DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

 
 
Introduzione  
1. Il marxismo alla prova
2. Le tesi centrali
3. Dove la originalità russa?
4. La Russia e lo Stato

 

1. Il marxismo alla prova

Fin dal 1905 l'opinione generale anche dei conservatori politici era convinta che in Russia, nella lotta per abbattere la monarchia assoluta e feudale, si sarebbe trattato non soltanto dell'avvento di una forma liberale o anche repubblicana, e dell'adozione di costituzioni e istituti del tipo occidentale, ma anche di lotte sociali in cui le classi povere avrebbero avuto grande peso, e non si sarebbero limitate ad essere comode alleate di un moto borghese.

Istintivamente la borghesia europea sentiva che uno scoppio rivoluzionario, sia pure animato in partenza dalle sue stesse ideologie, avrebbe scosso dal profondo la sua illusione di aver ridotto l'urto delle classi, proprio del tempo capitalista, ad una "civile" gara di interessi, incruenta e chiusa in forme legali, come l'ala destra e revisionista del socialismo, che si diceva marxista, aveva preconizzato nei pacifici decenni 1890-1910.

Poco si decifravano i programmi e i metodi dei movimenti antizaristi, ma si intendeva dall'opinione comune che nessuno di essi rinunciava all'insurrezione e alla violenza, e si afferrava il legame stretto tra la perduta guerra coi giapponesi e i moti formidabili nelle città e nelle campagne, se pure alla fine soffocati nei periodici massacri propri del regime moscovita.

Lo scoppio avvenne quando già il mondo era sconvolto dalla prima guerra generale, nella situazione "originale" che poneva la Russia non in una nuova Santa Alleanza con gli imperi tedeschi, asseriti esponenti del ritorno feudale e nemici della democrazia, ma, all'opposto, tra le file dei paesi "liberi" e della loro decantata crociata per le moderne direttive di progresso e civiltà: poteva la borghesia europea confidare che il nodo minaccioso della rivoluzione in Russia si potesse (guerra e vittoria sui tedeschi aiutando, e ciò soprattutto dopo la discesa in campo, dalla stessa parte, degli Stati Uniti e persino del Giappone) sciogliere in una accorta operazione diplomatica.

Quando la storia tagliò in maniera tanto diversa il nodo, e gli avvenimenti clamorosi di Russia si collegarono tanto strettamente con le vicende militari degli ultimi due anni del conflitto mondiale e con i conseguenti urti sociali in tutti i paesi, si ebbe una vera fioritura di dibattiti interpretativi e di battaglie, riflesso di quelle materiali, nel campo dell'ideologia.

I marxisti rivoluzionari di sinistra non si trovarono soltanto di fronte le spiegazioni dettate dalle vecchie ideologie dei partiti avversari, ma anche una serie di contrastanti versioni nel campo proletario. E non erano soltanto sconcertanti ed azzardate le argomentazioni di quelli che contro la rivoluzione si scagliavano, deprecandola o esorcizzandola, ma soprattutto quelle di molti che il suo successo travolgente e drammatico aveva tratti ad esaltarla.

Ad esempio anarchici e libertari, che in un primo tempo, quando socialisti legalitari e di destra volevano dare alla lotta un corso legale, avevano inneggiato alle proposte estremiste per la soppressione della dinastia e all'attacco armato a nobili delle campagne e padroni delle città, e avevano gridato che Lenin era uno dei loro (come molti borghesi e social-legalitari dal canto loro blateravano), non tardarono a sterzare di 180 gradi non appena la politica e la dottrina della dittatura furono altamente proclamate e messe in atto.

Dal canto loro, marxisti della destra riformista e socialsciovinisti che non potevano dimenticare come Lenin fosse stato il primo a bollarne la vergogna, mentre avevano, con tutta la democrazia borghese, plaudito alla rivoluzione di febbraio confidando che si sarebbe fermata ad essere democratica e guerraiola, si lanciarono con orrore contro l'ulteriore avanzata dei bolscevichi. Mentre i borghesi la stigmatizzavano per violata democrazia, quelli, i socialtraditori, si misero ad urlare in nome del marxismo, la cui politica gridarono violata, insieme alla sua sociologia, per aver dato forme estreme alla rivoluzione di classe in un paese "non maturo".

