DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Il cosiddetto “Caso Regeni” ci permette di fare alcune considerazioni, senza entrare nel merito delle varie ipotesi e contro-ipotesi sul suo omicidio che in tutti questi mesi hanno riempito i mezzi di comunicazione di massa.

 

Va ribadito per prima cosa (come abbiamo già fatto nell'articolo “Egitto. La difficile via dell'organizzazione di classe”, uscito sul numero scorso di questo giornale) che la vicenda è “solo” una delle tante che si sono verificate in Egitto (come altrove), e non da oggi. Sappiamo bene come la pratica dell'eliminazione fisica di “personaggi scomodi” (e non entriamo qui nel merito della natura di questa “scomodità”) sia diffusa e connaturata all'esigenza della difesa del proprio regime da parte della classe dominante: gli esempi a dimostrazione sono fin troppo numerosi per metterli qui in campo, a sostegno della nostra affermazione.

 

A ciò si può anche aggiungere un ulteriore commento a margine. Il tira-e-molla fra autorità italiane e autorità egiziane non può non far pensare che ben altri interessi siano in gioco nella vicenda che non la tanto celebrata “ricerca della verità”: interessi – come sempre – economici, perché sono ben noti gli stretti legami fra i due Stati su questo terreno. Alla luce di questa... malignità, il “caso Regeni” si pone sempre più come moneta di scambio nel cinico mercato degli intrallazzi e delle negoziazioni sotto banco fra Stati capitalistici, di cui – di nuovo – è piena la storia degli ultimi due secoli: non a caso, esiste una “diplomazia segreta”...

 

Le considerazioni che vogliamo fare riguardano però un altro aspetto. Più volte, nel corso di questi mesi, i mezzi di comunicazione di massa hanno riesumato (autentico riflesso pavloviano!) la tesi dei “pezzi di Stato”: l'omicidio sarebbe stato opera di alcuni settori (“deviati”, “sfuggiti al controllo”, ecc.) dei servizi segreti statali. Anche qui, nulla di nuovo: restando dentro i “patrii confini” e limitandoci all'ultimo mezzo secolo, dall'attentato di Piazza Fontana a Milano in avanti questa tesi è stata il leitmotiv di tutto l’inchiostro versato sulle “trame oscure” che si sono succedute.

 

E proprio qui casca l'asino. Fatta la tara delle sempre risorgenti tentazioni complottiste, parlare di “pezzi di Stato” implica affermare una cosa ben chiara: che cioè un conto è lo Stato (per definizione, super partes) e un conto sono equivoci individui e strutture agenti nell'ombra per bieche finalità – e che dunque sarebbe in corso un'aspra battaglia fra il primo (interessato a difendere e promuovere il proprio ruolo di garante della pace sociale e del benessere collettivo) e questi “pezzi” (da esso staccatisi per finalità proprie o sotto la pressione di gruppi di potere interni o esteri, nazionali o internazionali). A tanto si riduce l'intelligenza politica di analisti e giornalisti democratici e compagnia cantante!

 

Questa visione dello Stato è letteralmente imbecille (in latino=“debole, senza forze”) e può solo servire – come da sempre ha fatto egregiamente – a disarmare ideologicamente i proletari, che invece il bastone dello Stato sulle loro ossa lo sentono eccome! Ed è il ronzino vincente di tutta la marmaglia piccolo-borghese (dei suoi “intellettuali” e “capipopolo”, preti e poliziotti) impegnata a genuflettersi e a strisciare per mostrare la propria cieca fedeltà alla classe dominante e alle armi del suo dominio.

 

Per noi comunisti, la faccenda è chiara fin dall'inizio. Lo Stato è lo strumento (militare, finanziario, ideologico) attraverso cui la classe dominante esercita il proprio dominio; in quanto tale, si dà le proprie strutture organizzative, legali o – usando la terminologia democratica – illegali. Lo fa come qualunque esercito che si rispetti: perché, cari democratici!, una guerra è in corso, fin da quando la nuova classe borghese ha strappato il potere alla vecchia classe feudale e ha impiantato e strutturato il proprio dominio – ed è la guerra contro il suo nemico storico, il proletariato. Esempi? Si tornino a studiare, con la serietà che non è certo appannaggio delle mezze classi (cialtrone, eclettiche, tanto pressapochiste quanto presuntuose), le vicende che accompagnarono la Comune di Parigi del 1871 – e lì si vedrà all'opera, con impressionante limpidezza, l'azione dello Stato borghese contro il primo tentativo proletario di assalto al cielo – azione condotta con tutti i mezzi a disposizione, dall’esercito nazionale francese all’esercito prussiano, già nemico e ora alleato nella repressione, dalle guardie agli informatori, dai provocatori agli infiltrati, dai preti ai fedelissimi intellettuali, e via discorrendo. Oppure, si tornino a studiare le vicende della sfortunata “rivoluzione tedesca” nel primo dopoguerra, con la sanguinosa repressione dei moti proletari e l’assassinio delle loro avanguardie, da Rosa Luxemburg a Karl Liebknecht e Leo Jogisches e centinaia di altri compagni generosi: repressione e assassinio perpetrati in prima persona dallo Stato a governo socialdemocratico, con l’ausilio diretto di formazioni militari e paramilitari (i famigerati Freikorps). Nulla di nuovo sotto il sole malato della dittatura borghese!

