DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

La Proprietà dei beni mobili

I beni mobili, apprestati dalla produzione, non sono oggetto di proprietà titolare e sono usabili o permutabili ad arbitrio del possessore; tale è la formola giuridica nella società borghese.

Nella sostanza, colla produzione in masse, il capitalista imprenditore ha il possesso e la disponibilità di tutte le cose mobili, prodotti, merci, risultanti dal lavoro nella sua azienda.

La richiesta socialista di abolire il monopolio di classe dei capitalisti imprenditori sui mezzi di produzione - presentata come abolizione della proprietà privata titolare sui luoghi e gli impianti delle aziende - ha la portata reale di abolizione del monopolio dei singoli imprenditori e della classe capitalista sulle masse dei prodotti.

Ogni misura che, limitando la titolarità del proprietario del luogo di lavoro o degli impianti o delle macchine, conservi il monopolio diretto o indiretto o delle persone o delle ditte o della classe dei capitalisti sui prodotti e la loro destinazione e ripartizione, non è socialismo.

L'intrapresa industriale

L'azienda capitalistica di produzione ha per titolare un imprenditore che può essere persona fisica o persona giuridica (ditta, società, compagnia anonima per azioni, cooperativa ecc.). Anche nel caso in cui l'azienda ha sede ed impianti fissi, l'immobile, o anche le macchine e attrezzature, possono appartenere ad un proprietario che non sia l'imprenditore.

Nell'economia borghese classica il valore di scambio di ogni merce si misura in tempo di lavoro umano, ma si afferma che vi sia lo stesso pareggio di mercato, e giuridico, nella compra e vendita di merci e nella remunerazione del lavoro prestato dai dipendenti dell'azienda. Il profitto premierebbe la superiore organizzazione tecnica dei vari fattori.

Marx con la dottrina del plusvalore ha dimostrato che il salario, o prezzo pagato per la forza di lavoro, è inferiore al valore che questa aggiunge alla merce, quando ogni valore è espresso da tempi di lavoro. Il profitto del capitale rappresenta il lavoro non pagato degli operai.

La moderna tecnica produttiva, che impone di sostituire l'attività sociale a quelle individuali, viene imprigionata nelle forme dell'impresa privata al fine di garantire la estorsione del plusvalore. La classe industriale che se ne avvantaggia conserva e difende, grazie al potere politico che detiene, il sistema di produzione che assicura il massimo del profitto e della accumulazione, mentre i prodotti socialmente utili e benefici (sia a disposizione della classe lavoratrice che di tutte le classi) sono compressi ad un minimo in rapporto alla massa enorme degli sforzi di lavoro.L'eccesso e lo sperpero di lavoro sociale della classe proletaria, rispetto alla massa dei prodotti utili al consumo, dà un rapporto passivo diecine di volte peggiore del rapporto che per il singolo salariato corre tra lavoro non pagato e lavoro pagato, o saggio del plusvalore.

Sono quindi tesi inadeguate le seguenti: il socialismo consiste nella corresponsione del frutto indiminuito del lavoro - con l'abolizione del sopralavoro e del plusvalore sarebbe abolito lo sfruttamento dei salariati - ogni economia senza plusvalore è economia socialista - si può contabilizzare in cifre di moneta una economia socialista - l'economia socialista consiste nella contabilizzazione dei tempi di lavoro.Socialismo è la eliminazione sociale e storica del capitalismo, del sistema di produzione guidato dalla iniziativa delle imprese o della federazione di imprese, costituita dalla classe e dallo stato borghese.

Anche prima della fase "superiore", in cui ciascuno preleverà secondo il suo bisogno, si potranno dire raggiunte una economia e una contabilizzazione socialiste solo in quei settori in cui non figureranno partite doppie e bilanci aziendali, e nei calcoli di previsione organizzativi si adopereranno solo unità fisiche di misura come le unità di peso, capacità, forza, energia meccanica.

Le associazioni tra imprese e monopolio

Posizione basilare della economia borghese è che la selezione delle imprese socialmente più utili sia assicurata dai fenomeni del mercato libero e dallo equilibrarsi dei prezzi secondo le disponibilità e il bisogno di prodotti.

Il marxismo dimostrò che, anche ammessa per un momento questa economia di libera concorrenza, produzione e scambio, finzione borghese e illusione piccolo borghese, le leggi della accumulazione e della concentrazione che agiscono nel suo seno la conducono a spaventose crisi di sovrapproduzione, di distruzione di prodotti e forze di lavoro, di abbandono di impianti produttivi, di disoccupazione e miseria generale. È attraverso le ondate di tali crisi che si acutizza l'antagonismo tra la ricca e potente classe capitalista, e la miseria delle masse occupate e non occupate, spinte ad organizzarsi in classe e rivoltarsi contro il sistema che le opprime.

La borghesia, classe dominante, trovò dapprima base sufficiente alla sua unità nello stato politico ed amministrativo, suo "comitato di interessi" malgrado la finzione degli istituti elettivi, in cui governava a mezzo di quei partiti che quali opposizioni rivoluzionarie avevano condotta la rivoluzione antifeudale. La forza di tale potere venne subito diretta contro le prime manifestazioni della pressione di classe dei lavoratori.

L'organizzazione degli operai in sindacati economici si muove nei limiti della lotta per abbassare il saggio del plusvalore; la ulteriore organizzazione in partito politico ne esprime la capacità a porsi come classe l'obiettivo del rovesciamento del potere della borghesia, della soppressione del capitalismo, con la riduzione radicale della quantità di lavoro, l'aumento del consumo e del benessere generale.

Dal canto suo la classe borghese antagonista, non potendo non accelerare l'accumulazione del capitale, procurò di fronteggiare le enormi dispersioni di forze produttive, le conseguenze delle crisi periodiche, gli effetti della organizzazione operaia, adottando ad un certo punto dello sviluppo le forme (note alla stessa storia della accumulazione primitiva) delle intese, accordi, associazioni ed alleanze fra intraprenditori. Queste dapprima si limitarono ai rapporti di mercato, sia nel collocamento dei prodotti che nell'acquisto della manodopera, con impegni a rispettare dati indici evitando la concorrenza; quindi si estesero a tutto l'ingranaggio produttivo: monopolii, trusts, cartelli, sindacati di intraprese che fanno prodotti simili (orizzontali) o provvedono alle successive trasformazioni che conducono a dati prodotti (verticali).

La descrizione di tale fase del capitalismo, come conferma della giustezza del marxismo "che dimostrò come la libera concorrenza determini la concentrazione, e questa il monopolio" è classica in Lenin, l'Imperialismo.

Il capitale finanziario

L'intraprenditore ha bisogno, oltre che della fabbrica e delle macchine, di un capitale monetario liquido che anticipa per acquistare materie prime e pagare salari, e poi ritira vendendo i prodotti. Come dello stabilimento e degli impianti, egli può non essere proprietario titolare anche di questo capitale. Senza che esso intraprenditore o ditta intraprenditrice perda la titolarità dell'azienda, tutelata dalla legge, egli ha tale capitale fornito dalle banche, contro un tasso annuo di interesse.

Il borghese giunto alla sua forma ideale ci si mostra ormai spoglio e privo di proprietà immobiliare o mobiliare, privo di denaro, soprattutto privo di scrupoli. Non investe ed arrischia più nulla di suo, ma la massa dei prodotti gli resta legalmente nelle mani, e quindi il profitto. La proprietà se la è tolta da sé, conseguendone non pochi altri vantaggi; è la sua posizione strategica che occorre strappargli. È posizione sociale storica e giuridica, che cade solo con la rivoluzione politica, premessa di quella economica.

La classe borghese, traverso la apparente separazione del capitale industriale da quello finanziario, in realtà stringe i suoi legami. Il predominio delle operazioni finanziarie fa sì che i grandi sindacati controllino i piccoli e le aziende minori per successivamente inghiottirli, nel campo nazionale e internazionale.

L'oligarchia finanziaria che in poche mani concentra immensi capitali e li esporta ed investe da un paese all'altro, fa parte integrante della stessa classe imprenditrice, il centro della cui attività si sposta sempre più dalla tecnica produttiva alla manovra affaristica.

D'altra parte, con il sistema delle società per azioni, il capitale della intrapresa industriale costituito da immobili, attrezzi e numerario è titolarmente di proprietà dei portatori di azioni che prendono il posto dell'eventuale proprietario immobiliare, locatore di macchina, banca anticipatrice. I canoni di fitto e noleggio e l'interesse degli anticipi prendono la forma di un sempre modesto utile o "dividendo" distribuito agli azionisti dalla "gestione" ossia dall'intrapresa. Questa è un ente a sé, che porta il capitale azionario al suo passivo di bilancio, e con manovre varie saccheggia i suoi creditori; vera forma centrale dell'accumulazione. La manovra bancaria, a sua volta con capitali azionarii, compie per conto dei gruppi industriali ed affaristici questo servizio di depredamento dei piccoli possessori di moneta.