Viceversa molti marxisti assai impuri nella accettazione della teoria e del metodo – ne avemmo in Italia esempi interessanti di cui non mancheremo di occuparci – abbracciarono la causa di Lenin e di Ottobre, suggestionati dall'eloquenza della vittoria e convinti, per lo più sinceramente, che ciò avrebbe dato ingresso ad una interpretazione non materialistica della storia, avrebbe dato rilievo all'elemento di volontà e genialità di un capo o di una élite, avrebbe segnato uno svolto per il passaggio in prima linea di un nuovo popolo, di una nuova "giovane" razza, di cui si schiudeva il ciclo egemonico e di pilotaggio della generale civiltà.

Anche in questi ranghi, che si erano largamente vòlti al proletariato ma che davanti agli insegnamenti marxisti erano perplessi, fu dato grande peso ad uno slancio mistico che avrebbe invaso il popolo russo, lungamente oppresso dal giogo dispotico, per moventi religiosi, etici, nazionali, patriottici, insieme a quelli sociali: e soprattutto questo si avvalorò quando giunsero – a chi le respinse e a chi le accolse – le tesi di Lenin e dei bolscevichi sulle questioni agrarie, nazionali, coloniali e, non avendole affatto comprese, si credette che queste elevassero quei motori della storia all'altezza della lotta di classe e della determinante economica[1].

 

2. Le tesi centrali

Compito nostro è di riprendere tutto il corso storico e sociale della Russia, sia antecedente quel momento cruciale, sia susseguente, e saggiarlo alla luce dei princìpi per dimostrare che esso si ricostruisce e si spiega nel modo più evidente sulla base della teoria del materialismo storico e del determinismo economico, sulla base della deduzione del succedersi dei modi di produzione a seconda delle condizioni materiali in cui la specie umana vive, quanto ad ambiente naturale e quanto a forze e attrezzature produttive già sviluppate.

Tutto quanto la scuola del comunismo proletario aveva acquisito sulla base delle esperienze di lunghe lotte storiche, tutto quanto Marx e i marxisti avevano dedotto, in un primo tempo, da un'analisi del primo capitalismo in Inghilterra, poi dallo studio dello sviluppo in Europa e nei paesi industriali, non era intaccato nelle sue conclusioni generali dagli eventi di Russia e si attagliava benissimo alla loro successione – il che forse oggi, 1954, è ancora più palese e facile a dimostrare che negli anni incandescenti dal 1917 al 1922.

Scopo quindi di questo studio è la difesa della spiegazione determinista delle vicende storiche che ebbero per teatro la Russia, allo stesso titolo per cui essa è valida negli altri paesi.

Si tratta di confutare la controtesi che il marxismo sia un metodo applicabile nell'Europa di occidente, ma cada in difetto in Russia e in altri paesi europei arretrati o in Asia.

Si tratta di confutare la controtesi che il marxismo e il determinismo economico valgano solo a spiegare le lotte sociali proprie dell'epoca moderna e capitalistica, laddove fin dall'origine sono applicati a descrivere tutto il ciclo della società umana, nei paesi e tra i popoli più diversi.

Si tratta di confutare la controtesi che un paese che, nella Europa industrialmente sviluppata, aveva ancora una economia prevalentemente agraria, naturale, ancora in parte fondata sulla primitiva comunità di villaggio, fosse divenuto o potesse divenire la scena di una particolare rivoluzione agraria di popolo, che avrebbe ridotto alla parte di personaggi secondari le forze del grande capitalismo da una parte, del moderno proletariato salariato dall'altra.

Si tratta di confutare la controtesi che, in difetto del materialismo marxista, solo fattori mistici, idealistici, volontaristici, personalistici possano fornire una chiave storica per il dramma russo.

Si tratta di confutare la controtesi che, date la composizione della società russa, la lunga sopravvivenza del dispotismo feudale e la prospettiva di due rivoluzioni da compiere con la partecipazione del proletariato delle città, potesse, se non saltarsi, almeno abbreviarsi il "passaggio" per lo stadio e la forma capitalistica di produzione anche se la rivoluzione proletaria non avesse sopraffatto, al cadere dello zarismo, il potere capitalista in Europa.

Si tratta infine di confutare la più bolsa di tutte: la controtesi che i fatti di Russia abbiano portato in luce rapporti sociali e dati storici "inediti" che quindi, non essendo stati noti a Marx e ai marxisti di occidente, comportino una revisione che taluno oggi, con materiali più completi di quelli di Marx, e della sua scuola, si potrebbe assumere di pilotare!

