DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Meno d’una quarantina d’anni fa (in pratica due generazioni), in quella che storicamente si chiama Russia, e sui più vasti territori contigui, europei e asiatici, dominava l’Unione Sovietica, l'URSS, che, nell'immaginario collettivo, rappresentava il “regno del socialismo reale”, più spesso banalizzato come “comunismo”. Allora, qualunque atteggiamento si assumesse nei suoi confronti, che fosse di ammirazione o di detrazione, non poteva comunque sfuggire la decadenza economica e sociale di quella società, ben rappresentata dalle file chilometriche fuori da negozi sguarniti di merci, sotto il vigile sguardo dei volti, mummificati in effigie, delle massime autorità. La continuità nel tempo di quest’entità statale e del suo “modello economico” non era messa in dubbio da nessuna persona “sana di mente”. Eppure, a metà degli anni ‘80 del ‘900, l'Unione Sovietica non sarebbe sopravvissuta di un lustro: lontane rimanevano le gesta di

un’economia in forte espansione quantitativa e qualitativa, che contribuivano ad alimentare la grande illusione della “patria socialista”.

Dopo la deflagrazione dell'URSS, furono due (e ancora lo sono) le principali reazioni dei sostenitori (anche critici) di quell’esperienza. Da una parte, una maggioranza di “pentiti” che, con diverse sfumature d’intensità, rinnegarono e rinnegano quest’esperienza e, quale che sia l'illusione spezzata, concordano nel ritenere per sempre impossibile il socialismo come società realmente attuabile. Dall’altra, una minoranza di “dubbiosi”, che si arrovellarono e si arrovellano in vario modo per trovare quale ingranaggio si sia inceppato, quale aspetto (soggettivo od oggettivo) sia intervenuto a modificare il corso delle cose, quale potente nemico abbia potuto fiaccare la gagliarda “patria socialista”, ignari del fatto che, nel sostenere ciò che sostengono, cadono nel paradosso anti-dialettico di far percorrere a ritroso il cammino del susseguirsi dei modi di produzione storici, in un assurdo rinculo dal… socialismo al capitalismo.

Entrambe le posizioni sono però profondamente sbagliate, perché sbagliata è la premessa da cui partono. Per capire invece i fatti e la loro storia, bisogna esaminare se l’Unione Sovietica sia mai stata, a qualunque titolo, uno Stato socialista 1.

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È sempre pericoloso (oltre che controrivoluzionario) analizzare le questioni di teoria, strategia e tattica, separandole le une dalle altre: l'edificio scientifico marxista si regge sulla sua interezza, in ciascuna delle sue interconnessioni dialettiche – ogni questione in rapporto con le altre. Solo per comodità di esposizione dovremo però analizzare un argomento alla volta, riunendo successivamente le relazioni fra le varie parti che compongono la nostra dottrina.

In questo lavoro, dunque, ci chiediamo: quali erano, al 1917, gli obiettivi dei comunisti russi? era davvero all'ordine del giorno la trasformazione della Russia zarista in una Russia socialista? Rispondere a queste domande significa capire come i bolscevichi affrontassero, in maniera corretta, la questione della rivoluzione doppia, o – per usare i termini di Marx – della rivoluzione in permanenza, nella Russa del 1917.

Fin dalla nascita del comunismo scientifico (1848, Manifesto del Partito Comunista), questo problema era ben presente ai compagni: bisognava cioè indicare quale dovesse essere la tattica dei comunisti nell’ambito di rivoluzioni borghesi che per tutto il secolo XIX scuoteranno le terre europee. In altre parole: che cosa doveva fare la nascente classe proletaria europea, di fronte a una borghesia rivoluzionaria, spinta a farla finita con il regime feudale? La risposta era tanto dialettica quanto ferma. La classe proletaria doveva appoggiare la propria borghesia nazionale nella lotta per l'abbattimento del vecchio edificio sociale: un appoggio di carattere contingente, con piena autonomia politica e di azione dei proletari inquadrati nel partito di classe, e alla condizione che la borghesia stesse attuando una rivoluzione armata dal basso, e non un putsch di palazzo. Realizzata la democrazia borghese con la nascita degli Stati moderni e con l’affermarsi dunque del principio nazionale (la forma più adatta per lo sviluppo del sistema), il proletariato doveva continuare la propria lotta verso la rivoluzione socialista, rompendo ogni legame con la propria borghesia. Questa, in sintesi, la tattica della rivoluzione doppia, legata indissolubilmente alle altre fondamentali posizioni della rivoluzione in permanenza, come pure al materiale processo di nascita degli Stati nazionali capitalistici e alle condizioni storiche del movimento proletario internazionale. Che si trattasse solo di appoggio su posizioni autonome, e con obiettivi del tutto opposti a quelli della borghesia, e mai di sedersi alla stessa tavola imbandita nella sua “Repubblica”, lo dimostra l’esperienza della Comune di Parigi (1871): dopo quell’esperienza, nel campo geo-storico dell'Europa occidentale, la tattica della rivoluzione doppia, ovvero dell'appoggio alla rivoluzione borghese, non aveva più senso. Simbolicamente e materialmente, con la Santa Alleanza fra borghesi francesi e prussiani che schiacciò nel sangue la prima rivoluzione operaia, la borghesia europea aveva decretato la propria ascesa definitiva a classe dominante. Al contempo, attraverso l’esperienza sul campo della sua sezione francese, il proletariato, cresciuto in quantità e organizzazione in virtù di mezzo secolo di sviluppo capitalistico, cominciò e provò a imboccare la strada della sua rivoluzione monoclassita, contrapposta alla propria borghesia, sperimentando il primo esempio di dominio politico proletario. Questo il lascito più importante del governo rivoluzionario della Comune. Nelle parole di Marx:

Il fatto che dopo la guerra più terribile dei tempi moderni, l’esercito vincitore e l’esercito vinto fraternizzino per massacrare in comune il proletariato, questo fatto senza precedenti non indica, come pensa Bismarck, lo schiacciamento definitivo di una nuova società al suo sorgere, ma la decomposizione completa della società borghese. Il più alto slancio di eroismo di cui la vecchia società è ancora capace è la guerra nazionale; e oggi è dimostrato che questa è una semplice mistificazione governativa, la quale tende a ritardare la lotta delle classi e viene messa in disparte non appena la lotta di classe divampa in guerra civile. Il dominio di classe non è più capace di travestirsi con un’uniforme nazionale; contro il proletariato, i governi nazionali sono uniti. Dopo la Pentecoste del 1871 non vi può essere né pace né tregua tra gli operai francesi e gli appropriatori del prodotto del loro lavoro. La mano di ferro di una soldatesca mercenaria potrà per un certo tempo tenere le due classi sotto una stessa oppressione; ma la battaglia tra di loro dovrà scoppiare di nuovo in proporzioni sempre più grandi, e non può essere dubbio chi sarà alla fine il vincitore: se i pochi accaparratori o l’immensa maggioranza lavoratrice. E la classe operaia francese non è che l’avanguardia del proletariato moderno2 .

Per la classe operaia di questa parte del mondo, non si trattava più di allearsi con chicchessia: al contrario, bisognava lavorare per una rivoluzione pura, di classe, ovvero per la rivoluzione socialista. Così non era, invece, per il resto del mondo arretrato, a est e a sud dell'Europa. E, sopra tutte queste questioni, dominava nelle preoccupazioni di Marx ed Engels la “questione russa”. Non potendoci addentrare nella letteratura classica sull'argomento, basti qui ragionare intorno al ruolo di bastione della controrivoluzione monarchica feudale in Europa, e dunque in tutto il mondo di allora, rappresentato dalla Russia zarista: quella realtà imperiale ostacolava ideologicamente ma ancor più materialmente, la creazione delle nazioni moderne ad est della Germania e dunque il necessario libero espandersi (nonostante la presenza in quelle terre di isole di modernità) del capitalismo oltre il fiume Oder.

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La falsificazione della tattica della doppia rivoluzione a opera della controrivoluzione staliniana è la madre di ogni illusione, distorsione, tradimento. In altre parole, bisogna tornare al programma dei bolscevichi relativamente ai caratteri della rivoluzione russa: quali obiettivi si dovessero perseguire e con quali metodi pratici. Tale tattica risale già al III congresso del Partito Operaio Socialdemocratico Russo (POSDR) 3, tenutosi a Londra nel 1905: quando, dopo la sconfitta zarista nella guerra con il Giappone, scoppiarono i vasti moti rivoluzionari in Russia.