La produzione di ultraprofitti ingigantisce man mano che ci si allontana dalla figura del capo d'industria, che per competenza tecnica arrecava innovazioni socialmente utili. Il capitalismo diviene sempre più parassitario, ossia invece di guadagnare e accumulare poco producendo molto e molto facendo consumare, guadagna ed accumula enormemente producendo poco e soddisfacendo male il consumo sociale.

La politica imperialista del capitale

Nei paesi industrialmente più avanzati la classe intraprenditrice trova limiti all'investimento del capitale accumulato o nel difètto di materie prime locali, o in quello di manodopera metropolitana, o in quello di mercati di acquisto.

La conquista di mercati esteri, l'ingaggio di lavoratori stranieri, l'importazione di materie prime, o infine l'esercizio di tutta l'impresa capitalistica in paese estero con elementi e fattori del posto, sono processi che non possono nel mondo capitalistico essere svolti con i puri mezzi economici, come il gioco della concorrenza, il tentativo di regolare e controllare prezzi di vendita e di acquisto, e mano mano i privilegi e le protezioni con misure di stato o convenzioni interstatali. Quindi l'espansionismo economico diviene colonialismo aperto o dissimulato, appoggiato con poderosi mezzi militari. È la forza che decide le rivalità per l'accaparramento delle colonie e il dominio sugli stati piccoli e deboli, si tratti di controllare i grandi giacimenti minerari, le masse da proletarizzare, o gli strati di consumatori capaci di assorbire i prodotti dell'industrialismo capitalistico. Questi sono nel mondo moderno tuttavia in gran parte costituiti non solo dai consumatori proletari e capitalisti dei paesi avanzati, ma anche dai ceti sociali medii come quelli agrari e artigiani, e dalle popolazioni di paesi ad economia capitalistica, formanti oggi come tante isole che successivamente escono da un ciclo locale e autarchico di economia, e sono come immerse e circondate dal tessuto generale della economia capitalistica internazionale. In ciò il difficile quadro generale della riproduzione ed accumulazione del capitale, delle crisi di sovrapproduzione, della saturazione delle possibilità di collocare i prodotti in tutto il mondo in base alla distribuzione mercantile e monetaria.

Per ogni marxista è evidente che la complicazione di tale rapporto storico tra le metropoli superindustriali e i paesi arretrati, di razza bianca e di altre razze, non può che generare incessanti conflitti, non solo tra colonizzatori e colonizzati, ma soprattutto tra gruppi di stati conquistatori.

La teoria proletaria rigetta le seguenti tesi come controrivoluzionarie: A) che si possa e si debba infrenare la diffusione nel mondo della tecnica industriale e delle grandi reti organizzate di comunicazioni e trasporti (superstite liberalismo e liberismo piccolo borghese); B) che occorra appoggiare socialmente e politicamente le imprese coloniali ed imperiali della borghesia (opportunismo socialdemocratico, corruzione dei capi sindacali e di una "aristocrazia proletaria"); C) che il sistema coloniale basato sul capitalismo possa condurre ad un equilibrio economico e politico tra le potenze imperialiste, o ad uno stabile centro imperiale unico; ed evitare la progressiva corsa agli armamenti e al militarismo, e il rafforzarsi dei sistemi oppressivi e repressivi di polizia di classe (falso internazionalismo e federalismo fra stati borghesi, basato sulla simulata autonomia e autodecisione dei popoli e sui sistemi di sicurezza e di prevenzione delle "aggressioni").

"L'imperialismo sviluppa dappertutto la tendenza al dominio, non già alla libertà"."Nella realtà capitalistica le alleanze interimperialiste non sono altro che una fase di respiro tra una guerra e l'altra, qualsiasi forma assumano, sia quella di una coalizione imperialista opposta a un'altra, sia quella di una lega generale fra tutte le potenze" (Lenin).Solo sbocco dell'imperialismo mondiale è una rivoluzione mondiale.

La moderna impresa senza proprietà e senza finanza

Ogni nuova forma sociale, che per l'effetto dello svolgersi delle forze produttive tende a generalizzarsi, appare dapprima frammezzo alle forme tradizionali con "esempi" e "modelli" del nuovo metodo. Oggi si può studiare la forma della impresa senza proprietà analizzando l'industria delle costruzioni edilizie, e più in generale dei lavori pubblici, il cui peso proporzionale nell'economia tende ad aumentare sempre di più.

Conviene eliminare la figura del "committente", proprietario del suolo o degli stabili in cui si opera, e che diverrà proprietario dell'opera compiuta, essendo indifferente che sia un privato, un ente, o lo Stato, ai fini della dinamica economica della "impresa assuntrice".

L'impresa, o "appaltatore" dei lavori, presenta questi caratteri:

I. Non ha una officina, fabbrica, stabilimento proprio, ma volta a volta installa il "cantiere" e gli stessi uffici in sede posta a disposizione dal committente, il quale si addebita perfino contabilmente una cifra per tale impianto cantiere e costruzioni provvisorie.

II. Può avere degli attrezzi o anche macchine proprie, ma più spesso, dislocandosi in località disparate e lontane, o li noleggia o li acquista e rivende sul posto, o riesce a farsene pagare l'intero ammortamento.

III. Deve in teoria disporre di un capitale liquido da anticipare per materie prime e salari, ma va notato: a) che lo ottiene con facilità dalle banche quando provi di avere avuto "aggiudicato" un buon lavoro, dando in garanzia i mandati di pagamento; b) che nelle forme moderne molte volte per effetto delle "leggi speciali" lo Stato finanzia, anticipa, o obbliga istituti creditizi a farlo; c) che i "prezzi unitari" in base ai quali sono pagate all'impresa le partite di lavori a misura (ossia i veri prodotti dell'industria in esame, collocati e tariffati in partenza e fuori di ogni alea commerciale, mentre è poi facilissimo conseguirne aumenti in sede di contabilità), si formano aggiungendo a tutte le spese anche una partita per "interessi" del capitale anticipato, e solo dopo di tutto ciò l'utile dell'imprenditore.

In questa tipica forma sussiste l'impresa, il plusvalore, il profitto, che è in genere altissimo, mentre scompare ogni proprietà di immobili, di attrezzi mobili, e perfino di numerario.

Quando tutti questi rapporti sono a cura di enti pubblici e dello Stato, il capitalismo respira il migliore ossigeno, i tassi di remunerazione toccano i massimi; e la sopraspesa ricade per via indiretta su altre classi: in parte minima quella dei possessori immobiliari e dei piccoli proprietari, in parte massima su quella non abbiente e proletaria.

Difatti l'impresa non paga tassa fondiaria perché non ha immobili, e le tasse sui movimenti mobiliari di ricchezza le sono rimborsate anche quelle in sede di "analisi dei prezzi unitari", includendole nella partita "spese generali".In queste forme la classe imprenditrice nulla paga per mantenere lo Stato.

Analogo all'appalto è la concessione. Il concessionario riceve un'area, uno stabile, talvolta un impianto completo, dal pubblico ente: lo esercisce, e fa propri prodotti e guadagni. Ha l'obbligo di fare date ulteriori opere, installazioni, o perfezionamenti, e corrisponde un certo canone in denaro, in una sola volta o in rate periodiche. Dopo un certo numero di anni, sempre notevole, tutta la proprietà, incluse le nuove opere e trasformazioni, ritornerà all'ente concedente o demanio pubblico, cui è sempre rimasta intestata.

Il calcolo economico relativo ad un tale rapporto ne dimostra l'enorme vantaggio per il gestore, ove ben si considerino: le tasse immobiliari che non paga - l'interesse o rendita ingente che compete al valore del suolo e installazioni originarie, che non ha dovuto acquistare - le rate di "ammortamento" a compenso di usura e invecchiamento, che non deve accantonare, perché riconsegnerà impianti non nuovi ma usati e sfruttati a lungo.

La concessione presenta la quasi totale assenza di rischi su investimenti propri, e lo stesso alto profitto dell'appalto, e la caratteristica importante di potersi estendere a tutti i tipi di produzione e di fornitura delle industrie anche con sede fissa; la tendenza, in questa forma, può quindi coprire tutti i settori economici fermo restando il principio della impresa e del profitto.Lo stato moderno in realtà non ha mai attività economica diretta, ma sempre delegata per appalti e concessioni a gruppi capitalistici. Non si tratta di un processo col quale il capitalismo e la classe borghese siano respinti indietro da posizioni di privilegio; a quell'apparente abbandono di posizioni, corrisponde un aumento della massa di plusvalore di profitto e di accumulazione e dello strapotere del capitale; e, per tutto questo, degli antagonismi sociali.La massa del capitale industriale e finanziario accumulato, a disposizione della manovra di intrapresa della classe borghese, è quindi molto maggiore di quanto appare facendo la somma delle singole intestazioni titolari, sia di valori immobili che mobili, ai singoli capitalisti e possessori, e ciò è espresso dal fondamentale teorema di Marx che descrive come fatto e come produzione sociale il sistema capitalistico, da quando esso si afferma, sotto l'armatura del diritto personale.