Torniamo allora al concetto di Stato per noi comunisti.

***

In quel testo di fondamentale importanza che è L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato (1884), Friedrich Engels, dopo aver esaminato – sulla scorta degli studi di Lewis H. Morgan e di altri antropologi – lo svolgersi delle società umane a partire dalla condizione di comunismo primitivo, individua proprio nello Stato l’elemento che accompagna l’apparire della proprietà privata e, di conseguenza, delle classi.

 

Scrive Engels: “Lo Stato dunque non è affatto una potenza imposta alla società dall'esterno e nemmeno ‘la realtà dell'idea etica’, ‘l'immagine e la realtà della ragione’, come afferma Hegel. Esso è piuttosto un prodotto della società giunta a un determinato stadio di sviluppo, è la confessione che questa società si è avvolta in una contraddizione insolubile con se stessa, che si è scissa in antagonismi inconciliabili che è impotente a eliminare. Ma perché questi antagonismi, queste classi con interessi economici in conflitto, non distruggano se stessi e la società in una sterile lotta, sorge la necessità di una potenza che sia in apparenza al di sopra della società, che attenui il conflitto, lo mantenga nei limiti dell’‘ordine’; e questa potenza che emana dalla società, ma che si pone al di sopra di essa e che si estranea sempre più da essa, è lo Stato” 1.

 

E ancora: “Lo Stato, poiché è nato dal bisogno di tenere a freno gli antagonismi di classe, ma contemporaneamente è nato in mezzo al conflitto di queste classi, è, per regola, lo Stato della classe più potente, economicamente dominante, che, per mezzo suo, diventa anche politicamente dominante e così acquista un nuovo strumento per tener sottomessa e per sfruttare la classe oppressa. Come lo Stato antico fu anzitutto lo Stato dei possessori di schiavi al fine di mantener sottomessi gli schiavi, così lo Stato feudale fu l’organo della nobiltà per mantenere sottomessi i contadini, servi o vincolati, e lo Stato rappresentativo moderno è lo strumento per lo sfruttamento del lavoro salariato da parte del capitale”.

 

E infine (udite! udite!): “La più alta forma di Stato, la repubblica democratica, che nelle condizioni della nostra società moderna diventa sempre più una necessità inevitabile, ed è la forma di Stato in cui, soltanto, può essere combattuta l’ultima lotta decisiva tra borghesia e proletariato, la repubblica democratica non conosce più affatto le differenze di possesso. In essa la ricchezza esercita il suo potere indirettamente, ma in forma tanto più sicura. Da una parte nella forma della corruzione diretta dei funzionari, della quale l’America è il modello classico, dall’altra nella forma dell’alleanza tra governo e Borsa, alleanza che tanto più facilmente si compie quanto maggiormente salgono i debiti pubblici, e quanto più le società per azioni concentrano nelle loro mani, non solo i trasporti, ma anche la stessa produzione e trovano a loro volta il loro centro nella Borsa”. Scritto nel 1884…

 

Poco più di trent’anni dopo, fra l’agosto e il settembre 1917 (cioè, in pieno sviluppo della rivoluzione russa dopo l’aprile), Lenin riprende l’analisi di Engels e, in Stato e rivoluzione, ne ribatte i chiodi.

 

Scrive Lenin, riferendosi alla prima delle citazioni da Engels riportate sopra: “Qui è espressa, in modo perfettamente chiaro, l'idea fondamentale del marxismo sulla funzione storica e sul significato dello Stato. Lo Stato è il prodotto e la manifestazione degli antagonismi inconciliabili tra le classi. Lo Stato appare là, nel momento e in quanto, dove, quando e nella misura in cui gli antagonismi di classe non possono essere oggettivamente conciliati. E, per converso, l'esistenza dello Stato prova che gli antagonismi di classe sono inconciliabili” 2.