La Russia zarista

Nel nostro lavoro Russia e rivoluzione nella teoria marxista (1954-55) 4, abbiamo ampiamente esposto l'origine e le condizioni economico-sociali della Russia zarista, dimostrando come lo svolgimento della rivoluzione russa non sia avvenuto in contraddizione con quei presupposti. Ci basta qui sottolineare come la Russia dei primi del ‘900 fosse caratterizzata da circoscritte e rarefatte isole di modernità nel mare di arretratezza di un territorio sterminato. Nobiltà, borghesia, proletariato rappresentavano una quantità di popolazione assolutamente minoritaria, sovrastata statisticamente dai ceti contadini, in primis quelli piccoli. Allo svolto storico rappresentato dalla Prima guerra mondiale, la Russia operaia era minoritaria ma fortemente concentrata in poche città e ciò costituirà la condizione necessaria per la vittoria della rivoluzione. Ma la Russia rimaneva ancora un paese agricolo immenso e arretrato, e il peso della componente contadina nelle dinamiche della rivoluzione russa non poteva essere in nessun modo sottovalutato o ignorato. Il capitalismo, che sicuramente e saldamente aveva fatto i primi passi in Russia, aveva ora bisogno di rompere definitivamente gli antichi rapporti feudali per potersi dispiegare del tutto come motore dell'economia. Allora, il peso demografico dei contadini sarebbe risultato enorme.

Nel mondo rurale russo, agivano diverse figure di contadini: ai contadini poveri, che spesso risultavano puri braccianti e che, in quanto tali, potevano essere assimilati agli operai dell'industria, si accompagnavano molte altre figure, intermedie fra loro e i latifondisti, che esprimevano con i loro bisogni e obiettivi ideologie piccolo-borghesi. L’importanza di queste ideologie spingeva l'azione del partito che più inquadrava e pretendeva di rappresentare il mondo contadino russo (il partito dei Socialisti Rivoluzionari) su posizioni che via via ostacoleranno e tradiranno la stessa rivoluzione.

Questo peso del contadiname russo fu chiarissimo ai bolscevichi, che nelle loro direttive per la rivoluzione cercheranno sempre di tenerlo sotto controllo.

La tattica bolscevica (1905-1917)

Esplosa la rivoluzione russa nel 1905, Lenin scrive Due tattiche della socialdemocrazia nella rivoluzione democratica, ribadendo con forza la tattica da perseguire, i suoi motivi, le sue ragioni economiche, e quindi i limiti della rivoluzione in essere: “La rivoluzione confermerà nella pratica il programma e la tattica della socialdemocrazia, rivelando la vera natura delle differenti classi sociali, il carattere borghese della nostra democrazia e le vere aspirazioni delle masse contadine che sono rivoluzionarie in senso democratico borghese, ma portano in sé non l'idea della ‘socializzazione’, bensì una nuova lotta di classe fra la borghesia contadina e il proletariato rurale5.

Se dunque ai bolscevichi è ben chiaro che la massa dei contadini è così relativamente preponderante da non poter non tenere conto delle loro aspirazioni democratiche, quale doveva essere la tattica da perseguire nella rivoluzione in Russia? Sempre nello stesso testo, Lenin riporta la “Risoluzione sul governo rivoluzionario provvisorio” del succitato III congresso del POSDR:

Considerando:

1) che sia gli interessi immediati del proletariato che gli interessi della sua lotta per gli scopi finali del socialismo richiedono una libertà politica quanto più possibile completa e, per conseguenza, la sostituzione della forma autocratica di governo con la repubblica;

2) che in Russia la repubblica democratica può essere unicamente il risultato di un'insurrezione vittoriosa del popolo, il cui organo sarà costituito dal governo rivoluzionario provvisorio, il solo capace di assicurare una completa libertà di agitazione elettorale e di convocare un'assemblea costituente, eletta sulla base del suffragio universale, uguale, diretto e a scrutinio segreto, che esprima veramente la volontà del popolo;

3) che questa rivoluzione democratica in Russia, dato il regime sociale ed economico vigente, non solo non indebolirà, ma anzi rafforzerà il dominio della borghesia, che inevitabilmente tenterà, a un determinato momento, senza arrestarsi di fronte a nulla, di togliere al proletariato russo la maggiore parte possibile delle conquiste del periodo rivoluzionario,

il III congresso del POSDR decide:

a) è indispensabile diffondere nella classe operaia nozioni concrete sul corso più probabile della rivoluzione e sulla necessità di formare, a un momento dato, un governo rivoluzionario provvisorio dal quale il proletariato esigerà il soddisfacimento di tutte le rivendicazione immediate, politiche ed economiche, del nostro programma (programma minimo);

b) a seconda del rapporto di forza e di altri fattori, che è impossibile determinare anticipatamente con precisione, è ammissibile la partecipazione dei rappresentanti del nostro partito al governo provvisorio per una lotta implacabile contro tutti i tentativi controrivoluzionari e la difesa degli interessi specifici della classe operaia;

c) le condizioni necessarie per questa partecipazione sono: un severo controllo del partito sui suoi rappresentanti e la salvaguardia continua dell'indipendenza della socialdemocrazia, che aspira a una completa rivoluzione e perciò appunto è irriducibilmente ostile a tutti i partiti borghesi;

d) indipendentemente dalla possibilità o meno di una partecipazione della socialdemocrazia a un governo rivoluzionario provvisorio, occorre propagandare tra gli strati più vasti del proletariato l'idea della necessità di una pressione costante da parte del proletariato armato e diretto dalla socialdemocrazia, sul governo provvisorio, per salvaguardare, consolidare ed estendere le conquiste della rivoluzione6.

