DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Nei nostri articoli e volantini scriviamo spesso della progressiva militarizzazione della vita sociale. Ad alcuni, può sembrare eccessivo. Poi, però, si leggono le ultime notizie, si guarda fuori della finestra o si scende da basso e – se davvero si vuol capire e vedere – ci si accorge che eccessivo non è.

Negli ultimi anni, in tutti i paesi, l’incessante processo di militarizzazione della vita sociale, che è proprio del sistema capitalistico, ha conosciuto una decisa accelerazione. Con il pretesto del terrorismo o della criminalità, di questo o quel “Nemico Minaccioso”, città, paesi, località, territori (stazioni, metropolitane, luoghi pubblici, strade, periferie) vengono occupati militarmente e un complesso sistema di sorveglianza e controllo stringe la nostra vita quotidiana in una rete soffocante. Altro che “la polizia quando c’è bisogno non c’è mai”! La polizia c’è anche quando (soprattutto quando) non si vede. La stessa presenza fisica, la minaccia, la strafottenza della presenza, servono a intimidire a 360°. Sono un monito: “che nessuno si muova al di fuori delle regole”.

 

Nei quartieri proletari delle grandi metropoli del cosiddetto “capitalismo avanzato”, l’occupazione manu militari serve a tener in esercizio le squadre di sbirri e mira a scoraggiare, contenere, reprimere qualunque possibile tentazione di moto o anche solo comportamento antagonista. Siamo esagerati? Siamo paranoici? Siamo complottisti? O forse abbiamo gli occhiali giusti per vedere?

In quanto paese imperialista più potente, gli Stati Uniti indicano, come sempre dai primi del ‘900, la strada. Da decenni, i loro ghetti sono militarizzati all’insegna della “Tolleranza Zero”, e i risultati si sono visti: decine di giovani (e non più giovani) neri uccisi per strada nella maniera più spiccia e brutale e carceri che si gonfiano in maniera mostruosa, “ospitando” in larga maggioranza le componenti sociali “a rischio” (a rischio per il capitale, s’intende!). Ma la Francia segue a ruota: nelle banlieues intrise di miseria e mal di vivere, i flics presidiano e provocano con spietata arroganza – fermi e arresti, sopraffazioni di ogni genere, la matraque (il manganello) usata in tutti i modi possibili, anche i più immondi, moltiplicazione dei reati e inasprimento delle pene, “carcerizzazione” diffusa (“Il numero di individui in mano alla giustizia è aumentato di circa il 50% fra il 1997 e il 2017”, Le Monde Diplomatique-Il Manifesto, maggio 2017). Come spiega un giovane di una delle periferie francesi: “Nessuno ci protegge da loro [gli sbirri]. Quando li vedi, ti metti a correre in direzione opposta” (Le Monde, 28 marzo 2017). E l’Inghilterra e la Germania? Dobbiamo davvero fornire dati anche per questi due paesi?

Quanto all’Italia… l’Italia può contare su una bella varietà di strutture repressive, da quelle ufficiali, istituzionali, a quelle irregolari, illegali e mafiose. Ci si è già dimenticati di Rosarno, appena sette anni fa? O dei “centri d’accoglienza” che sono sempre più veri e propri lager? O dei mille e mille soprusi, delle mille e mille violenze che colpiscono migranti e “irregolari” (irregolari rispetto alla “regolarità” di un capitalismo che come legge riconosce solo quella del profitto)? Di recente, abbiamo assistito con disgusto alla mobilitazione poliziesca con cui la “Milano col cuore in mano” ha “ripulito da indesiderabili” la Stazione Centrale, già da tempo trasformata in fortilizio con oscene misure tangibili di contenimento e segmentazione degli spazi: grande dispiego di mezzi e uomini, grande spolvero e retorica politica di destra e di “sinistra”, proclami e battimani – mancava solo il tamburino in testa. E, negli stessi giorni, a Roma c’è stata l’ennesima caccia all’uomo, all’extracomunitario, da parte dei robot in divisa con relativo morto finale (“morto probabilmente d’infarto”, dicono: perché, se non scorre il sangue, la morte è… fatale e democratica).

Anime belle che ci date degli esagerati, ne vedrete ancora, e sempre peggio! E attenzione, il manganello è pronto anche per voi.

C’è poi un’altra forma di crescente militarizzazione. Non la vedete nelle strade e nelle piazze o in altri luoghi pubblici: è dentro casa vostra, passa attraverso lo schermo televisivo e i mass media in generale. Non è un caso che la televisione mandi, con un’insistenza impressionante, una sequela illimitata di telefilm aventi come protagoniste le “forze dell’ordine”. E che i romanzi polizieschi facciano a gara con i telefilm, con squadre simpaticone di investigatori, commissari alla mano, problematici e con patemi d’animo ma rigore morale e coscienza progressista, a volte un po’ sgarrupati, addirittura quasi marginali (perché “così son più umani”).

