DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Gli interventi militari condotti dalle varie borghesie nazionali si moltiplicano e s'intensificano, massacrando intere popolazioni e devastando aree sempre più ampie. La crisi economica (di sovrapproduzione di merci e capitali) è alla base di queste dinamiche. Sotto la sua pressione crescente, le borghesie nazionali sono costrette a confrontarsi – per spartirsi e ripartirsi zone d'influenza geo-strategica, per difendere o conquistare giacimenti di materie prime, per controllare le moderne “vie della seta”: oleodotti, gasdotti, condutture d'acqua... Per dividere e comandare. Dalla fine del secondo macello imperialista mondiale, i cannoni non hanno mai taciuto, a riprova del fatto che il modo di produzione capitalistico, specie nella sua fase imperialista, è uno stato di guerra permanente, sia fra economie inevitabilmente concorrenti sia contro il proletariato. Dalla metà degli anni '70 del '900, quando s'è aperta la fase di più acuta crisi economica a chiusura del ciclo di accumulazione post-bellico, le guerre inter-imperialiste sono divenute più aspre, distruttive e diffuse, e preludono, quando le condizioni oggettive lo imporranno, allo scatenamento di un nuovo sanguinoso conflitto mondiale. Oggi, l’intera fascia che dal nord-Africa giunge all’India attraverso il Medio Oriente e si spinge verso il Mar Giallo e il Mar del Giappone è un unico campo di battaglie sanguinose o un luogo dove s’accumulano spaventose tensioni esplosive.

I proletari di tutti i paesi, sotto attacco da ogni lato per ciò che riguarda le loro condizioni di vita e di lavoro (disoccupazione, precarietà, ritmi selvaggi, marginalità economica e sociale, miseria crescente, tragiche migrazioni causate da guerre e squilibri produttivi), non devono e non possono cadere nel tranello, sempre più evidente, dell'“appoggio alla propria borghesia”, della “difesa dell'economia nazionale”, del “sostegno allo sforzo bellico”, e via dicendo. Devono al contrario ricominciare a riconoscersi come forza antagonista rispetto alla classe dominante e alle sue necessità, allo Stato che ne difende armi alla mano la sopravvivenza e ai sindacati di regime che di quello Stato sono divenuti colonna portante – unica forza che possa davvero bloccare gli sforzi militari della “propria” borghesia. Devono riprendere la strada della lotta di classe aperta, che colpisca il padronato là dove esso è più sensibile, il profitto, riappropriandosi delle armi classiche della lotta proletaria: scioperi sempre più estesi e coordinati, organizzazioni territoriali unitarie, sempre più stabili e allargate. Devono superare e cancellare tutte le divisioni create ad arte al loro interno: età, sesso, occupazione, nazionalità, religione, lingua, ecc.; ma anche localismo e corporativismo, chiusura entro la galera del posto di lavoro, illusioni democratiche e parlamentariste, riformiste e “gestionarie”; e razzismo, arma tremenda rivolta contro gli stessi proletari.

Soprattutto, devono comprendere (e la realtà è sotto gli occhi di tutti) che l'impossibilità delle borghesie nazionali di risolvere i loro problemi socio-economici con altri strumenti che non siano la guerra, il massacro, la devastazione, la repressione anti-proletaria è il segno che questo modo di produzione è giunto da parecchio tempo ormai al capolinea. Mantenerlo ancora in vita, illudendosi che esso possa essere diverso da quello che è, significa farsi complici di quelle stesse guerre, di quei massacri, di quelle devastazioni, di quella repressione – di una lunghissima, oscena agonia, che va fermata, comprendendo con lucida passione la necessità irrimandabile di por fine alla preistoria umana, alla società divisa in classi. Contro ogni forma, anche velata, di nazionalismo, bisogna riprendere la strada dell'internazionalismo proletario: ed esso implica necessariamente il rafforzamento e il radicamento a livello mondiale del partito rivoluzionario, guida indispensabile per l'assalto al potere borghese e l'instaurazione della dittatura proletaria, come ponte di passaggio, finalmente, alla società senza classi, al comunismo.

 

Partito comunista internazionale

                                                                           (il programma comunista)

 

 

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