Poi, per essere certo che il concetto sia digerito da tutti, Lenin aggiunge:

D'altro canto, nella risoluzione si parla esclusivamente del governo rivoluzionario, e di nient'altro; non si parla affatto, cioè, per esempio, della 'conquista del potere' in generale, ecc. Ha avuto ragione il congresso di scartare quest'ultima questione e altre simili? Non vi può essere alcun dubbio, poiché la situazione politica della Russia non pone affatto all'ordine del giorno simili questioni, mentre il popolo intero ha posto all'ordine del giorno l'abbattimento dell'autocrazia e la convocazione dell'assemblea costituente7.

E ancora, più oltre:

Notiamo infine che, assegnando al governo rivoluzionario provvisorio il compito di attuare il programma minimo, la risoluzione elimina con ciò stesso le idee assurde e semianarchiche sull'attuazione immediata del programma massimo, sulla conquista del potere per la rivoluzione socialista. Il grado di sviluppo economico della Russia (condizione oggettiva) e il grado di coscienza e di organizzazione delle grandi masse del proletariato (condizione soggettiva, legata indissolubilmente a quella oggettiva) rendono impossibili l'emancipazione immediata e completa della classe operaia” 8.

Dunque, l'arretratezza economica russa era riconosciuta come tale e non poteva in nessun modo far pensare all'“instaurazione del socialismo”; all'ordine del giorno, invece, vi era la necessità di abbattere e sostituire l'antico regime perseguendo l'obbiettivo con la forza del proletariato, e di spingere in avanti la rivoluzione per liberare le forze produttive capitalistiche, abbandonando così per sempre l'economia feudale. Nel proporre questo, i bolscevichi e Lenin erano ben consci che si andava verso una società capitalista apertamente borghese. Si arrivava perfino a prevedere apertamente una lunga battaglia tra le forze in campo. Fin qui, novità? In nessun modo. Era la riproposizione della questione della doppia rivoluzione e delle sue necessarie disposizioni all'azione. Nessuna illusione di poter percorrere un’impossibile strada, ma la consapevolezza che la rivoluzione anti-zarista, anche se borghese, avrebbe avvicinato le condizioni oggettive della rivoluzione socialista, nel senso dell'instaurazione del modo di produzione capitalistico che è anche la base materiale economica del socialismo.

Questo nel 1905. E nel 1917?

Nel 1917, di nuovo… niente di nuovo all'orizzonte. Niente di nuovo se con “nuovo” si vuol intendere un presunto cambiamento nella visione tattica e nelle prospettive a breve e medio termine. Ciò che di nuovo vi fu non è figlio di una presunta revisione dei nostri principi e della nostra dottrina, o di un cambiamento strutturale economico tale da equiparare l'area russa e quella europea occidentale, oppure ancora di uno scadere a miopi giochetti di tattica schiava della contingenza, ma la risposta corretta alle necessità dell'azione, date le condizioni sul terreno di battaglia. Dall'esperienza del 1905 si era sedimentata la nascita dei soviet; nel frattempo, la classe operaia era aumentata di numero, soprattutto a Leningrado e a Mosca, e rappresentava una componente sempre più importante della popolazione. Un’altra circostanza s’era chiarita, dopo il 1905: la giovane borghesia russa non avrebbe mai avuto la forza e la volontà di guidare una rivoluzione fino in fondo – cioè senza compromessi con lo zarismo. La rivoluzione del 1905 aveva emesso il verdetto definitivo: la vile e debole borghesia russa non poteva servire nemmeno alla rivoluzione capitalistica! Soviet, crescita demografica/concentrazione proletaria e debolezza borghese (oltre che del regime zarista), vale a dire le conquiste della rivoluzione del 1905, saranno i maggiori alleati della rivoluzione russa, praticamente in ogni sua fase. E ciò, non perché di per sé fossero fattori scatenanti della rivoluzione (la guerra sarà il vero detonatore della rivoluzione), ma perché furono utilizzati nella giusta tattica della rivoluzione doppia/rivoluzione in permanenza, fino alla conquista definitiva del potere.