Il capitalismo è un monopolio di classe, e tutto il capitale si accumula sempre più come la dotazione di una classe dominante, e non come quella di tante persone e ditte. Introdotto questo principio, gli schemi e le equazioni di Marx sulla riproduzione, l'accumulazione e la circolazione del capitale cessano di essere misteriosi e incomprensibili.

L'interventismo e il dirigismo economico

L'insieme di innumerevoli moderne manifestazioni con cui lo Stato mostra di disciplinare fatti ed attività di natura economica nella produzione, lo scambio, il consumo, è erroneamente considerato come una riduzione ed un contenimento dei caratteri capitalistici della società attuale.

La dottrina dell'astensione dello Stato dall'assumere funzioni economiche ed attuare interventi nella produzione e circolazione dei beni, non è che una maschera ideologica adatta al periodo in cui il capitalismo dovette farsi largo come forza rivoluzionaria, rompendo la cerchia di tutti gli ostacoli sociali e legali che gli impedivano di esplicare la sua potenzialità produttiva.

Per il marxismo lo stato borghese, anche appena formato, garantendo la appropriazione dei beni e dei prodotti da parte di chi dispone di denaro accumulato, codificando il diritto di proprietà individuale e la sua tutela, esercita una aperta funzione economica, e non si limita ad assistere dall'esterno ad una pretesa "naturale" spontaneità dei fenomeni dell'economia privata. In ciò è tutta la storia della accumulazione primitiva, culla del capitalismo moderno.Man mano che il tipo di organizzazione capitalista invade il tessuto sociale e i territori mondiali e suscita, con la concentrazione della ricchezza e la spoliazione delle classi medie, le contraddizioni e i contrasti di classe moderni, levando contro di sé la classe proletaria già sua alleata nella lotta antifeudale, la borghesia trasforma sempre più il legame di classe tra i suoi elementi da una vantata pura solidarietà ideologica, filosofica, giuridica, in una unità di organizzazione per il controllo dello svolgimento dei rapporti sociali, e non esita ad ammettere apertamente che questi sorgono non da opinioni ma da interessi materiali.Lo Stato quindi prende a muoversi nel campo produttivo, ed economico in generale, sempre per la spinta e le finalità di classe dei capitalisti, intraprenditori di attività economiche e iniziatori di affari a sempre più larga base.

Ogni misura economico-sociale dello Stato, anche quando arriva ad imporre in modo effettivo prezzi di derrate o merci, livello dei salarii, oneri al datore di lavoro per "previdenza sociale" ecc. ecc,, risponde ad una meccanica in cui il capitale fa da motore e lo Stato da macchina "operatrice".

Ad esempio l'imprenditore di una pubblica opera o il concessionario, poniamo di una rete ferroviaria o elettrica, sono pronti a pagare più alti salari e contributi sociali, poiché gli stessi si portano automaticamente nel calcolo dei "prezzi unitari" o delle "tariffe pubbliche". Il profitto, essendo valutato in una percentuale sul totale, cresce, il plusvalore cresce come massa e cresce come saggio, poiché anche i salariati pagano tasse statali e usano ferrovia ed elettricità, e l'indice salario ritarda sempre rispetto agli altri.

Il sistema inoltre incoraggia sempre più le imprese le cui realizzazioni e i cui manufatti servono poco, o non servono a nulla, o sviluppano consumi più o meno morbosi ed antisociali, fomentando la irrazionalità e anarchia della produzione, contro la volgare accezione che vede in esso un principio di ordinamento scientifico e una vittoria del famoso "interesse generale".

Non si tratta di subordinazione parziale del capitale allo Stato, ma di ulteriore subordinazione dello Stato al capitale. E, in quanto si attua una maggiore subordinazione del capitalista singolo all'insieme dei capitalisti, ne segue maggiore forza e potenza della classe dominante, e maggiore soggezione del piccolo al grande privilegiato.

La direzione economica da parte dello Stato risponde, più o meno efficacemente nei vari tempi e luoghi, con ondate di avanzate e ritorni, alle molteplici esigenze di classe della borghesia: scongiurare o superare le crisi di sotto e sovrapproduzione, prevenire e reprimere le ribellioni della classe sfruttata, fronteggiare i paurosi effetti economico-sociali delle guerre di espansione, di conquista, di contesa pel predominio mondiale, e lo sconvolgimento profondo dei periodi che le seguono.

La teoria proletaria non vede nell'interventismo statale una anticipazione di socialismo, che giustifichi appoggi politici ai riformatori borghesi, e rallentamenti della lotta di classe; considera lo stato borghese politico-economico un nemico più sviluppato, agguerrito e feroce dell'astratto stato puramente giuridico, e ne persegue la distruzione, ma non oppone a questo moderno atteso svolgimento del capitalismo rivendicazioni liberiste o libero-scambiste, o ibride teorie basate sulle virtù delle unità produttive, autonome da collegamenti sistematici centrali, e collegate nello scambio da intese contrattuali libere (sindacalismo, economia dei comitati di azienda).

Il capitalismo di Stato

Distinzione fondamentale nella descrizione della economia capitalistica moderna è quella tra: proprietà - finanza - intrapresa. Questi tre fattori che si incontrano in ogni azienda produttiva possono avere diversa o unica pertinenza e titolarità.

La proprietà riguarda gli immobili in cui lo stabilimento ha sede: terreni, costruzioni, edifizi, con carattere immobiliare. Produce un canone di affitto che, depurato delle spese "dominicali", dà la rendita. Possiamo estendere questo fattore anche alle macchine fisse, agli impianti o ad altre opere stabili senza alterare la distinzione economica, ed altresì a macchine mobili, o attrezzi diversi, col solo rilievo che questi ultimi sono di rapido logorìo ed esigono un più frequente rinnovo con una rilevante spesa periodica (ammortamento) oltre che una costosa manutenzione. Ma qualitativamente è lo stesso per le case e gli edifizi e anche per i fondi agrari, essendo respinta dai marxisti la tesi che esista una rendita base propria della terra, che la fornisca al di fuori dell'opera umana. Quindi elemento primo: proprietà che produce reddito netto.

Il secondo elemento è il capitale liquido di esercizio: con esso vanno ad ogni ciclo acquistate le materie prime, e pagati i salari dei lavoratori, oltre a stipendi, spese generali di ogni genere e tasse. Questo denaro può essere messo fuori da un speciale finanziatore, privato o banca nel caso generale, che non si occupa di altro che di ritirare un interesse annuo a dato saggio. Chiamiamo tale elemento per brevità finanza e la sua remunerazione interesse.

Il terzo caratteristico elemento è l'impresa. L'imprenditore è il vero fattore organizzativo della produzione, che fa i programmi, sceglie gli acquisti e resta arbitro dei prodotti cercando di collocarli sul mercato alle migliori condizioni, ed incassa tutto il ricavo delle vendite. Il prodotto appartiene all'imprenditore. Col suo ricavo si pagano tutte le varie anticipazioni dei precedenti elementi: canoni di fitto, interessi di capitali, costi di materie prime, manodopera ecc. Resta tuttavia in generale un margine che si chiama utile di intrapresa. Quindi terzo elemento: impresa, che produce profitto.

La proprietà ha il suo valore che si chiama patrimonio, la finanza il suo che si denomina capitale (finanziario) e infine anche l'impresa ha un valore distinto e alienabile derivante, come suol dirsi, se non da segreti e brevetto di lavorazione tecnica, da "accorsamento", "avviamento", "cerchia di clientela", e che si considera legato alla "ditta" o "ragione sociale".

Ricordiamo anche che per Marx alla proprietà immobiliare corrisponde la classe dei proprietari fondiari, al capitale di esercizio e di impresa la classe dei capitalisti imprenditori. Questi sono poi distinti in banchieri o finanzieri ed imprenditori veri e propri: Marx e Lenin mettono in totale evidenza l'importanza dei primi col concentrarsi dei capitali e delle imprese, e la possibilità di urti di interessi tra i due gruppi.

Per bene intendere che cosa si voglia indicare colla espressione di Stato capitalista e di capitalismo di Stato, e con i concetti di statizzazione, nazionalizzazione e socializzazione, va fatto riferimento alla assunzione da parte di organi dello Stato di ciascuna delle tre funzioni essenziali prima distinte.

Non dà luogo a grave contrasto, anche con gli economisti tradizionali, che tutta la proprietà fondiaria potrebbe divenire statale senza che con ciò si esca dai limiti del capitalismo e senza che i rapporti tra borghesi e proletari abbiano a mutarsi. Sparirebbe la classe dei proprietari di immobili, e questi, in quanto indennizzati in numerario dallo Stato espropriatore, investirebbero il denaro divenendo banchieri o imprenditori.