 

E aggiunge (1917!): “E' precisamente su questo punto di capitale e fondamentale importanza che comincia la deformazione deI marxismo, deformazione che segue due linee principali. Da un lato gli ideologi borghesi, e soprattutto piccolo-borghesi, costretti a riconoscere, sotto la pressione di fatti storici incontestabili, che lo Stato esiste soltanto dove esistono antagonismi di classe e la lotta di classe, ‘correggono’ Marx in modo tale che lo Stato appare come l'organo della conciliazione delle classi. Per Marx, se la conciliazione delle classi fosse possibile, lo Stato non avrebbe potuto né sorgere né continuare ad esistere. Secondo i professori e pubblicisti piccolo-borghesi e filistei – che molto spesso si riferiscono con compiacimento a Marx – è proprio lo Stato a conciliare le classi. Per Marx lo Stato è l'organo del dominio di classe, un organo di oppressione di una classe da parte di un'altra; è la creazione di un ‘ordine’ che legalizza e consolida questa oppressione, moderando il conflitto fra le classi. Per gli uomini politici piccolo-borghesi l'ordine è precisamente la conciliazione delle classi e non l'oppressione di una classe da parte di un'altra; attenuare il conflitto vuol dire per essi conciliare e non già privare le classi oppresse di determinati strumenti e mezzi di lotta per rovesciare gli oppressori” 3.

 

“Organo del dominio di classe, un organo di oppressione di una classe da parte di un’altra”: e allora questo dominio, questa oppressione, come si esercitano? Con – scrive sempre Lenin – “distaccamenti speciali di uomini armati, prigioni, ecc.”: cioè, con tutto un armamentario repressivo, nei confronti sia dei “nemici esterni” (gli altri Stati) sia e soprattutto nei confronti dei “nemici interni”, di quella classe che il capitale ha creato, di cui non può fare a meno e in cui vede, a ragione, il proprio nemico storico: il proletariato. Ecco che cos’è – e altro non può essere – lo Stato.

 

Il secolo che ci separa dalle parole di Lenin (che riprendono, passo passo, quelle di Engels) non ha fatto che confermare quest’analisi. Di più: ha aggiunto altre conferme. Infatti, lo sviluppo in senso imperialistico della società capitalistica, già individuato e previsto da Marx ed Engels e ulteriormente analizzato da Lenin nel 1916 (L’imperialismo, fase suprema del capitalismo), non ha fatto che ingigantire e irrobustire questo strumento di dominio: l’ipertrofia dello Stato, propria dell’imperialismo, è ipertrofia a tutti i livelli, in tutti i settori, in tutti i suoi “distaccamenti” – da quelli economici e finanziari a quelli militari e polizieschi. L’esperienza del nazifascismo, reazione dello Stato imperialista di fronte alla duplice minaccia della crisi economico-sociale e dell’insorgenza proletaria diffusa, non ha fatto che sviluppare queste tendenze, lasciandole poi in eredità – come ulteriore “sviluppo” del dominio borghese sulla classe oppressa – alla “democrazia blindata” del secondo dopoguerra, nella quale abbiamo la delizia di vivere e operare. Non dimentichiamo che cosa scrive Lenin, sempre in Stato e rivoluzione e sempre riprendendo le parole di Engels: “L’onnipotenza della ‘ricchezza’ è, in una repubblica democratica, tanto più sicura in quanto non dipende dai singoli difetti del meccanismo politico, da un cattivo involucro politico del capitalismo. La repubblica democratica è il miglior involucro politico possibile per il capitalismo; per questo il capitale, dopo essersi impadronito […] di questo involucro – che è il migliore – fonda il suo potere in modo talmente saldo, talmente sicuro, che nessun cambiamento, né di persone, né di istituzioni, né di partiti nell’ambito della repubblica democratica borghese può scuoterlo” 4. E in ciò consiste appunto la dittatura in veste democratica della borghesia.