 

3. Dove la originalità russa?

Non intendiamo, in questa introduzione all'argomento, anticiparne gli sviluppi, ma abbiamo creduto utile prospettare, sia pure nel lato dialetticamente opposto, le conclusioni nostre.

La tesi della "rettifica di tiro" è per noi deteriore rispetto a quella che frontalmente respinge il marxismo e la dottrina della derivazione di tutta la vicenda storica dalla sottostruttura economica e dalla sua evoluzione. Se all'arrivo di Lenin andava rettificato il marxismo, e poi ancora all'arrivo di Stalin, e poi magari a quello di Mao-tse tung, e domani a quello dell'apostolo sociale dei Mau-Mau[2], ciò vale tornare alla più rispettabile costruzione della storia per egemonie di popoli e di razze che si succedono, o per avvento di Messia. Il marxismo resta in piedi se è possibile alla luce della sua teoria dare una chiave uniforme di tutti i rivolgimenti che la storia corrente ha fatto collimare con la "leadership" vuoi di Mosé, vuoi di Cristo, vuoi di Cesare, vuoi di Maometto, vuoi di Napoleone, con l'elezione da parte di Dio, o il turno in virtù di misteriose evoluzioni biologiche, di egizi, ebrei, greci, romani, germani, ed oggi slavi, cinesi, e magari afri. Ma se ciò non è possibile e, all'ingresso di ogni popolo eletto o di ogni profeta o condottiero, la dinamica ha risposto a leggi nuove ed originali, e la storia ha, obbediente, mutato il suo volto, allora queste mutazioni sono insondabili, siano esse scritte nella volontà divina o nella successione di fattori di cui non è possibile scienza ma solo cronaca, e allora il marxismo, dopo vita breve ma rumorosa, vada pure in pensione[3]. Alla sorpresa storica per gli accadimenti di Russia arrivano tutti, da tutti i lati. I borghesi vi arrivano perché scardina l'arma marxista nelle mani del proletariato di Occidente, lo attira ad altre edizioni crociatistiche contro un pericolo slavo o giallo o nero – o dispotico, terroristico, dittatoriale, soffocatore della Persona. Gli stalinisti vi arrivano per poter sostenere che malgrado le contrarie previsioni di Marx, di Lenin e di tutti i marxisti, senza la rivoluzione di Occidente la Russia è passata al pieno socialismo economico. E perfino gli antistalinisti, come i trotskisti e altri gruppi sparuti e sperduti, vi arrivano saltando fuori dello "schema" di scuola e dando la colpa della degenerazione rivoluzionaria sovietica a forme che confondono con le classi, coi partiti, con lo Stato, all'abuso del potere, al privilegio della burocrazia, a complicanze che il ricettista Marx avrebbe avuto il torto di non sognarsi neppure.

Ed invece il materiale per spiegare secondo la nostra direttrice la Russia del 1917 e quella di oggi, è materiale storico che per il novanta per cento risale a prima del tempo di Marx, anche nel senso che i fenomeni posteriori non hanno affatto arrecato sconosciuti modelli, così come Christian Dior non fa che copiare dall'Atene periclea, dal Rinascimento italiano, dal Termidoro francese; Hollywood, dal paradiso terrestre.

Si tratta insomma di mortificare questi scopritori di foglie di fico, che si aggirano nel campo della dottrina come il classico toro (ad immagine del quale son fatti più per le corna che per il vigore) nella bottega di cristallerie, che elevano la burocrazia a classe dominante, che fanno entrare l'economia nello Stato, che gettano allarme perché la barbarie non soffochi la civiltà di cui sono gelosi i capitalisti e che, come un ombrello comune, si stenderebbe su essi e sui lavoratori rivoluzionari[4].

 

4. La Russia e lo Stato

La traccia della nostra spiegazione marxista di quelli che sono stati i particolari tempi dello sviluppo storico russo, dovrà porre al suo luogo la questione dei popoli nomadi, della terra libera, del fissarsi sulla terra delle tribù, del loro lento ordinamento in una forma stabile, e dell'apparizione dello Stato e degli Stati storici.