Nazionalizzazione della terra o delle aree urbane non sono dunque riforme anticapitalistiche: ad esempio già attuata in Italia è la statizzazione del sottosuolo. L'esercizio delle aziende si farebbe in affitto o concessione, come avviene per le proprietà demaniali, miniere, ecc. (esempio dei porti, docks).

Ma lo Stato può assumere non solo la proprietà di impianti fissi ed attrezzature diverse, bensì anche quella del capitale finanziario, inquadrando ed assorbendo le banche private. Questo processo è completamente sviluppato in tempo capitalista prima col riservare la stampa della moneta cartacea che lo Stato garantisce a una sola Banca, poi coi cartelli obbligatorii di Banche e la loro disciplina centrale. Lo Stato può quindi più o meno direttamente rappresentare in una azienda non solo la proprietà ma anche il capitale liquido.

Abbiamo quindi gradatamente: proprietà privata, finanza privata, impresa privata - proprietà di Stato, finanza ed impresa privata - proprietà e finanza di Stato, impresa privata.

Nella forma successiva e completa lo Stato è titolare anche della impresa: o espropria ed indennizza il titolare privato, o nel caso delle società per azioni acquista tutte le azioni. Abbiamo allora l'azienda di Stato in cui con denaro di questo sono fatte tutte le operazioni di acquisto di materie e pagamenti di opera, e tutto il ricavo della vendita dei prodotti va allo Stato stesso. In Italia sono esempio il monopolio del tabacco, o le Ferrovie dello Stato.

Tali forme sono note da tempo antico e il marxismo ha ripetutamente avvertito che in esse non vi è carattere socialista. Non è meno chiaro che la ipotetica integrale statizzazione di tutti i settori dell'economia produttiva non costituisce l'attuazione della rivendicazione socialista, come ripete tanto spesso la volgare opinione.

Un sistema in cui tutte le aziende di lavoro collettivo fossero statizzate e gestite dallo Stato si chiama capitalismo di Stato, ed è cosa ben diversa dal socialismo, essendo una delle forme storiche del capitalismo passato, presente e futuro. Differisce essa dal cosiddetto "socialismo di Stato"? Con la dizione di capitalismo di Stato si vuole alludere all'aspetto economico del processo e alla ipotesi che rendite, profitti ed utili passino tutti per le casse statali. Con la dizione di socialismo di Stato (sempre combattuta dai marxisti e considerata in molti casi come reazionaria perfino rispetto alle rivendicazioni liberali borghesi contro il feudalismo) ci si riporta all'aspetto storico: la sostituzione della proprietà dei privati con la proprietà collettiva avverrebbe senza bisogno della lotta delle classi né del trapasso rivoluzionario del potere, ma con misure legislative emanate dal governo: nel che è la negazione teorica e politica del marxismo. Non può esservi socialismo di Stato sia perché lo Stato oggi non rappresenta la generalità sociale ma la classe dominante ossia la capitalista, sia perché lo Stato domani rappresenterà sì il proletariato, ma appena l'organizzazione produttiva sarà socialista non vi sarà più né proletariato né Stato, ma società senza classi e senza Stato.

Dal lato economico, lo Stato capitalista è forse la prima forma da cui si mosse il moderno industrialismo. La prima concentrazione di lavoratori, di sussistenze, di materie prime, di attrezzi non era possibile ad alcun privato, ma era solo alla portata del pubblico potere: Comune, Signoria, Repubblica, Monarchia. Un esempio evidente è l'armamento di navi e flotte mercantili, base della formazione del mercato universale, che per il Mediterraneo parte dalle Crociate, per gli oceani dalle grandi scoperte geografiche della fine del secolo XV. Questa forma iniziale può riapparire come forma finale del capitalismo e ciò è tracciato nelle leggi marxiste della accumulazione e concentrazione. Riunite in masse potenti dal centro statale, proprietà, finanza e dominio del mercato sono energie tenute a disposizione della iniziativa aziendale e del dominante affarismo capitalista, soprattutto con i chiari fini della sua lotta contro l'assalto del proletariato.

Per stabilire quindi la incolmabile distanza tra capitalismo di stato e socialismo, non bastano queste due correnti distinzioni:

  • a) che la statizzazione delle aziende sia non totale ma limitata ad alcune di esse, talune volte a fine di esaltare il prezzo di mercato a benefizio dell'organismo statale, talune altre a fine di evitare rialzi di prezzi eccessivi e crisi politico-sociali;
  • b) che lo stato gestore delle poche o molte aziende nazionalizzate sia tuttavia lo storico stato di classe capitalista, non ancora rovesciato dal proletariato, ogni politica del quale segue gli interessi controrivoluzionarii della classe dominante.
    A questi due importanti criteri occorre aggiungere gli altri seguenti, non meno importanti per concludere che si è in pieno capitalismo borghese:
  • c) i prodotti delle aziende statizzate hanno tuttavia il carattere di merci, ossia sono immessi sul mercato ed acquistabili con danaro, da parte del consumatore;
  • d) i prestatori d'opera sono tuttavia remunerati con moneta, restano dunque lavoratori salariati;
  • e) lo stato gestore considera le varie imprese come separate aziende ed esercizi, ciascuna con proprio bilancio di entrata ed uscita computate in moneta nei rapporti con altre aziende di stato e in ogni altro, ed esige che tali bilanci conducano ad un utile attivo.

La formazione della economia comunista.

È preferibile la dizione di produzione e meglio ancora di organizzazione comunista, e non di economia comunista, per non cadere nell'equivoco della scienza borghese che definisce fatto economico ogni processo che non attiene semplicemente alla produzione col lavoro umano ed al consumo per i bisogni umani, ma che contiene una direzione ed una "spinta" verso il conseguimento di un vantaggio in una operazione di scambio, escludendo quindi quanto sia fatto o per coazione o per spontanea socialità.

È inesatto che i marxisti dopo la critica superatrice dei sistemi utopisti (non perché troppo fantastici ma perché sempre cattive copie dell'ordinamento capitalistico) abbiano rifuggito dalla concreta spiegazione dei caratteri della organizzazione futura.

È ben chiaro che ogni movimento rivoluzionario precisa anzitutto alle masse le forme tradizionali che vuol distruggere, essendosi oramai reso evidente che esse sono puri ostacoli ad un miglioramento, già attuale colle raggiunte risorse di tecnica lavorativa. Quindi, ad esempio: abolizione della schiavitù, della servitù feudale. La nostra formula è: abolizione del salariato, e abbiamo dimostrato come sia solo una parafrasi quella di abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione; e anche la rivendicazione espressa negativamente (cap. III) sia più completa ed includa: abolizione della proprietà sui prodotti, del carattere di merci dei prodotti, della moneta, del mercato, della separazione tra aziende, e (si deve aggiungere) della divisione della società in classi e dello Stato.

La abolizione della separazione tra le aziende serve a ben ricordare come diversa sia la visione marxista di una unica associazione produttiva, da quella di un complesso di autonome associazioni di gruppi di produttori, che scambiano e contrattano tra loro, e di cui siano arbitri i gruppi o consigli di produttori. Questa è una ideologia di produttori-proprietarii ed è comune alle più diverse scuole da noi criticate (Proudhon, Bakunin, Sorel, e anche: mazziniani, cristiani sociali, "ordinovisti"). Una tale formola è già nella regola, per i tempi veramente grandiosa, di San Benedetto.

Quindi il "piano unico centrale", che tende ad essere mondiale, è elemento caratteristico della organizzazione comunista di lavoro e di consumo.

Avendo noi stabilito che un piano unico dello stato odierno, per quanto centralizzato ed esteso a federazioni e unioni interstatali con disciplina unitaria della produzione e distribuzione, resta del tutto capitalistico, va ristabilito l'insieme dei caratteri che definiscono una organizzazione sociale non più capitalistica.

Avendo contestato che la presenza di aziende statali autorizzi a dire che la società è divenuta socialista, ovvero che "è parte socialista, parte capitalista" ; e contrapponendo a tale valutazione dei recenti fenomeni economici, del tutto attesi, quella che si tratta della concentrazione della proprietà, della finanza, del capitale, del mercato, parallela alla concentrazione della forza politica, militare, poliziesca del capitalismo ed espressione dell'antagonismo rivoluzionario; occorre ben stabilire quale è la via del processo di sviluppo che permette di riscontrare organizzazione comunista, ad uno stadio dato.