Leggiamo dal nostro testo Le grandi questioni storiche della rivoluzione in Russia (1955) quali erano le posizioni mensceviche e bolsceviche, all'indomani della rivoluzione di febbraio 1917:

In Russia, se fu quasi solo Trotsky a innamorarsi della teoria della Rivoluzione permanente, fondata – non disprezzabile eredità teorica e politica – ai tempi gloriosi della Lega comunista europea, i due opposti punti di vista furono questi. Per i menscevichi la Rivoluzione che avrebbe rovesciato lo zar avrebbe fondato una repubblica parlamentare e borghese e dato un potente avvio al capitalismo. Pur battendosi per una tale rivoluzione, il partito proletario in questa repubblica avrebbe lasciato governare la borghesia divenendo un partito di opposizione, evidentemente ‘legale’. Sarebbe seguita una fase storica borghese, di tipo europeo.

Ben diversa la visione di Lenin. In due parole, e rimandando alle innumeri documentazioni fornite, la tesi è che la borghesia russa non può da sola reggere il potere, e nemmeno la borghesia alleata ai partiti contadini, senza soggiacere alla controrivoluzione feudale (e ridare vita alla riserva reazionaria europea di cui ansiosamente da decenni si invocava la fine). Non basta dunque rovesciare il potere zarista o contribuire a rovesciarlo: occorre che il partito proletario prenda il potere. [...]

Questa dittatura governerà per accelerare la trasformazione capitalistica del paese, e democratica, in stretto senso, dei suoi tarlati ordinamenti, per ATTENDERE la rivoluzione socialista di occidente, libera ormai dallo spettro che arrivino a Varsavia, a Vienna e Berlino, e magari a Parigi, i cosacchi” 9.

La differenza tra le due posizioni non nasceva da una diversa visione dell'immediato: entrambe le prospettive contemplavano una prima rivoluzione democratica. La differenza stava nel far confluire l'esperienza del 1905 nella tattica da attuare nel 1917, per “spingere in avanti” e far proseguire la rivoluzione. Come nel 1905, i menscevichi erano pronti a “farsi da parte”, cioè a sostenere la formazione della Repubblica… ma si accontentavano anche di una monarchia costituzionale. Così agendo, esponevano la rivoluzione all'immediato contrattacco del vecchio potere che avrebbe avuto gioco facile come lo aveva avuto nel 1095. I bolscevichi, diversamente, ragionavano su tutt'altro piano, scevro dalle pastoie di questioni istituzionali: avevano come unica bussola gli interessi della classe proletaria, immediati e futuri. Sempre il nostro testo: “Contro la guerra e disfattismo, tuttora. Contro il governo provvisorio, denunziandolo subito come agente del capitale. Contro i suoi alleati populisti-contadini e contro i menscevichi che hanno nei congressi condannata non solo la presa del potere ma la partecipazione ad esso. Per il passaggio ai Soviet di tutto il potere. Non lotta contro il Soviet, maggioritariamente destro, ma penetrazione e conquista fino a smascherare i menscevichi e soci. Non traguardo della Assemblea parlamentare, ma dittatura dei Soviet, ossia del proletariato e dei contadini. Non la baggianata di proporre l'instaurazione del socialismo, ma la preconizzazione del socialismo, che sarà dato alla Russia solo dalla rivoluzione europea. Azione legale oggi, illegale ed insurrezionale in un domani non lontano. Immediata nazionalizzazione della terra, controllo industriale, nuova Internazionale, e nome di Comunista al partito, per distruggere internazionalmente la guerra e il capitale.”10.

Ecco la soluzione dialettica alla questione della tattica nella situazione russa di rivoluzione doppia. Nel concepirla e applicarla, i bolscevichi non espressero alcuna novità teoretica o dottrinale. Nessun nuovo principio scaturiva dall'esperienza russa: si trattava al contrario di lavorare sul piano pratico, tenendosi saldi al corretto metodo marxista. L’altro nostro importante testo sulle vicende della rivoluzione in Russia, Struttura economica e sociale della Russia d’oggi, precisa il corretto atteggiamento nei confronti delle norme tattiche: “Le norme tattiche, che nessuno ha il diritto di lasciare in bianco né di revisionare secondo congiunture immediate, sono norme derivate da quella teorizzazione dei grandi cammini, dei grandi sviluppi, e sono norme praticamente ferme ma teoricamente mobili, perché sono norme derivate dalle leggi dei grandi corsi, e con esse, alla scala storica e non a quella della manovra e dell'intrigo, dichiaratamente transitorie” 11. E a questo si attennero Lenin e il suo Partito.

