimo, ormai invecchiato;
  5. c) cambiare il nome del partito [in nota: “Invece di ‘socialdemocrazia’, i cui capi ufficiali (‘difensisti’ e ‘kautskiani’ tentennanti) hanno tradito il socialismo in tutto il mondo, passando alla borghesia, dobbiamo chiamarci Partito comunista”]
  6. Rinnovare l’Internazionale. Prendere l’iniziativa della creazione di un’Internazionale rivoluzionaria contro i socialsciovinisti e contro il “centro”. 10

Quanto al nome del partito, il 10 aprile Lenin spiegherà in maniera dettagliata e argomentata come le espressioni “socialdemocrazia” e “socialdemocratico” contengano ormai troppe ambiguità e contraddizioni, troppi ricordi dolorosi per il movimento comunista internazionale, e si debba quindi tornare all’accezione originaria, quella del Manifesto del Partito Comunista del 1848: “Dobbiamo ripetere che siamo marxisti e che prendiamo per base il Manifesto comunista, svisato e tradito dalla socialdemocrazia su due punti principali: 1) gli operai non hanno patria, la ‘difesa della patria’ nella guerra imperialistica è un tradimento del socialismo; 2) la teoria marxista dello Stato è stata travisata dalla II Internazionale” 11.

Non si tratta qui di un “vezzo” formale (proprio Lenin!). Al contrario, unendosi al proposito (“Prendere l’iniziativa…”) di creare una nuova Internazionale, il cambiamento di nome – da “Partito Operaio Socialdemocratico (b) Russo” a “Partito comunista” – implica anche l’abbandono di quel che di nazionale, di “russo”, il vecchio nome implicava, e il proiettarsi decisamente in una prospettiva mondiale. Come si legge nella nostra Struttura…, “L’Ottobre deve dirsi rivoluzione socialista, non solo perché il proletariato è la classe pilota e dominante, ma per la sua forma politica e statale originale, che trascende ogni repubblica borghese e che è quella propria della rivoluzione socialista internazionale, mentre tuttavia la trasformazione socialista della struttura economica questa nuova forma e forza non la potrà cominciare dalla Russia, bensì dall’Europa” 12.

La fondazione, due anni dopo, dell’Internazionale Comunista rappresenterà il culmine del processo che le “Tesi d’aprile”, nella loro concatenazione dialettica interna e nella loro sintetica traduzione della teoria in prassi, avevano avviato, in perfetta continuità con tutto il lavoro politico collettivo precedente. Così, rimesso sui binari giusti, il partito era pronto ad affrontare il percorso non semplice, non lineare, che separava aprile da ottobre.

Note

1 Vale la pena ricordare che Lenin ha sempre ben chiara la distinzione fra “popolo” e “proletariato”? In molti, se ne sono bellamente dimenticati, da allora!

2 Su tutto ciò, rimandiamo al secondo articolo di questa “serie”, intitolato “1917-2017. La Russia, i bolscevichi e la rivoluzione proletaria” e apparso sul numero scorso di questo giornale.

3 Quanto segue, ripropone l’analisi delle “Tesi” contenuta nella nostra Struttura economica e sociale della Russia d’oggi (1955-57), Edizioni Il programma comunista, Milano 1976, pp.140 e segg.

4 Lenin, “Sui compiti del proletariato nella rivoluzione attuale”, Opere complete, Vol. 24, p.13.

5 Struttura economica e sociale della Russia d’oggi, cit. pp.128-129.

6 Lenin, “I compiti del proletariato nella nostra rivoluzione”, Opere complete, Vol. 24, pp.63-64.

7 Si vedano anche, a questo proposito, le “Lettere sulla tattica”, dello stesso aprile, in cui Lenin confuta, su questo come su altri punti, le obiezioni dei “vetero-bolscevichi”, con particolare riferimento a Kamenev e alla redazione della “Pravda” (in Opere complete, Vol.24, pp.35-47).

8 Lenin, “Rapporto sul momento attuale”, in Opere complete, Vol. 24, p.228. La citazione seguente è tratta da questo stesso testo.

9 Lenin, “I compiti del proletariato nella nostra rivoluzione”, cit., p.64 (la citazione che segue è sempre dallo stesso testo). A proposito della nazionalizzazione della terra, la nostra Struttura economica e sociale della Russa d’oggi ricorda che essa significa “confisca della rendita fondiaria da parte dello Stato: misura tanto borghese che fu proposta da Ricardo” (cit., p.133).

10 Lenin, “Sui compiti del proletariato nella rivoluzione attuale”, cit., p.13-14.

11 Lenin, “I compiti del proletariato nella nostra rivoluzione”, cit., p.76.

12 Struttura economica e sociale della Russia d’oggi, cit., pp.140-141.

Partito comunista internazionale

                                                                           (il programma comunista)

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