La giusta tesi non è questa: tutto è capitalismo più o meno concentrato o frammentato, liberale o dittatoriale, liberista o pianificato, fino alla violenta rivoluzione che spezzi lo stato politico borghese ed innalzi quello della dittatura proletaria. Da tal momento soltanto, settore per settore, cominceremo a vedere forme organizzative comuniste prendere il posto delle capitaliste, ed avremo quindi una economia, parte capitalista parte comunista, in rapida trasformazione. In realtà la urgenza di superare antiche forme di produzione non si presenta nella nostra accezione solo come rivendicazione ideale, ma come concreta evidenza che condanna le forme antiche e mostra il rendimento infinitamente superiore delle nuove, anche prima della rivoluzione politica.

Ad esempio la schiavitù cade per le rivolte degli schiavi, ma prima di ciò, e prima che lo stato la ripudii, si rende evidente che le aziende a base di lavoro di schiavi entrano in crisi, e prosperano sia piccole che medie aziende di produttori liberi o che assoldano salariati. Il feudalismo vacilla perché, a suo tempo, le scoperte tecniche e meccaniche mostrano come si abbiano prodotti con sforzo minore dalle prime manifatture e aziende agrarie con lavoratori liberi, che nei mestieri artigiani e nelle campagne feudali. Quindi in pieno regime feudale già vi è una parte sempre maggiore della produzione che è impiantata capitalisticamente.

Deve dunque essere possibile riscontrare nel capitalismo avanzato i saggi di organizzazione futura comunistica, che non sono nelle aziende statali in quanto tali, ma in speciali settori.

Si può prendere l'esempio della posta, che divenne servizio statale ben prima della rivoluzione borghese. Solo il signore privato strapotente poteva avere per ogni messaggio un apposito corriere a piedi o a cavallo. Quella delle poste sulle vie maestre sorse come industria per trasporto di persone e cose, e solo dopo di corrispondenza. Ma solo in primo tempo fu gratuito tale servizio; presto lo si rese pagabile dal destinatario, che tuttavia poteva rifiutare e il plico e la tassa. Era chiaro che un simile servizio non era sicuramente attivo. La invenzione del francobollo rimediò a tutto: il servizio fu ovunque e per sempre statale, ma mercantile.

Altre più complesse esigenze e scoperte conducono oltre. Il telegrafo può essere allo stesso modo a pagamento, ma non la radio: è stato ritenuto che il canone dei radioabbonati è una imposta, non un prezzo. Gratuito è il servizio di ascolto delle radio non nazionali. Gratuito e volontario è divenuto quello delle segnalazioni dei radioamatori in casi di pericoli o naufragi.

Fin dai primi scritti del 1844 Engels, nel far risaltare che base del mercantilismo concorrentistico è il monopolio, rileva la giusta teoria degli economisti classici: ha valore ogni cosa suscettibile di essere monopolizzata. Così l'aria atmosferica è più vitale del pane, ma non potendo essere monopolizzata non ha valore, e non la si paga. Si dirà allora che la natura la fornisce in quantità illimitata.

Vi sono tuttavia esempi in cui il limite non si può porre nemmeno a prestazioni artificiali. Gli ospedali per traumatici raccolgono chi si rompe una gamba. Ma non respingono chi appena uscito si rompa l'altra. Il servizio di estinzione incendi non solo è gratuito, ma non subordina il suo intervento ad eventuali precedenti salvataggi nello stesso luogo o per la stessa persona. Vi sono quindi dei servigi non mercantili e illimitati. Del resto lo sono il passaggio per le strade pubbliche e il bere alla fontana stradale etc, non toccando qui il punto delle imposte.

Si può osservare che il pompiere e l'infermiere sono pagati a salario e in moneta, e quindi il settore non è esempio di rapporto comunistico.

Ricorrendo allora all'esempio dell'esercito, vediamo una comunità i cui componenti sono tenuti a data attività, non sempre distruttiva, e non remunerati con danaro ma con somministrazioni in natura, in certo senso non limitate.

Non vi è rapporto tra l'impegno di attività, sia essa militare o civile, di un determinato reparto rispetto ad un altro, e la quantità di munizioni nel senso generale, comprese quelle da bocca, le divise, i mezzi di trasporto e via, che essi consumano a carico della centrale "intendenza".

Sono dunque evidenti e possibili attività umane organizzate in dati casi senza compenso in denaro; in altri senza alcuna proporzione tra consumo di sussistenze, e opera data o prodotto; in altri senza la esigenza che azienda per azienda debba entrare più moneta di quella che esce. Anzi le più vaste e moderne esigenze della vita collettiva possono essere soddisfatte soltanto uscendo dai criteri mercantili e tornacontistici che si potrebbero chiamare "criteri di bilancio". Nella lotta, ad esempio, contro le calamità naturali come epidemie, inondazioni, terremoti, eruzioni, non solo non si chiede remunerazione ai salvati, ma con disposizioni centrali si cerca di mobilitare l'opera di tutti gli abitatori validi presenti nella zona, senza compenso, e le sussistenze ed altre provvidenze sono distribuite a chiunque e senza prezzo.

Non dovrebbe correre dubbio che la "civiltà" capitalistica, che dopo la sua fase di gigantesco potenziamento della produttività dell'umano lavoro, prende a funzionare come produttrice in serie di distruzioni, conflitti, guerre sterminatrici anche dei non combattenti, va oggi trattata come un sinistro, un permanente disastro che ha investita tutta la superficie terrestre.

In conclusione nella attività organizzata presente esistono attività e "servizi" la cui struttura fa capire che il comunismo non solo è attuabile, ma è necessario e storicamente imminente, ma detti esempi non vanno cercati nella "statizzazione" delle aziende produttive, industriali, o terriere, bensì in quei casi in cui si è superata la "equazione mercantile" tra lavoro speso e valore prodotto, per attuare la superiore forma di gestione e disciplina "fisica" delle operazioni umane e sociali, non rappresentabile in partita doppia e in attivo di bilancio, diretta razionalmente secondo il miglior utile generale attraverso progetti e calcoli, in cui non entra più l'equivalente moneta.

Fasi della trasformazione in Russia dopo il 1917.

Una simile storia economica non è stata scritta, e non vi sono dati tali da poterne fare, anche da parte non di un autore ma di una apposita organizzazione di ricerca indipendente (termine che nella attuale fase ha perduto ogni senso concreto), un tracciato esauriente, comparabile a quello dato da Marx della nascita e vita del capitalismo inglese ed europeo in generale. Anzitutto i poteri della vittoriosa classe capitalistica non nacquero né ermetici né esoterici, e nel primo periodo non avevano interesse a mascherare i dati di fatto della loro economia, che ingenuamente credevano "naturale" ed eterna: il marxismo trovò quindi in Inghilterra non solo teorie economiche che si erano spinte ad un livello notevole, da cui hanno poi precipitosamente rinculato, ma soprattutto materiali immensi genuini. Ciò che oggi non è possibile per la Russia.

Occorre mettere a base la dispersione del fondamentale equivoco del modellismo. Giusta è la dottrina che la rivoluzione politica, la prima battaglia campale proletaria, può e deve essere sferrata nel punto di minore resistenza storica, e poco importa che la Pietrogrado 1917 fosse capitale di un paese meno sviluppato della Francia al tempo della Comune di Parigi. Non occorre affatto abbandonare tale terreno ben solido per i comunisti rivoluzionari, per deridere la posizione di quelli che dicevano: siete stati in Russia? dunque fate propaganda della prova dell'esperimento che il comunismo come organizzazione produttiva può funzionare ottimamente.

Lenin ha detto e scritto cento volte che anzitutto un modello isolato non è affare marxisticamente serio, ma poi che per andare avanti con passo travolgente nell'attuare socialismo occorreva prendere Berlino, Parigi e Londra. Il che non fu. Ed allora occorre vedere chiaramente i fatti economici e le posizioni programmatiche sociali nei varii periodi, rivendicando quelle dei bolscevichi dal 1903 al 1917 e dal 1917 al 1923 circa, dimostrando controrivoluzionarie nel senso operaio le posizioni del governo russo da allora in poi, e sempre più gravemente nelle fasi: distruzione del gruppo rivoluzionario bolscevico - alleanza colle potenze capitalistiche occidentali, Germania prima, anglo-americani dopo - fase attuale di propaganda collaborazionista di classe in tutti i paesi e alla scala mondiale.

