DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Le decine e centinaia di migliaia di uomini, donne, bambini (i vecchi che rimangono possono solo esser lasciati a morire), in fuga dai teatri di guerra in Irak, Siria, Afghanistan, Yemen, Centr'Africa, Libia, da intere regioni dell'Africa divorate da carestie e miseria endemica, che cercano disperatamente di salvarsi con traversate di terra e mare trovando spesso la morte fra le dune e fra le onde, questo spaventoso movimento di esseri umani che suscita le più bastarde e vomitevoli reazioni, tutto ciò è un'ulteriore dimostrazione che questo modo di produzione, il capitalismo, va abbattuto perché nasca finalmente una società, in cui spariscano le divisioni di classe, la corsa al profitto, la competizione di tutti contro tutti, la repressione e l'oppressione delle popolazioni, le guerre fra briganti imperialisti, insomma tutto lo schifo in cui è immersa la società del capitale.

 

Esageriamo? No, siamo realisti. L'Africa, il Medio Oriente, intere regioni dell'Asia (e che dire poi dell'America Centrale e Meridionale?) sono state massacrate dalla penetrazione capitalista, in forma di colonialismo prima e imperialismo poi. Altro che “portare la civiltà ai barbari”! Basti sapere degli effetti devastanti che la monocoltura delle arachidi (uno dei perni dello sfruttamento capitalistico) ha avuto su interi paesi dell’Africa sub-sahariana, come il Senegal – sulle loro economie e società, e dunque sulla vita quotidiana di centinaia di migliaia di esseri umani, sui legami contraddittori e conflittuali che le loro classi dirigenti intrattengono con questo o quel potere colonial-imperialista alla cui ombra sono nate; o conoscere la vicenda, tremenda e destinata a lasciare strascichi sanguinosi, del modo in cui quei poteri, nel corso di tutto l'800 e di tutto il '900, hanno tramato per mettere le une contro le altre tribù, caste ed etnie: la guerra fra Hutu e Tutsi in Rwanda, con i suoi 800mila morti, valga per tutte le tragedie cui abbiamo assistito.

E oggi? oggi che guerre oscene si trascinano in intere zone del pianeta, facendo del secondo dopoguerra un unico, continuo mattatoio di popolazioni? Il corso del capitalismo, entrato nella sua fase di crisi strutturale a metà degli anni '70 del '900, è alla base di tutti questi massacri: la sovrapproduzione, l'ingolfamento delle economie nazionali, la finanziarizzazione come pretesa via per uscire dalla crisi, il crollo dei prezzi delle materie prime e la necessità di controllarne le sorgenti e le vie del loro trasporto escludendone i concorrenti, le varie bolle che scoppiano una dopo l’altra, tutto quello che da decenni noi analizziamo e denunciamo come proprio del capitalismo nella sua fase imperialista, ecco che cosa sta dietro questi movimenti giganteschi. “Aiutiamoli a casa loro”, ha proclamato uno dei tanti stolidi burattini del capitale. Be', da un secolo e mezzo almeno il capitalismo li sta “aiutando a casa loro”: e questi sono gli effetti!

Sulla pelle di questi disperati in fuga si gioca oggi la partita più sporca e schifosa che si possa immaginare: fondi europei da accaparrare, business dei migranti nemmeno troppo nascosto (quelle migliaia e migliaia di euro, dollari o altre valute estorte ai poveracci alla partenza o nei campi di lavoro all'arrivo fanno comunque “girare l'economia”, che è la parola d'ordine di ogni capitalismo nazionale), crescenti baruffe inter-imperialiste, cupi revanscismi nazionalisti, imbecille retorica populista e razzista, buonismo retorico e impotente, e – in ultima analisi – cruda preparazione ideologica, anche se per ora non ancora pratica, di un nuovo, generalizzato conflitto mondiale. Sì, perché la “questione dell'immigrazione” serve, eccome!, per mettere gli uni contro gli altri proletari “indigeni” già abbastanza massacrati da una crisi di cui nessuno, al di là delle vuote proclamazioni di finto ottimismo, vede la fine, e masse proletarie o in via di proletarizzazione, che servono comunque all'economia in crisi (abbassando i salari, creando un serbatoio enorme di esercito industriale di riserva), ma che fanno paura perché – se dovessero saldarsi al fronte proletario “indigeno” – apporterebbero un prezioso potenziale di rabbia, antagonismo, necessità di organizzarsi e di lottare. Fantasie? Ma a che altro serve (oltre a tutto il clamore apertamente e dichiaratamente terroristico sull'“invasione”) la distinzione fra “migranti economici” e “richiedenti asilo”? Come se i primi non fossero anche i secondi e viceversa! Chi fugge dalle guerre tra imperialismi avendo perso ogni cosa non è forse un “migrante economico”? e chi fugge da una miseria di chiara origine economica aggravata dalla persistente crisi di sovrapproduzione non è forse un “richiedente asilo”? Ipocrite distinzioni, buone solo per le iene borghesi.

Torneremo ancora (come d'altra parte abbiamo sempre fatto) su quest'immane tragedia. Ma intanto sia chiaro: noi comunisti rivendichiamo l'assoluta libertà di movimento di tutti i migranti, denunciamo tutte le misure di controllo, sorveglianza, contenimento, confinamento, imprigionamento, lagerizzazione, repressione e persecuzione cui sono sottoposti, combattiamo ogni forma più o meno larvata di razzismo a parole e nei fatti, operiamo per una saldatura effettiva fra proletari “indigeni” e proletari migranti da ogni parte del mondo, di ogni lingua, religione, etnia. Le immani migrazioni frutto degli scompensi caratteristici del capitalismo fanno esplodere altre contraddizioni sulla scena di un modo di produzione che – lo ripetiamo con forza – dobbiamo prepararci ad abbattere, prima che combini disastri ancora peggiori a danno della specie umana.

“Proletari di tutto il mondo, unitevi!” non è uno slogan. E' un grido di battaglia.

 

Partito comunista internazionale

                                                                           (il programma comunista)

 

 

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