Il significato della dialettica rivoluzionaria in Russia è ulteriormente precisato dal medesimo testo:

Lenin dunque prima della rivoluzione, come del resto in seguito, non ha mai preveduto un diverso processo della rivoluzione proletaria internazionale da scoprire attraverso lo sviluppo della crisi rivoluzionaria russa. Come marxista della sinistra radicale non ha mai dubitato che nei paesi capitalisti il socialismo sarebbe uscito da una insurrezione rivoluzionaria dei proletari e dalla attuazione della marxista dittatura del solo proletariato. Poiché doveva però lavorare al problema di un paese in cui la rivoluzione borghese era ancora da compiersi, ha previsto non solo che il proletariato e il suo partito rivoluzionario vi si dovessero con tutte le forze impegnare a fondo, ma, dato il particolare stato di ritardo nella caduta del reazionario regime zarista e feudale, ha enunciato la previsione ed il programma esplicito che la classe operaia dovesse togliere dalle mani della borghesia questo suo compito storico, e condurlo in sua vece, togliendole anche quello suo non meno caratteristico di capitanare nella lotta le masse contadine.

Se la formula, ad esempio della rivoluzione borghese, fu: direzione della classe borghese (ma anche allora più da parte dei suoi ideologi e politici che dalle persone di industriali, mercanti, banchieri) e trascinamento dei proletari delle città e dei contadini servi delle campagne nella scia della rivoluzione democratica; la formula russa della rivoluzione (sempre borghese, ossia democratica) fu diversa: direzione da parte del proletariato, lotta contro la stessa borghesia propendente ad una intesa di compromessi parlamentari con lo zarismo, trascinamento delle masse popolari e rurali nella scia del proletariato, che elevava, in questa fase storica, i contadini poveri al rango di suoi alleati nella insurrezione e nel governo dittatoriale. […]

L'obiezione che questa non fosse una rivoluzione socialista non fermava Lenin nemmeno per un istante, essendo la cosa chiara in teoria. Si trattava della rivoluzione borghese, nella sola forma che assicurasse la sconfitta della controrivoluzione zarista e medievale: a questo solo (ma allora e anche dopo chiaramente grande e decisivo) risultato si consacrava la forza della dittatura proletaria: dittatura perché si usavano mezzi violenti e non legali, come le grandi borghesie avevano fatto in Europa alla testa delle masse, ma democratica perché il compito era la distruzione del feudalesimo e non del capitalismo, con i contadini alleati per questa stessa ragione e perché, mentre sono ulteriormente destinati a divenire un giorno alleati della borghesia contro il proletariato, lo sono anche ad essere nemici giurati del feudalesimo” 12.

Si trattava dunque – è bene sottolinearlo ancora – della rivoluzione borghese, nella sola forma in grado di assicurare la sconfitta della controrivoluzione zarista feudale!

Mancata rivoluzione in Occidente e ripiegamento della rivoluzione russa

Ci preme a questo punto ribadire con forza che con ciò non sosteniamo certo che la Rivoluzione Russa sia stata una rivoluzione solo borghese-capitalistica e che non abbia avuto, sul piano politico e sociale, direttive socialiste: saremo folli se sostenessimo una tale posizione, anche solo per il fatto che vi fu un’autentica dittatura del proletariato e dei contadini “poveri”, condotta dal Partito comunista. Quello che sosteniamo è che non era comunque possibile il trapasso al modo di produzione socialista, proprio perché la struttura economica capitalista non era sufficientemente sviluppata per tale passaggio. I bolscevichi si assumevano per intero gli oneri della rivoluzione in Russia, ma aspettavano (e promuovevano) la necessaria rivoluzione in Europa e principalmente in Germania, consci che senza l'avvento di questa anche la rivoluzione proletaria in Russia sarebbe rinculata.

Il problema era resistere fino a che le spinte controrivoluzionarie fossero state del tutto minoritarie: ma non passerà molto tempo prima che tali spinte prendessero il sopravvento.Il proletarito europeo fu sconfitto sul campo e la rivoluzione in occidente non arrivò13 e in Russia, nell’arco di nove anni, la rivoluzione rinculò. Potente fu a quel punto la controrivoluzione borghese che, al grido di “edificazione del socialismo nella sola Russia”, prese le sembianze del baffone staliniano. Non era dunque possibile, in linea di principio, la rivoluzione socialista in un paese solo, in qualunque situazione? No, la dialettica è molto più complessa e chiarificatrice. Scrivevamo sempre negli anni ’50 del ‘900:

La prima confusione è tra la formula ‘socialismo in un solo paese’ e ‘socialismo in un paese non capitalista’, quindi ‘socialismo nella sola Russia’. La formula marxista è che il socialismo è storicamente possibile sulla base di due condizioni, necessarie entrambe. La prima è che la produzione e la distribuzione si svolgano generalmente in forme capitalistica e mercantile, ossia che vi sia largo sviluppo industriale, anche di aziende agricole, e mercato nazionale generale. La seconda è che il proletariato e il suo partito pervengano a rovesciare il potere borghese e ad assumere la dittatura.