  1. Il sorgere del capitalismo russo in zone limitate si deve ad iniziativa dello Stato feudale e non al potente formarsi di una indigena borghesia (1700-1900).
  2. Nella fase in cui la Russia era la sola nazione europea non governata dalla borghesia, il che impediva un diffondersi della produzione capitalistica nell'immenso territorio, era giusto che il proletariato e il suo partito rivoluzionario si addossassero i problemi di due rivoluzioni immediatamente saldate. Politicamente risultò la Russia il paese più favorevole per la tattica del disfattismo rivoluzionario in guerra (1900-1917).
  3. Le misure sociali nel periodo immediatamente successivo alla conquista del potere da parte del partito proletario non potevano che essere empiriche e transitorie, anziché "modelli di propaganda", essendo compiti preminenti il battere le forze controrivoluzionarie: a) feudali - b) borghesi, democratiche e degli opportunisti interni - c) esterne, non tamponando indefinitamente gli interventi armati, prospettiva storica illusoria, ma attaccando con la rivoluzione di classe interna le metropoli borghesi.
    Come Lenin descrisse, il quadro economico russo era un misto di tutte le forme economiche: premercantili (comunismo primitivo, signoria e teocrazia asiatica, baronato terriero) ; mercantili (capitalismo industriale, commerciale e bancario, proprietà privata terriera libera) ; postmercantili (prime attuazioni di comunismo "di guerra", ossia di "guerra sociale", come pane, casa, trasporti gratuiti nelle grandi città, e simili). Già in tale quadro transitorio, le statizzazioni di fabbriche, aziende e banche, e di poderi agrari sono misure rivoluzionarie sì, ma di rivoluzione capitalistica. Così lo sono le requisizioni di grano senza compenso, fatte con la forza a carico di contadini rapidamente divenuti da servi della gleba produttori autonomi. Fecero cose analoghe le rivoluzioni borghesi: la storia lo mostra (1917-1921).
  4. Lenin disse tutto questo duramente al momento della N.E.P., Trotsky che condivideva le sue direttive spiegò che era socialismo con la contabilità capitalista; in effetti è proprio il tipo di contabilità che definisce la forma economica. La giusta espressione marxista era: capitalismo con contabilità capitalista, ma con registri tenuti dallo Stato proletario. Si ebbe il libero mercato e commercio, la libera produzione artigiana e piccolo borghese e la libera piccola e media coltura della terra: tutte forme mature ad erompere, ma fino allora soffocate dalla impalcatura governativa feudale-zarista. Una valvola sociale rivoluzionaria fu aperta.
    Nella prospettiva di Lenin il pericolo di questa svolta era chiarito senza sottintesi: formazione di una classe e di una accumulazione capitalista, inevitabile sulla trama della libertà di mercato. Lenin pensava che la rivoluzione proletaria in occidente avrebbe fatto più presto. Solo allora le misure dispotiche ulteriori di intervento nel corpo dell'economia russa potevano prendere indirizzo socialistico (1921-1926).
  5. Abbandonata la prospettiva della rivoluzione politica nei paesi capitalistici, la pretesa teoria del socialismo in un solo paese, e gli interventi centrali del potere dello Stato nel senso di reprimere le forze della piccola e media coltura agraria, commercio, industria, impedendo che divenissero forze politiche, sono esempi di capitalismo di Stato, senza il minimo carattere proletario e socialista. La generale maturità della tecnica che in un certo senso è patrimonio internazionale, e quindi l'avvio di un capitalismo e di un industrialismo a grado di produttività tecnica enormemente superiore a quello con cui esordì in Inghilterra, Francia, Germania, America, abbreviarono le tappe della concentrazione e della accumulazione.
    Lo Stato che aveva avuto nascita come Stato del proletariato vincitore si involse in Stato capitalista e si costituì - sola via per arrivare alla produzione per grandi aziende - in datore di lavoro del proletariato industriale russo e in larga parte di quello agricolo: la sua politica da quel momento non ha la dinamica dei rapporti colla classe proletaria dei paesi capitalisti ma quella dei rapporti con gli Stati borghesi, siano essi di alleanza, di guerra o di contrattazione.
  6. Nella situazione che si è così originalmente determinata sussiste in pieno la capitalistica economia di mercato e di azienda. La difficoltà di trovare il gruppo fisico di uomini che sostituiscono quella borghesia che non si è formata per via spontanea, o in quanto formata sotto lo zarismo venne distrutta dopo l'Ottobre 1917, è difficoltà grave solo agli effetti del modo di pensare democratico e piccolo borghese di cui decenni e decenni hanno avvelenato la classe operaia i pretesi suoi maestri. Mano mano che l'azienda e l'impresa borghese divengono, da personali, collettive e anonime, e infine "pubbliche", la borghesia, che mai è stata una casta, ma è sorta difendendo il diritto della totale eguaglianza "virtuale", diventa "una rete di sfere di interessi che si costituiscono nel raggio di ogni intrapresa". I personaggi di tale rete sono svariatissimi: non sono più proprietari o banchieri o azionisti, ma sempre più affaristi, consulenti economici, business-men. Una delle caratteristiche dello svolgimento della economia è che la classe privilegiata ha un materiale umano sempre più mutevole e fluttuante (il re del petrolio che era usciere, e così via).
    Come in tutte le epoche, tale rete di interessi, e di persone che affiorano o meno, ha rapporti con la burocrazia di Stato, ma non è la burocrazia; ha rapporti coi "circoli di uomini politici", ma non è la categoria politica.
    Soprattutto, in tempo di capitalismo tale rete è "internazionale" e oggi non vi sono più classi borghesi nazionali, ma una borghesia mondiale. Vi sono bensì gli Stati nazionali della classe capitalistica mondiale.
    Lo Stato russo è oggi uno di questi, ma con una sua particolare origine storica. È il solo infatti uscito da due rivoluzioni saldate nella vittoria politica ed insurrezionale; è il solo che ha ripiegato dal secondo compito rivoluzionario ma non ha ancora esaurito il primo: di fare di tutte le Russie un'area di economia mercantile. Con i conseguenti profondi effetti sull'Asia.
    La via più rapida per fare questo, senza di che con gli altri Stati nazionali non si può né lottare - né fornicare - con successo, è quella dello Stato padrone di terra e capitale, la più feconda e calda incubatrice di un giovane vigoroso mercantilismo ed "impresismo".
    Chiave della critica marxista è che il capitalismo non riduce a zero forze produttive col limitatissimo consumo di plusvalore che fanno i padroni di azienda, ma colla distruttiva e bestiale gara tra aziende e tra gruppi di succhioni (o anche di vanesii) che ognuna di esse allatta: nell'anatomia della società russa, dove non è molto comodo andare a introdurre il bisturi, tale fenomeno parassitario non solo è vivo e vitale, ma al massimo della virulenza.

Utopia, Scienza, Azione.

Con le espressioni di socialismo (scientifico), comunismo (critico), si intende da tutti il complesso di una interpretazione del processo dei fatti sociali umani, della aspettazione e rivendicazione che il processo futuro presenti dati caratteri, della lotta che conduce la classe lavoratrice per giungervi e dei metodi di essa lotta.

In ciò è implicita l'affermazione che si può in grandi tratti stabilire le linee dello sviluppo avvenire, e nello stesso tempo che occorre una mobilitazione di forze per favorire ed affrettare tale sviluppo.

Se tutti questi aspetti sono in modo espressivo nel marxismo, tanto che da quando fu formulato anche coloro che non lo hanno accolto devono fare ad ogni piè sospinto i conti con esso, tuttavia in forma sia pure non organica si presentano in tutti i "sistemi" precedenti.

Lasciando da parte questioni astruse, come il considerare una comune illusione di teorici, autori, propagandisti, militanti di partito di ogni colore, quella che valga la pena di influire sugli eventi sociali, studiarne lo sviluppo e battersi per esso, rileveremo che ogni manifestazione di attesa del futuro, ogni lotta per "cambiare le cose", presuppone una certa esperienza e nozione del passato e delle situazioni presenti, e d'altra parte ogni studio e descrizione del passato e dei fatti che ci circondano non ha mai avuto svolgimento se non per arrivare in certo modo a previsioni plausibili e pratiche innovazioni. Occorre limitarsi a constatare che è stato così per tutti i movimenti reali, senza abbordare in partenza (ossia metafisicamente e vanamente) i soliti rompicapi di finalismo o meccanismo.

Esseri, uomini e gruppi indifferenti a sapere "dove si andava" o a cercare di mutare la direzione del moto, sono sempre stati altrettanto inetti alle seduzioni di una ricerca freddamente conoscitiva e descrittiva, che metta agli atti i risultati senza curarsi di altro e senza utilità alcuna dell'archivio. Se fosse possibile solo fare la fotografia della realtà e del mondo, non bisognerebbe andare oltre alla prima fotografia: quando se ne raccoglie una serie, vuol dire che si cercano regole di uniformità o disuniformità tra i varii clichés impressi, e se si fa questo è per dire in certo modo che cosa rileverebbe una foto successiva, prima di averla fatta.