Questo processo lo vedremo seguire [cap. 26-32] in modi diversi nei limiti del classico impero mediterraneo e greco romano – agricoltura stabile, schiavismo, Stato politico consolidato centralmente e controllante su tutto il territorio politico la proprietà privata "romana" –, poi, nei limiti dell'area nord-centrale di Europa, o germanica in senso lato, degli imperi feudali e poi Stati nazionali borghesi – agricoltura che dopo le invasioni nell'impero romano si stabilizza, franchigia prima e poi servaggio per i lavoratori già in comunità, feudalismo decentrato con i locali signori accomandatari aventi il compito di difendere in armi la tranquillità di lavoro e raccolto, potere statale militare blando di un centro imperiale e, nel corso del secoli, col sorgere della economia mercantile, potere accentrato statale e rivoluzione borghese antiservile, con sviluppo industriale urbano. E, in terzo luogo, nei limiti di un'altra area, quella che possiamo dire grande-slava, con terra matrigna ospite a comunità anche nomadi, vani tentativi storici di una serie di popoli per fissarsi al suolo contro mille invasori e predatori bianchi o gialli, mancanza di un feudalismo decentrato e periferico, formazione precoce dello Stato militare e politico centralizzato, rispetto all'Europa: Stato di importazione, chiesto a condottieri vichinghi, variaghi, normanni, che con la esperienza acquisita come scorridori di tutto il mondo organizzato, tra i quattro punti cardinali, seppero organizzare una stabilità agraria per il rado popolo delle terre nere[5]. Primo burocrate alle spalle del popolo contadino russo chino sulla gleba, non conquistatore dunque ma eletto dietro concorso, il semileggendario Rjurik dell'856 (senza mille), già conquistatore di Parigi e di Londra, primo funzionario e capo dello Stato ferreamente centralizzato che sorge da allora, primo occupatore della cadrega che ospita oggi il ricco deretano di Malenkov[6],

Dopo ciò, nel 1950 hanno scoperto, alcuni storici disoccupati, lo statalismo e la burocrazia russa!

Trasvoliamo traverso i tempi: all'epoca del servaggio, e fino al 1860, il feudalismo russo non solo conosce già lo Stato centrale politico, ma ne conosce la funzione economica (è lo Stato, per tutti gli dèi, che entra nell'economia, e non l'opposto, che saría contro natura: Stato uguale violenza, violenza uguale agente economico) dato che metà delle terre sono dello Stato, solo metà dei nobili, metà dei servi sono dei nobili, metà sono servi dello Stato. Gli stessi obblighi servili strozzano gli uni e gli altri. Il feudalismo nell'area slava è feudalismo di Stato.

Ciò avveniva da secoli prima che Marx nascesse. E quello Stato, come aveva un formidabile esercito, così aveva una polizia e una burocrazia imponenti, che a nome del monarca su tutta l'immensa terra amministravano l'opera dei servi, e tenevano i nobili stessi in rispetto.

Meraviglia dunque oggi, per fare un altro volo in anticipo, che il capitalismo russo sia capitalismo di Stato? Che sia nato per opera dello zar e accumulazione di Stato? Soprattutto a fini militari? Scappatoia possibile, definirlo socialismo da una banda, o, dall'altra, definirlo dominio della casta burocratica[7]?

Questo capitalismo russo è l'unico, il vero, il tipico, quello di rigore, nella storia russa. È arrivato seguendo una via particolare, con tempi e date particolari, come tutti gli uomini nascono per la stessa via, ma in date diverse e con parti di vario andamento.

L'essenziale è questo: che tutta la gestazione si ricostruisce bene mediante la stessa dinamica del succedersi nell'ambiente materiale delle forme produttive; la stessa dinamica che ci è servita egregiamente altrove, e senza misteriosi interventi escatologici di forze extramateriali, extraeconomiche, extra-classiste. Ce la grattiamo da noi vecchi marxisti; vichinghi da strapazzo, applicatori non di novità, come Rjurik il grande, ma di toppe scolorite, non ne mandiamo a chiamare.