Date queste due condizioni, non si deve dire che è possibile cominciare a costruire il socialismo, ma che le sue basi economiche risultano già costruite, e si può e deve iniziare immediatamente a distruggere i rapporti borghesi di produzione e di proprietà, pena la controrivoluzione. […] La tesi marxisticamente condannata non è dunque: ‘Anche in un solo paese è possibile la conquista proletaria del potere’, e ‘Anche in un solo paese di pieno capitalismo è possibile la trasformazione socialista’. La tesi condannata è che in un solo paese non capitalista sia possibile, con la sola conquista del potere politico, la trasformazione socialista14.

Non sappiamo se, alla data cruciale del 1926, quando si consumò l’ultimo atto della rivoluzione d’Ottobre, Stalin si fosse in cuor suo già trasformato nel successivo spietato controrivoluzionario o se a quel tempo dimostrava solo la propria rozzezza nel maneggiare la dottrina e la tattica marxista: ma ciò poco importa. Quel che è certo è che, in questa contraddizione, la controrivoluzione borghese ha trovato un terreno talmente fertile da nutrirci la propria crescita e la successiva vittoria contro le forze rivoluzionarie. A quel tempo, ecco che cosa sosteneva Stalin, nelle parole del nostro testo:

La vittoria politica, dice Stalin, con la dittatura del proletariato l'abbiamo, ossia abbiamo la base politica per il cammino verso il socialismo. Dunque possiamo ora ‘creare una base economica del socialismo, le nuove fondamenta economiche per l'edificazione del socialismo’. Fino a questo punto, Stalin domina la sua conversione teorica. Lenin aveva definito sciocchezza la ‘costruzione del socialismo’. Stalin parla di edificare non il socialismo, ma le sue basi economiche. La formula era ancora accettabile. Perché in che consiste la base economica del socialismo? Semplice: nel capitalismo industriale. […] Ma tutto andrebbe bene se non si pretendesse che i rapporti economico-sociali sorti dal 1926 ad oggi [1955 – NdR] siano propri di una società socialista. […] Vi è poi il chiarimento della natura del capitalismo di Stato, con l'esempio della Germania. Se noi sommassimo, Lenin dice, il potere politico che abbiamo in Russia, con lo sviluppato capitalismo di Stato tedesco, allora solo saremmo sulla via del socialismo. Ma se ciò non è, il nostro traguardo è solo un capitalismo di Stato, che arrivi (lunga strada) a somigliare al tedesco. Egli dimostra di avere scritto tanto nel 1918” 15.

Nel 1926, la svolta russa era compiuta. Nei successivi dieci anni, feroce si abbatterà la vendetta sui bolscevichi e sulla rivoluzione; dopo le purghe del 1936, di bolscevichi della prima ora non trucidati ne rimanevano ben pochi, e non erano ormai neanche più bolscevichi, ma allineati allo stalinismo trionfante. La sconfitta per il movimento operaio internazionale fu totale e senza scampo. L'aver preteso di superare autonomamente la questione della rivoluzione doppia, che nella visione originaria aveva una soluzione verso il socialismo alla sola condizione della rivoluzione vittoriosa in Europa occidentale, fu l'inizio della deflagrazione di tutto il movimento internazionale, da cui neanche oggi, a un secolo da questi fatti, ci si è completamente ripresi. Lenin fu del tutto travisato: alla parola d’ordine della difesa delle conquiste politiche della rivoluzione in Russia e di attesa, attiva e in armi, della rivoluzione a ovest, si sostituì quella della “edificazione del socialismo”. Il problema non fu dunque quello di operare per lo sviluppo delle forze produttive capitalistiche nella Russia rivoluzionaria, fenomeno del tutto previsto e auspicato (e che nel 1921-22 la NEP cominciò a tradurre in pratica). Il problema fu quello di considerare questo sviluppo come “socialismo realizzato”, con tutti i drammatici cascami ideologici e pratici che seguirono.

Il fenomeno oggi controrivoluzionario non è questa corsa alla industrializzazione e questa tremenda velocità di accumulazione; non è, tanto meno, il suo rilancio sull'Asia. Il fenomeno controrivoluzionario sta nella maschera di conquistato socialismo sovrapposta a tutto, sta nella distruzione della potenzialità proletaria mondiale verso l'autentica conquista socialista, sta nella possibilità data a tutti i capitalismi di persistere sotto le ondate dei terremoti storici e ribadita nelle campagne pacifiste, nelle vergognose gare emulative16.