I gruppi umani sono anzi partiti da tentativi di sapere il futuro prima di avere edificati sistemi anche iniziali di conoscenza della natura e della storia di passati eventi. Il primo sistema è la tradizione ereditaria di nozioni che riguardano come premunirsi da inconvenienti, pericoli, cataclismi; viene dopo la registrazione anche embrionale di fatti e dati contemporanei e trascorsi. La cronaca nacque dopo la prammatica. Lo stesso istinto degli animali, che si riduce ad una prima forma di conoscenza quantitativamente bassa, regola il comportamento su eventi futuri da evitare o facilitare: uno studioso della materia ne dà questa bella definizione: "l'istinto è la conoscenza ereditaria di un piano specifico di vita". Ognuno che forma e possiede piani, lavora su dati del futuro. Tanto meglio se prendiamo l'aggettivo specifico come collegato a "specie", ossia non un piano determinato, ma un "piano per la specie". Volando attraverso tutto il ciclo, il comunismo è la "conoscenza di un piano di vita per la specie". Ossia per la specie umana.

Nella accezione utopistica il comunismo voleva elaborare il futuro dimenticando o trascurando il passato e il presente. Il marxismo dette la più completa e definitiva critica dell'utopia come piano o sogno di un autore o di una setta illuminata, che sembravano dire: giunti noi, il problema è risolto, come lo sarebbe stato se fossimo giunti, collo stesso piano, mille anni prima.

Secondo il marxismo tutti i sistemi di pensiero e di idee, religiosi o filosofici, non sono prodotto di singoli cervelli, ma espressione sia pure informe dei dati di conoscenza di una certa epoca sociale ordinati al fine delle sue regole di comportamento. Non sono cause ma prodotti del movimento storico generale. Nel loro succedersi si trovano ad essere invecchiati, ossia riflettono nelle loro formulazioni le condizioni antiche, e in altri casi ad essere anticipatori, ossia ad essere effetto del decomporsi di quelle vecchie forme e dei loro contrasti, talché esprimono il futuro. Così al tempo schiavista la rivendicazione davanti alla legge e al costume che un uomo non doveva essere proprietà di un altro, prendeva la forma misteriosa della eguaglianza delle anime davanti al dio unico. Ma ciò non avviene perché il dio si sia deciso a rivelarsi, bensì per la decomposizione e la non convenienza della produzione schiavista: i cristiani la applicheranno contro i negri quando ricompariranno le condizioni adatte, come molta terra libera a pochi occupatori, per effetto delle scoperte geografiche.

Comunque le tesi sulla unità di Dio e la immortalità dell'anima non sono emesse a caso, ma dicono con altre parole che è imminente il tempo in cui ogni lavoratore sarà libero nella persona. Per credenti, ideologi, giuristi è una conquista della persona umana, per noi è conquista venuta al suo tempo, di un nuovo più efficiente "piano di vita della specie".

Di conseguenza il marxismo, pur rendendo omaggio all'utopismo del secolo XVIII, che a sua volta espresse in modo approssimato una condizione matura, ne mostra la debolezza nel non saper collegare la fine dell'economia di proprietà privata, non solo di uomo su uomo, ma anche di uomo su lavoro d'uomo, alla compiuta evoluzione di una data forma sociale, il capitalismo.

L'utopismo è una anticipazione del futuro; il comunismo scientifico lo richiama alla cognizione del passato e del presente, solo perché del futuro non basta una anticipazione arbitraria e romantica, ma occorre una scientifica previsione; quella specifica previsione che é resa possibile dal pieno maturarsi della forma capitalistica di produzione, e che strettamente si collega ai caratteri di essa forma, del suo sviluppo, e dei peculiari antagonismi che insorgono in essa.

Mentre nelle vecchie dottrine il mito e il mistero furono espressioni della descrizione degli eventi precedenti ed attuali, e mentre la moderna filosofia della classe capitalistica vanta (con sempre minore risolutezza) di avere eliminati tali elementi fantastici dalla scienza dei fatti fin qui registrati, la nuova dottrina proletaria costruisce le linee della scienza del futuro, del tutto sgombre da elementi arbitrari e passionali.

Se una conoscenza generale della natura e della storia, parte di essa, è possibile, essa comprende, inseparabile da sé, la ricerca del futuro: ogni fondata polemica contro il marxismo non può stare che sul terreno della negazione della conoscenza umana e della scienza.

Qui si tratta non di dare tutto il quadro di un tale problema, ma di eliminare le deformazioni che pretendono di ammettere del marxismo l'analisi originale incomparabile della umana storia e della presente ossatura sociale capitalista, pervenendo poi per estinzione di calore a posizioni scettiche, agnostiche ed elastiche circa l'itinerario preciso dell'avvenire rivoluzionario, e la possibilità di averlo conosciuto e tracciato essenzialmente, fin da quando la classe proletaria è stata di fatto sulla scena sociale in masse efficienti.

Regolato il conto coi profeti, lo fu del pari con gli Eroi, che le vecchie concezioni della storia ponevano al sommo, tanto nella forma di capitani di armi, che in quella di legislatori e ordinatori di popoli e di Stati. Inutile anche qui dire che, come ogni sistema profetico, ogni gesta di conquistatori o di innovatori politici viene dalla critica marxista vagliata quale espressione o risultato che traduce effetti profondi dei "piani di vita" che si succedono, invecchiano, e si impongono.

La nuova dottrina quindi non può legarsi ad un sistema di tavole o testi, premessi a tutta la battaglia; come non può affidarsi al successo di un Capo o di una avanguardia combattente ricca di volontà e di forza. Profetizzare un futuro, o volere realizzare un futuro, sono posizioni entrambe inadeguate per i comunisti. A tutto ciò si sostituisce la storia della lotta di una classe considerata come un corso unitario, di cui ad ogni momento contingente solo un tratto è stato già svolto, e l'altro si attende. I dati del corso ulteriore sono ugualmente fondamentali e indispensabili quanto quelli del corso passato. Del resto gli errori e gli sviamenti sono egualmente possibili nella valutazione del movimento precedente, e in quella del movimento successivo: e tutte le polemiche di partiti e di partito stanno a provarlo.

Per conseguenza il problema della prassi del partito non è di sapere il futuro, che sarebbe poco, né di volere il futuro, che sarebbe troppo, ma di "conservare la linea del futuro della propria classe".

È chiaro che se il movimento non la sa studiare, indagare e conoscere, neppure sarà in grado di conservarla. Non meno chiaro è che se il movimento non sa distinguere tra la volontà delle classi costituite e nemiche e la propria, egualmente la partita è perduta, la linea smarrita. Il movimento comunista non è questione di pura dottrina; non è questione di pura volontà: tuttavia il difetto di dottrina lo paralizza, il difetto di volontà lo paralizza. E difetto vuol dire assorbimento di altrui dottrine, di altrui volontà.

Quelli che irridono alla possibilità di tracciare un grande itinerario storico a mezzo del corso (come avverrebbe per chi, avendo disceso il fiume dalla sorgente al mezzo, prendesse a disegnare la carta di esso fino all'oceano; induzione non inaccessibile alla scienza fisica geografica), sono portati o ad escludere ogni possibilità di influenza di singoli e gruppi sulla storia, o ad esagerarla, per quanto però riguarda una successione immediata.

Errori volontaristi furono nelle due grandi deviazioni revisioniste della fine ottocento e principio novecento. Il riformismo, pretendendo di conservare la dottrina classica come studio della storia e dell'economia, rifiutò come illusorio il tracciato del corso futuro, e si ridusse a lavorare su scopi di dettaglio e di breve respiro, da rinnovarsi di volta in volta. Il suo motto fu "il fine è nulla, il movimento è tutto"; ed esso equivale a dire: "i principii sono nulla, il movimento è tutto". In un tale indirizzo sorge il dubbio tra il fine di un vicino interesse della classe operaia, e quello dei suoi capi e dirigenti: tanto l'uno che l'altro possono trovarsi opposti al fine di classe lontano e generale. Qui l'opportunismo. L'altra scuola, il sindacalismo, rifiutò il determinismo, assumendo di accettare la dottrina della lotta di classe economica e il metodo violento, ma non politico: il che lo chiuse fuori dalla lotta per il corso generale di classe. Confluirono riformismo e sindacalismo nella degenerazione socialpatriottica.

Una degenerazione del tutto parallela è quella della terza internazionale e del partito russo nel secondo quarto del secolo attuale: abbandono della linea della finalità generale di classe, per seguire risultati prossimi, locali, mutevoli di fase in fase.

La questione dell'azione comunista, della strategia, della tattica o della prassi è la stessa questione, ossia quella del conservare la linea del futuro di classe, e questa questione viene posta da quando la classe proletaria socialmente appare. Che vi siano soluzioni diverse da tempo a tempo e da paese a paese non si contesta, ma in questo stesso succedersi di soluzioni vi deve essere una continuità ed una regola, abbandonata la quale il movimento travia. A questa luce le questioni di organizzazione, di disciplina, escono dal costituzionalismo di formule giuridiche, che connettono base, quadri, e centro, per impegnare il centro dirigente a non abbandonare la "regola" di azione, senza la quale non vi è partito e tanto meno partito rivoluzionario.