 

[1] La piena convergenza della sinistra del Psi – nucleo di quella che poi sarà la Frazione comunista astensionista, anticipatrice del Partito Comunista d'Italia, sezione dell'Internazionale Comunista – con le posizioni dei bolscevichi, come già di fronte alla guerra, così di fronte alla rivoluzione del 1917 in Russia, e la critica da essa svolta fin da allora delle interpretazioni sia socialdemocratiche delle più diverse sfumature, sia anarchiche e sindacaliste, della rivoluzione di Ottobre, sono ampiamente documentate dal testo, e dall'appendice di scritti dell'epoca, del I volume della Storia della Sinistra Comunista (Dalle origini al 1919), ediz. Il Programma Comunista, Milano, 1964, Reprint 1972, ma in particolare dall'articolo Gli insegnamenti della nuova storia, uscito a firma A. Bordiga nell'«Avanti!» del 16-II-1918 nella forma monca e frammentaria datagli dalla censura, riprodotto in versione integrale nel 1924 nei nr. 27-III e 3-IV di «Lo Stato operaio», e reperibile oggi nel suddetto I volume, Reprint 1972, pp. 399-410. Qui tutti i passi decisivi compiuti dai bolscevichi giunti al potere (liquidazione della guerra imperialistica, dispersione dei partiti avversi, scioglimento della Costituente, messa all' ordine del giorno della storia della rivoluzione sociale internazionale, ecc.) trovano l'adesione incondizionata della Sinistra «italiana» e si smantella la tesi anarco-sindacalista della «Russia dei sindacati» o «della libera e automatica associazione dei produttori». – Quanto ai marxisti «assai impuri nell'accettazione della teoria e del metodo», è qui trasparente l'allusione, fra gli altri, ad Antonio Gramsci, autore dell'articolo La rivoluzione contro "Il Capitale" apparso nell' «Avanti!» del 24-XI-1917, secondo il quale i bolscevichi avrebbero "rinnegato Marx" saltando con un "atto di volontà" le tappe previste dal marxismo per il passaggio da un modo di produzione all'altro, ovvero – nell'immediato – dal dominio di classe della borghesia al dominio di classe del proletariato (articolo riprodotto nello stesso I volume della nostra Storia, Reprint 1972, pp. 316-319). – Che infine i massimalisti, quasi per gettare un velo sulla propria crescente «andata a destra», verso il più smaccato riformismo, posassero a «sinistri» di fronte alle tesi agrarie, nazionali e coloniali presentate dai bolscevichi (e approvate senza riserve dalla Sinistra «italiana») al II congresso mondiale del 1920 (e riprodotte integralmente nel II volume della Storia della Sinistra comunista: Dal congresso di Bologna 1919 al II congresso dell'I.C., ediz. Il programma comunista, Milano 1972, pp. 714-726), risulta ampiamente documentato nello stesso volume, pp. 637-640 e 647, nota 1, nonché nel capitolo sul «rinculo del massimalismo» del III volume del la stessa Storia (Dal /I al 1/1 congresso dell'Internazionale comunista: settembre 1920-giugno 1921), nostra edizione, Milano 1986, pp. 454-471

[2] Fecero molto parlare di sè, soprattutto fra il 1952 e il '56, il movimento politico e religioso dei Mau Mau, alfiere dell'indipendenza del Kenya dalla dominazione coloniale inglese (ottenuta definitivamente solo nel '62), e il suo capo carismatico Jomo Kenyatta.

[3] Tipica della Sinistra "bordighiana" è la tesi – qui e, più oltre, ripetutamente ribadita - della integralità ed invarianza storica del marxismo: integralità, nel senso che l'interpretazione materialistico-dialettica della storia si estende a tutti i modi di produzione succedutisi storicamente, ai trapassi dall'uno all'altro, alle caratteristiche proprie di ciascuno, nonché alle specifiche varianti determinate al loro interno da ben precise condizioni geo-fisiche e geo-politiche, ed è pienamente in grado di darne la spiegazione anche in ordine ai loro ulteriori sviluppi; invarianza storica nel senso che, «anche potendo da oggi, anzi da quando il proletariato è apparso sulla grande scena storica, intravvedere la storia della società futura senza più classi e, quindi, senza più rivoluzioni […] per il lunghissimo periodo che a tanto condurrà, la classe rivoluzionaria in tanto assolverà il suo compito, in quanto si muoverà usando una dottrina e un metodo che restino stabili e siano stabilizzati in un programma monolitico in tutto il volgere della tremenda lotta – variabilissimi restando il numero dei seguaci e il successo delle fasi e degli scontri sociali» (così al punto II de La "invarianza storica del marxismo"; testo del 1952 riprodotto a pp. 16-23 di Per l' organica sistemazione dei principi comunisti, ed. Il Programma Comunista, Milano 1973). Formatasi "in un sol blocco e in un dato svolto della storia" (come è detto in un altro dei nostri testi di partito), erompendo "da una crisi violenta della storia" come appunto il 1848-49, all'atto della prima "costituzione del proletariato in classe, quindi in partito", la dottrina marxista accompagnerà dunque, intatta ed intangibile, ogni fase della lotta di emancipazione proletaria, come sua fondamentale arma, fino all'estinzione della stessa classe nel comunismo pieno. Se così non fosse, il marxismo abdicherebbe alla sua funzione di bussola dell'intero movimento: sarebbe "da tenere o buttar via" come uno dei tanti "sistemi" e "metodi" alternativamente possibili.