 

Sono concetti che il nostro Partito sviluppò subito, fin dall’immediato secondo dopoguerra, mettendo in guardia i proletari contro ogni ubriacatura democratica. Così, in “Forza, violenza, dittatura nella lotta di classe” (1946-48), scrivevamo: “La critica rivoluzionaria, non lasciandosi incantare dalle apparenze di civiltà e di sereno equilibrio dell'ordine borghese, aveva da tempo stabilito che anche nella più democratica repubblica lo Stato politico costituisce il comitato di interessi della classe dominante, sgominando in modo decisivo le rappresentazioni imbecilli secondo cui, da quando il vecchio Stato feudale clericale e autocratico fu distrutto, sarebbe sorta, grazie alla democrazia elettiva, una forma di Stato nella quale a ugual diritto sono rappresentati e tutelati tutti i componenti la società qualunque ne sia la condizione economica. Lo Stato politico, anche e soprattutto quello rappresentativo e parlamentare, costituisce una attrezzatura di oppressione. Esso può ben paragonarsi al serbatoio delle energie di dominio della classe economica privilegiata, adatto a custodirle allo stato potenziale nelle situazioni in cui la rivolta sociale non tende a esplodere, ma adatto soprattutto a scatenarle sotto forme di repressione di polizia e di violenza sanguinosa non appena dal sottosuolo sociale si levino i fremiti rivoluzionari.

“Tale è il senso delle classiche analisi di Marx e di Engels sui rapporti tra società e Stato ossia tra classi sociali e Stato, e tutti i tentativi di scuotere questo cardine della dottrina di classe del proletariato furono schiacciati nel ripristino dei valori rivoluzionari realizzato da Lenin, da Trotzky e dalla Internazionale Comunista subito dopo la Prima guerra mondiale.

“Come non ha senso scientifico stabilire l'esistenza di un quantum di energia potenziale se non si può prevedere che in situazioni successive questa si sprigionerà allo stato cinetico, così la definizione marxista del carattere dello Stato politico borghese rimarrebbe priva di senso e di conseguenza se non corrispondesse alla certezza che nella fase culminante questo organo di potenza del capitalismo non potrà mancare di scatenare allo stato attuale tutte le sue risorse contro l'erompere della rivoluzione proletaria.

“D'altra parte, l'equivalente delle tesi marxiste sul crescere della miseria, sulla accumulazione e la concentrazione del capitale, nella sfera di fatti politici, non poteva essere altro che il concentrarsi, che il potenziarsi dell'energia racchiusa nella impalcatura statale. E infatti, chiusa con lo scoppio della guerra del 1914 l'ingannevole fase pacifista dell'era capitalista, mentre le caratteristiche economiche volgevano nel senso del monopolio, dell'attivo intervento dello stato nell'economia e nelle lotte sociali, fu evidente, soprattutto nella classica analisi di Lenin, che lo Stato politico dei regimi borghesi assumeva forme sempre più decise di stretta dominazione e di oppressione poliziesca. In altre elaborazioni, è stato stabilito in questa rivista che la terza e più moderna fase del capitalismo si definisce in economia come monopolistica e pianificatrice, in politica come totalitaria e fascista” 5.

 

E tanto basti, per il momento!

***

In Egitto come altrove, dunque, non sono “pezzi di Stato” a condurre la guerra contro i proletari e i “dissidenti” – quasi che lo Stato fosse tanto debole da… “perdere pezzi”. Non sono i “servizi segreti deviati” – quasi che lo Stato fosse tanto sciocco e imbelle da… restare all’oscuro di ciò che fanno strutture a esso preziose. No, a condurre quella guerra è lo Stato in quanto tale, organo del dominio della classe borghese: e lo fa attraverso tutti i suoi distaccamenti armati, alla luce del sole come nell’ombra più fitta. I proletari se ne rendano conto e, liberandosi una volta per tutte delle imbecillità democratiche e riformiste, non si rivolgano più a esso come a un padre amorevole e al di sopra delle parti: è il loro nemico e, come scrisse Marx, andrà spezzato.

1 F. Engels, L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, Editori Riuniti, 1993, p.200. Le due citazioni che seguono si trovano rispettivamente a p.202 e 203.

2 Lenin, Stato e rivoluzione, in Opere scelte, Vol. IV, Editori Riuniti, 1992, p.236.

3 Idem, pp.236-237.

4 Idem, pp.241-242. Non dimentichiamo che Engels aggiunge, nella sua analisi dello Stato: “E infine la classe possidente domina direttamente per mezzo del suffragio universale. Finché la classe oppressa, dunque nel nostro caso il proletariato, non sarà matura per la propria autoemancipazione, sino allora, nella sua maggioranza, essa riconoscerà l’ordinamento sociale esistente come il solo possibile e, dal punto di vista politico, sarà la coda della classe capitalistica, la sua estrema ala sinistra” (idem, p.203).

5 “Forza, violenza e dittatura nella lotta di classe”, Prometeo, nn.2, 4, 5, 8, 9, 10/1946-1948 (ora in Partito e classe, Edizioni Il programma comunista, Milano 1972, p.94), corsivi nostri.

 

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