DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

“Il capitalismo è guerra!”, abbiamo sempre affermato, con grande scandalo di benpensanti e anime belle. Basta seguirne la storia sull'arco di tre secoli, per rendersene conto. Ma noi comunisti non siamo pacifisti. Sappiamo bene (e anche questo abbiamo sempre affermato) che le guerre dell'epoca iniziale del capitalismo e dell’affermazione della nuova classe, la borghesia, erano non solo necessarie ma anche progressive: strappavano l'umanità al dominio ormai superfluo e distruttivo del vecchio modo feudale di produzione e così le facevano fare un enorme passo avanti storico. Guerre comunque furono, con i loro morti, le loro distruzioni, le loro sofferenze: e chi celebra astrattamente il regno del capitale come “migliore dei mondi possibili” non deve dimenticarselo – nel sangue e con le armi è nata la borghesia e ha imposto il proprio modo di produzione, diffondendolo nel mondo con le armi e nel sangue.

Ma noi comunisti sappiamo anche che ogni modo di produzione ha una sua storia – nascita, maturità, morte – e che dunque, trascorsa la fase della guerra contro il vecchio modo di produzione, la fase successiva è quella dell'ostinato e selvaggio mantenersi al potere, una lunga agonia cui bisogna solo porre fine, violentemente e autoritariamente. Da centocinquant'anni siamo entrati in questa fase, quella in cui il modo di produzione borghese non è più progressivo rispetto al passato, ma è solo distruttivo e sanguinario: una distruttività e sanguinarietà che ha raggiunto livelli impensabili per i modi di produzione precedenti (che pure non scherzavano!). In particolare, la fase imperialista del capitalismo apertasi a fine '800, inevitabile evoluzione prevista da Marx ed Engels fin dagli inizi (il monopolio, l'interventismo statale, il colonialismo, il ruolo centrale del capitale finanziario nella vita economica, ecc. ecc.), ha spinto la distruttività sanguinaria del capitalismo a estremi mostruosi.

Si pensi al '900: un secolo intero di guerre, e non solo i due grandi macelli imperialistici della Prima e della Seconda guerra mondiale. Entrambi i conflitti sono stati preceduti da una miriade di guerre “minori”, più o meno locali o propagandate come tali (in realtà, schermo di conflitti inter-imperialistici ancora sotto traccia, ma pronti a esplodere): si vedano i quindici anni che hanno preceduto il 1914 e i quindici che hanno preceduto il 1939. E dopo! Dal 1945, in avanti, quanti sono stati i conflitti che hanno massacrato intere popolazioni, devastato intere aree? Quanti sono stati i morti ammazzati sui campi di battaglia o nelle retrovie, le generazioni falcidiate? E in questo inizio di millennio, in questi sedici anni che hanno visto moltiplicarsi in maniera esponenziale i focolai e le esplosioni, impennarsi le cifre riguardanti l'industria delle armi e dei vari ritrovati distruttivi, giganteggiare il numero a più zeri dei proletari martoriati da bombardamenti, uccisioni di massa, gas letali, fosforo bianco, o anche “solo” dalla fame e dalla fuga disperata dai territori di guerra?

“Il capitalismo è guerra!”, abbiamo sempre affermato. E c'è un risvolto anche più macabro e disturbante, nella nostra affermazione, che trova riscontro nella realtà del '900: come abbiamo più volte ricordato e dimostrato, sono molte le innovazioni tecnologiche di cui oggi ci beiamo e che hanno origine proprio dallo e nello sforzo bellico, nella preparazione alla guerra di questo o quel paese, nella loro diffusione a scala planetaria… La guerra è nel DNA del capitalismo anche quando, apparentemente, è in pace: e chi non se ne rende conto è solo un utile idiota.

C'è poi un'altra guerra che è in corso fin dall'alba del modo di produzione borghese. E' la guerra di classe, l'inestirpabile conflitto più o meno aperto, più o meno latente, fra capitale e lavoro, fra la classe dominante e la classe dominata, fra la borghesia e il proletariato. E' una guerra che è esplosa fin da subito, nelle fabbriche, nei campi, nelle città, nei luoghi dello sfruttamento selvaggio di uomini, donne, bambini, anziani, scesi in lotta per la sopravvivenza e, in certi svolti storici, per l'affermazione di un nuovo modo di produzione, senza classi e senza sfruttamento: la Comune di Parigi del 1871, la Rivoluzione dell'Ottobre 1917, il tentativo rivoluzionario del 1927 in Cina – tentativi eroici di aprire un nuovo capitolo nella storia dell'umanità, non importa se poi sconfitti sul campo.

Questa guerra di classe continua anche oggi. Può sembrare che, in questo momento, sia solo la borghesia a condurla, contro il proletariato: nelle morti in fabbrica, in miniera, nei cantieri, negli omicidi di proletari sui picchetti a opera di crumiri, “forze dell'ordine”, bande legali e illegali di repressione, nell’autentico massacro di proletari sfiancati e devastati dal lavoro, da ritmi forsennati, da sostanze nocive, nello sfruttamento bestiale di migranti e clandestini, e in tutte le ricadute sociali che queste morti, questi omicidi, questo sfruttamento hanno su tutto il proletariato. Oppure, nella tragedia della disoccupazione attuale e futura di intere generazioni, senza più alcuna prospettiva, che non sia, oggi, richiedere la miserabile carità dello Stato e, domani – quando verrà il momento – , andarsi a scannare gli uni contro gli altri, sui campi di battaglia del prossimo conflitto mondiale che si prepara. E' la borghesia a condurre oggi la guerra di classe. E ciò è vero, ma solo in parte. L’antagonismo fra le classi, anche quando pare sopito o inesistente, in realtà è drammaticamente vivo: la presenza stessa del proletariato, il suo gonfiarsi a dismisura sotto gli effetti della crisi economica, le masse enormi di migranti che premono alle porte dei paesi capitalisticamente più avanzati, sono essi stessi potenziali elementi e fattori di antagonismo. Per esperienza storica, la classe dominante lo sa benissimo e in tutti i modi cerca di farvi fronte, alimentando razzismo e guerre fra i poveri, introducendo tutte le possibili misure repressive, attrezzandosi a una guerra di classe che è inestirpabile e che serpeggia anche quando non sembra. La stessa crisi economica, che la borghesia non sa come risolvere e superare, è un fattore che alimenta l’antagonismo, che pone le premesse materiali, oggettive, dello scontro di classe. Così è, anime belle: e, se oggi il proletariato sembra non esserne consapevole, saranno quelle stesse forze oggettive a spingerlo allo scontro, alla rivolta e alla ribellione, pena la propria sopravvivenza.

Noi comunisti, e con noi i proletari più combattivi, le avanguardie di lotta, sappiamo che di lì bisognerà passare. Non lasceremo, non lasceranno, che sia ancora per molto la borghesia a condurre questa guerra. Bisognerà dunque strapparle il potere con la forza, con la violenza (quale classe dominante s'è mai inchinata pacificamente al proprio nemico di classe?) – una forza e una violenza che andranno organizzate e dirette dal partito rivoluzionario. A questo noi comunisti lavoriamo. Per impedire che, una volta di più, la classe dominante esca vittoriosa da un ennesimo bagno di sangue mondiale.

Partito comunista internazionale

                                                                           (il programma comunista)

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