[4] Si allude qui in particolare alle tesi sostenute e messe in voga fra il 1948 e il 1953 dal gruppo francese «Socialisme ou barbarie», filone dissidente del trotskismo (ma erede di alcuni suoi sbandamenti ideologici), secondo cui la chiave della più recente evoluzione capitalistica andrebbe cercata nel dominio esercitato sui mezzi di produzione – integralmente in Russia, tendenzialmente nel resto del mondo – da una «nuova classe» (o meglio casta, o ordine), la «burocrazia»; dominio a sua volta poggiante non più – come nell'interpretazione materialistico-dialettica della storia – sull'antagonismo fra carattere sociale della produzione e carattere privato dell'appropriazione dei prodotti, quindi fra classe proletaria e classe borghese, ma fra autorità, espressa dai funzionari-dirigenti, e libertà, incarnata dai produttori diretti, con tutto quel che ne segue per ciò che riguarda il modo d'intendere concetti come classe, partito, autorità, stato, quindi anche rivoluzione e, non sia mai, dittatura, ecc., il che rappresenterebbe non solo un «arricchimento del marxismo», ma un suo esplicito «superamento». Alla demolizione critica di queste e analoghe posizioni sono dedicati soprattutto i tre articoli (La batracomiomachia, Gracidamento della prassi, Danza di fantocci: dalla coscienza alla cultura) apparsi nei nr. 10, 11 e 12, anno 1953, de «Il Programma Comunista», poi raccolti nel volumetto Classe, Partito, Stato nella teoria marxista, ediz. Il Programma Comunista, Milano 1972, insieme ai posteriori Ripiegamento e tramonto della rivoluzione bolscevica e Marxismo e autorità, usciti nei nr. 12 e 14, anno 1956, dello stesso periodico. Inutile sottolineare come la burocrazia in genere, o alcuni dei suoi massimi (e peggiori) rappresentanti, siano oggi elevati a causa determinante e spiegazione storica dello stalinismo dalle innumerevoli varianti del revisionismo socialdemocratico, non escluse (con le riserve del caso) quella gorbacioviana e, qui da noi (senza alcuna riserva), quella, ultrarammodernata, delle Botteghe Oscure, e quanta parte abbia la figura della burocrazia nella concezione trotskista dell'Urss «Stato operaio degenerato» o, ai nostri giorni (e con tutt'altro obiettivo), nel riformismo gorbacioviano come critica liberal del regime stalin-brezneviano.

[5] Tutti temi svolti specialmente nei cap. 26-32 della Parte Prima del presente volume.

[6] Il primo successore di Stalin alla guida dell'Urss, a proposito del quale cambio della guardia cfr. Malenkov-Stalin: toppa, non tappa, ne «Il Programma Comunista», nr. 6/1953.

[7] Nelle correnti formulazioni staliniste e post-staliniste, socialismo equivale a proprietà statale dei mezzi di produzione almeno nell'industria, dove anzi è lo Stato a promuoverne l'impianto e a gestirne l'utilizzo (come se la stessa cosa non fosse avvenuta in ogni Paese borghese, specie in fase di accumulazione originaria, e via via allargata, del capitale: cfr. Marx nel cap. XXIV del I Libro del Capitale). La stampa borghese in generale può quindi parlare di "socialismo" e di "marxismo" – sulla scia di ogni specie e sottospecie di "nazionalcomunismo" – per qualunque nazione del I Mondo, o del II o del III, in cui lo Stato si sia fatto promotore e gestore dell'industrializzazione e accumulazione capitalistica (quindi, in primo luogo, per la Russia, poi per la Cina, quindi per le varie Repubbliche Popolari in Europa, per Cuba, il Vietnam, l'Etiopia e via elencando). Da un lato solo apparentemente opposto, parlarono spregiativamente per l'Urss e satelliti di "capitalismo burocratico" Bruno Rizzi e gli esponenti del già citato gruppo "Socialisme ou barbarie"…

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