La controrivoluzione aveva vinto, non tanto e non solo materialmente, ma – cosa più grave – ideologicamente, piegando l'intero movimento internazionale proletario alla causa della Nazione Russa capitalistica.

***

Infatti fin dal 1917 e dopo altra serie di eventi, validi furono i tentativi di ritorno dello zarismo, fiancheggiati da forze di occidente, e molti anni richiese la lotta per liquidarli. Giusta quindi la gradazione delle fasi storiche nella potente veduta di Lenin, e sciocca esercitazione estremista sarebbe quella di presentarlo sicuro pronosticatore del socialismo in Russia.

Questa apparente spiegazione di sinistra dell'opera di Lenin servirebbe solo al gioco insidioso di mostrare che si va al socialismo traverso forme impastate con ingredienti democratici, storicamente; e socialmente con elementi contadini-popolari, il che è la forma centrale della degenerazione e della vergogna presente” 17.

Scarichiamoci dunque dalle spalle un fardello non nostro. Il potere del proletariato, la sua dittatura necessaria per permettere l’emergere della società socialista prima e comunista poi, sono una strada che dobbiamo ancora percorrere per intero. Quel che si è sviluppato in Russia e di cui abbiamo visto la parabola era la società capitalistica e borghese, dopo che, alla fine degli anni ‘20 del ‘900, la rivoluzione era stata sconfitta sul campo. Non il socialismo o addirittura il comunismo sono falliti. La storia ultima dell’URSS non costituisce nessuna “dimostrazione” di “impossibilità del comunismo”, come vorrebbero i molti ideologi – ignoranti o in mala fede – della classe dominante borghese. E’ la storia di uno Stato imperialista che ha perso “la gara con il suo concorrente”, subendo così un tracollo economico simile in tutto e per tutto a una disfatta bellica.

 

1 Quest’articolo segue quello intitolato “1917-2017. Viva l’Ottobre Rosso! Viva la rivoluzione proletaria futura!”, uscito sul n.1/2017 di questo giornale. La serie di articoli continuerà nei prossimi numeri, esaminando vari aspetti del processo rivoluzionario che condurrà all’Ottobre e la sua attualità presente e futura.

2 K. Marx, La guerra civile in Francia (1871), Editori Riuniti, 1974, pp.70-71.

3 Ricordiamo che qui, come altrove in queste citazioni da Lenin, i termini “socialdemocratico” e “socialdemocrazia” valgono “comunista” e “comunismo”.

4 Pubblicato nei nn. 21-23/1954 e 1-8/1955 de Il programma comunista, ora ripubblicato – insieme ad altri testi – in Russia e rivoluzione nella teoria marxista, Edizioni il programma comunista, Milano 1990.

5 Lenin, Due tattiche della socialdemocrazia nella rivoluzione democratica, in Opere scelte, Vol.I, p.557.

6 Idem, pp.563-564.

7 Idem, p.564

8 Idem, p.567.

9 “Le grandi questioni storiche della rivoluzione in Russia”, Il programma comunista, nn.15-16/1955, ora in Struttura economica e sociale della Russia d’oggi, Edizioni Il programma comunista, Milano 1976 (la citazione è a p.18-19).

10 Idem, p.25.

11 Struttura economica e sociale della Russia d’oggi, cit., p.55.

12 Struttura economica e sociale della Russia d’oggi, cit. p.58-59.

13 Rimandiamo, per un’analisi della mancata rivoluzione in Occidente, almeno ai volumi della nostra Storia della sinistra comunista, dove l’argomento è trattato con grande ampiezza, e all’opuscolo Nazionalismo e internazionalismo nel movimento comunista tedesco (2014).

14 Le grandi questioni storiche…, cit., p.22, 23.

15 Ibid, p.35, 39. Quanto allo scritto di Lenin del 1918, si tratta dell’opuscolo intitolato Il compito principale dei nostri giorni. Sull’infantilismo “di sinistra” e sullo spirito piccolo-borghese, ampie parti del quale saranno alla base del successivo Sull’imposta in natura, del 1921 (vedi rispettivamente Opere scelte, Voll. IV e VI). Su tutte queste questioni, il necessario rimando è alla nostra Struttura economica e sociale della Russia d’oggi, cit., e all’opuscolo La crisi del 1926 nell’Internazionale Comunista e nel partito russo (2016).

16 Le grandi questioni storiche…, cit., p.47.

17 Struttura economica e sociale della Russia d’oggi, cit. p.59-60.

 

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                                                                           (il programma comunista)

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