Non vogliamo né scherzare né fare del moralismo. Non si tratta di piani diabolici, non si tratta di “Grande Fratello” e compagnia cantante. Si tratta di un aspetto significativo dell’ideologia dominante che non può non esprimere dinamiche sociali profonde e al contempo non può non alimentarle. Legare sempre più il “cittadino” (individuo fragile, isolato, spaventato, arrabbiato) allo Stato e ai suoi bracci armati, ecco quel che si deve fare: rendergli care le “forze dell’ordine” (“amano, parlano e soffrono come noi”, “come sono abili, con le loro raffinate tecnologie”, “ci difendono e noi dobbiamo essere loro grati”)… Far dimenticare che cos’è davvero lo Stato, con i suoi apparati economici, politici, finanziari, ideologici, e – appunto – militari; presentarlo come un Buon Papà che ogni tanto uno scappellotto te lo dà, ma per il tuo bene. E invece lo Stato è lo strumento articolato del dominio di classe.

C’è ancora dell’altro. Nel settembre 2016, la “pacifica” Svezia, simbolo del nordico benessere e buongovernare, ha deciso di ripristinare, a partire dall’anno prossimo, il servizio militare obbligatorio, abolito solo sette anni fa (a deciderlo, è – si badi bene – il governo a “coalizione di sinistra”). Il motivo sarebbero “le crescenti e sempre più pericolose provocazioni militari, aeree e navali, della Russia […] La sofferta [!] decisione svedese si inserisce nel trend al riarmo che coinvolge tutti i cinque pacifici, democratici, civilissimi paesi nordici, cioè – oltre al Regno delle tre corone – Danimarca, Finlandia, Islanda e Norvegia […] ‘Da anni constatiamo che un esercito di volontari non basta, i volontari sono insufficienti per garantire la piena operatività della difesa’, spiega Johan Osterberg, della School for advanced defence studies” (La Repubblica, 30 settembre 2016).

Sulla questione del riarmo e dell’aumento delle spese militari, torneremo nei numeri prossimi di questo giornale. Limitiamoci qui a registrare il fatto e a metterlo nel novero delle misure di crescente militarizzazione della vita sociale. Che sia così è dimostrato anche dalla recente proposta della responsabile della Difesa italiana, Pinotti, di rendere obbligatorio il servizio civile. Ricordando che “la leva militare non è mai stata abolita: è stata solo sospesa e tecnicamente potrebbe essere riattivata in ogni momento”, la responsabile spiega che la proposta ruota intorno all’“idea di riproporre a tutti i giovani e alle giovani di questo Paese un momento unificante, non più solo nelle forze armate, ma con un servizio civile in cui i giovani possono scegliere dove meglio esercitarlo” (citato dal Corriere della Sera, 15 maggio 2017). Che cos’è questo se non il progetto di riprendere e consolidare il processo di compattamento sociale, rivolto essenzialmente a uno strato giovanile che conosce sempre più la condizione di emarginazione, disoccupazione e isolamento, e che potrebbe sfuggire al controllo statale? Legare i giovani allo Stato, attraverso un percorso di “apprendistato civile” che solo gli idioti non riescono a vedere come una preparazione alla leva militare, quando questa dovesse essere “riattivata”. Da parte sua, il Capo di Stato Maggiore Graziano rincara la dose, facendo eco a Pinotti: “Crescono i giovani che vogliono entrare tutti gli anni nelle forze armate: 8mila per ogni Accademia, in totale quasi 80mila. C’è una percezione positiva di quello che i militari stanno facendo per la sicurezza internazionale e i rapporti con le forze di polizia, per un sistema coordinato di sicurezza e di difesa. Le forze armate hanno fatto i conti con il passato, oltre ad avere una chiara vocazione per la democrazia sono tornate a fare i militari e nelle operazioni di pace. Abbiamo forze in Iraq, in Afghanistan, in mare” (sempre sul Corriere del 15/5). Come si può non comprendere che “democrazia” va a braccetto con “militarizzazione”, e viceversa? Che “la guerra s’addice alla democrazia”, e viceversa?

Insomma, la leva c’è ma (ancora) non si vede, il servizio civile obbligatorio può far da apprendistato e le forze armate attendono fiduciose questo nuovo afflusso di sangue giovane (e disoccupato!). Soprattutto, opera nei fatti quell’affasciamento sociale collettivo così necessario per far fronte ai tempi turbolenti che si preparano.

E di proposito abbiamo usato il termine affasciamento

 

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