Quindi, se nessuno contesta che nelle nazioni in cui la borghesia doveva ancora rovesciare il potere feudale il proletariato non poteva non affiancarsi a tale lotta, la sinistra marxista volle si portasse a regola che nei paesi a potere capitalista non si potessero fare alleanze con frazioni della borghesia. Al tempo di Lenin la critica e la politica proletaria assimilarono a queste i partiti che, dicendosi operai, rifiutavano il postulato dell'azione violenta e della dittatura proletaria.

La sinistra nella terza internazionale dovette combattere, restando battuta organizzativamente, come nuova forma gradualista e possibilista quella del fronte unico coi partiti socialdemocratici: teoricamente ha avuto partita vinta nella previsione che tale metodo avrebbe condotto alla collaborazione con partiti, classi e Stati capitalistici ed imperialistici, e alla distruzione del movimento rivoluzionario.

Ciò basta a dimostrare che il partito e l'internazionale rivoluzionari non possono che avere un sistema rigido di regole di prassi, che i centri (ed i cosiddetti capi) non devono avere facoltà di trasgredire sotto pretesto di situazioni nuove ed imprevedute. O questa costruzione di regole da un gruppo di fondate previsioni sullo sviluppo dei fatti è possibile, e allora la sinistra aveva ragione; o così non è, ma allora non avrebbe solo torto la sinistra marxista, bensì sarebbe il metodo marxista ad essere caduto, in quanto ridotto ad una registrazione di meteorologia sociale e ad una difesa luogo per luogo e giorno per giorno di interessi contingenti delle categorie che lavorano, pretesa insufficiente a distinguersi da qualunque altro partito politico oggi in azione in qualunque paese.

La garanzia contro le ripetute, rovinose frane del movimento non sta mai in altro, che nella storica dimostrazione che esso risorga, non solo con affermata teoria marxista e determinista, ma con un corpo di norme di azione tratto dalla secolare esperienza accumulata, e soprattutto dal tirocinio utilissimo di insuccessi e sconfitte, riuscendo a tenersi al di fuori degli inconvenienti dovuti alle improvvise manovre, abilità, stratagemmi politici dei capi, che se occorre vanno senza posa rinnovati, e messi via come persone, appena vacillano e cadono in tale prassi degenere.

In altri testi fu mostrato come ogni risorsa statutaria o di regolamento per stabilire chi sta sulla grande linea storica è illusione: fino a che non si sostenga possibile convocare alla suprema ipocrisia delle consultazioni, forma squisitamente borghese, le successive generazioni storiche della classe: i morti, i viventi e i nascituri!

Come teoria del passato, del presente e del futuro poniamo a base il Manifesto del 1848, il Capitale, le opere critiche di Marx ed Engels soprattutto sul valore delle lotte per il potere e della Comune di Parigi, la restaurazione antirevisionista di Lenin e dei bolscevichi al tempo della prima guerra mondiale.

Come prassi tattica si può solidamente partire dal Manifesto, fermando il punto che molte rivoluzioni capitaliste erano da compiere ancora, e che in quel tempo nessun partito si chiamava operaio se non era sul terreno della lotta armata antiborghese. Che dopo, nel corso di un secolo, siano sorti partiti operai con programmi non solo costituzionali ma antirivoluzionari, non è un fatto nuovo della storia, ma una conferma del corso di previsioni che sul Manifesto si edificò.

Due passi del Manifesto ci basta premettere. I comunisti lottano bensì per raggiungere scopi immediati nell'interesse delle classi lavoratrici, ma nel moto presente difendono l'avvenire del movimento.

Ogni moto presente è per i deterministi un dato che non si può negare. Ma solo i comunisti apportano il dato di "difendere l'avvenire del movimento", ossia della classe lottante, e lottante per sopprimere le classi.

"I comunisti appoggiano in generale ogni moto RIVOLUZIONARIO contro le condizioni sociali e politiche esistenti". Due condizioni fanno riconoscere i moti rivoluzionari: essi usano la forza, spezzano la legalità; essi mutano i rapporti di potere delle classi. "I comunisti mettono sempre avanti la questione della proprietà, abbia essa raggiunta una forma più o meno sviluppata, come la questione fondamentale del movimento".

Questione della proprietà vale nei testi marxisti questione dell'economia, questione di classe: forme della proprietà vale rapporti di produzione.

Quindi la rivoluzione capitalista in Germania 1848 e Russia 1917 interessava i comunisti per due ragioni: primo, perché potesse dare avvio alla immediata rivoluzione proletaria europea; secondo, perché, anche nella ipotesi che il moto si arenasse alla rivoluzione borghese, questa sconvolgesse il fondo dei rapporti di produzione feudali e sganciasse l'irresistibile avvio delle forme moderni di produzione e scambio capitaliste e mercantili, al posto del sonno feudale.

Nel 1848, o nel 1917, o nel 1952, l'esistenza di un partito solido parimenti in dottrina, organizzazione e tattica è la sola garanzia che non si scambino quei due motivi, ragioni, scopi, di piena storica realtà, con un terzo fittizio e rovinoso: che anzitutto, e prima della specifica lotta di classe tra loro, borghesi e proletari abbiano una certa sfera di teoria ed azione comune, per i postulati di una pretesa umana civiltà, come sarebbero i varii ideologismi liberali, egualitari, pacifisti, patriottici.

Tutte le volte il movimento, non avendo colta la dialettica delle posizioni storiche, ha fatto naufragio in quella stessa palude.

Abbiamo trattato di Proprietà e Capitale perché fosse bene evidente che nell'epoca storica che viviamo, dopo caduto il feudalesimo non solo in Germania, Russia e Giappone, ma anche in Cina ed India, vi è una sola questione storica mondiale della Proprietà, ed è la questione del Capitale, della morte del Capitale, di cui va continuata a scrivere la storia avanti lettera.

Per scrivere questo corso, ancora una volta teoria ed azione, scienza storica ed economica e programma politico, procedono inseparabili. E guardando al punto di arrivo generale del movimento, nel tempo e nello spazio.

Decidono perciò sul falso comunismo e sullo stato russo non lo studio, del resto ovvio, della situazione economica oltre cortina, e dei relativi rapporti sociali, ma lo studio e la semplice constatazione della politica attiva di tale partito, di tale Stato.

In dati limiti di spazio e tempo la tesi di un vittorioso partito di dittatura operaia, occupato a far passare forme di proprietà feudale in forme capitaliste, non è marxisticamente assurda. Ma tale partito non LO NASCONDEREBBE, bensì proclamerebbe i propri scopi, come il Manifesto impose; di far scoppiare la rivoluzione nei paesi capitalisti classici, tenendo fino ad allora potere ed armi in pugno, per poi mettere al passo la trasformazione sociale.

Contro l'applicazione alla Russia d'oggi di una simile ipotesi sta la degenerazione della tattica dal 1923, la politica d'alleanza con Stati e partiti delle forme borghesi di produzione sui piani politici interni e internazionali e quello militare della seconda guerra mondiale. Non vi ha bisogno di maggiori responsi; e a conferma della diagnosi sta la generale vergognosa propaganda nelle file operaie del pacifismo sociale e costituzionale interno ai paesi borghesi, e di emulazione e pacifismo internazionale.

Non si può negare importanza ad una situazione in cui la guerra imperialista, anziché vedere due gruppi di Stati dichiaratamente capitalistici in conflitto, veda tutti questi da una parte, e dall'altra solo, o quasi, lo Stato "criptocapitalista" erede di una rivoluzione proletaria; in quanto tale situazione comporterebbe la "denunzia" nella politica interna di tutti gli Stati nemici di ogni tattica di distensione e collaborazione sociale, e addirittura l'impiego da parte delle forze sedicenti comuniste di mezzi di sabotaggio e di guerra civile.

La certezza che anche in questa ipotesi si tratterà di politica controrivoluzionaria, ossia discordante col fine generale del comunismo proletario, non deriva da imbrogliati chimismi economici e sociali, ma sta solida nelle constatate rotture ed inversioni della linea storica, e nella convinzione di falso a cui sono storicamente legati coloro che hanno presentata come politica rivoluzionaria quella tendente alla illusoria restaurazione della democrazia contro il fascismo mondiale, e presentano come società comunista un banale mercantilismo industriale che tuttavia incendia il cuore della dormiente millenaria, l'Asia.

O la fase della pace e del mercato mondiale senza cortine, o quella della terza guerra, porranno il marxismo al banco di prova. Se ne uscirà sarà con la conquista che sulla direttrice del grande corso storico, tracciata come se la tracciò Colombo verso l'Oriente dialetticamente preso da Occidente, vi sono rallentamenti raccapriccianti e rischiosi, ostacoli paurosi, ma la rotta deve restare quella del giorno in cui le àncore vennero salpate, in una sfolgorante certezza gridata ad un mondo nemico.

Da "Prometeo" n. 4 numero doppio, luglio-settembre 1952

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